I cancelli degli stabilimenti sono aperti, i turni in fabbrica scorrono, ma da giorni un pensiero resta fisso: basteranno quei piccoli componenti da pochi centesimi – diodi, transistor, regolatori – a tenere accese le catene di montaggio? La miccia s’è accesa con lo scontro su Nexperia, fornitore chiave di semiconduttori “fondazionali” per l’automotive. Una vicenda tecnica, dicono. In realtà è geopolitica pura che si riflette su cruscotti, centraline, airbag, servizi di bordo. E sulle vostre consegne.
Nel giro di poche settimane lo scenario si è rovesciato. L’intervento straordinario dell’Aia sulla governance di Nexperia ha innescato la risposta di Pechino con un divieto di export dai siti cinesi; gli approvvigionamenti si sono contratti, i prezzi di alcune referenze si sono impennati, la visibilità sulle forniture è diventata precaria. I costruttori controllano stock e “piani B” ora per ora. E mentre si intravedono spiragli diplomatici, l’industria sa che l’equilibrio resta fragile.
Dal sequestro alla stretta: la miccia della crisi
Tutto parte dall’Olanda. Il governo ha esercitato i poteri previsti dalla Goods Availability Act per assumere il controllo di Nexperia, parlando di “gravi carenze di governance” e tutelando la continuità produttiva in un settore considerato essenziale. La misura non ha bloccato gli impianti europei, ma ha inciso sulla catena decisionale del gruppo, inclusa la sostituzione del vertice cinese. A cascata, la disputa societaria è diventata un tema di sicurezza economica.
La risposta cinese è stata rapida: stop alle esportazioni di componenti finiti e sub‑assiemi prodotti in Cina da Nexperia e dai suoi subappaltatori. In pratica, il collo di bottiglia è scattato proprio dove una quota rilevante dei chip destinati al mercato europeo viene incapsulata e testata prima della distribuzione. La filiera ha percepito subito l’onda d’urto: ordini riallocati in fretta, scorte contabilizzate con cautela, domanda che si sposta su alternative già tese.
L’effetto sulle fabbriche: cosa rischia chi costruisce auto
Il segnale più netto è arrivato dai costruttori europei: scorte in rapido esaurimento, con l’associazione di categoria che ha parlato di possibili fermate in pochi giorni se il collo di bottiglia non si risolve. È la natura stessa di questi semiconduttori a rendere complesso il rimpiazzo: sono componenti “semplici” ma omologati per l’auto, e cambiare fornitore richiede test, validazioni, aggiornamenti documentali lungo tutta la catena. Non si sostituiscono da un giorno all’altro.
Fuori dall’Europa il quadro non è più sereno. Nissan ha indicato coperture limitate alle prime settimane, Honda ha fermato temporaneamente un impianto in Nord America e Mercedes‑Benz ha ammesso ricerche a tappeto di alternative. Stellantis ha acceso una war room per monitorare il rischio e modulare i piani. Altri – Toyota, per esempio – al momento non segnalano impatti immediati ma tengono alta la guardia. La parola chiave è una sola: continuità.
Spiragli e nuove variabili
Nelle ultime ore è arrivato un messaggio da Pechino: possibili esenzioni al divieto di export per alcune famiglie di chip Nexperia, con invito alle aziende in difficoltà a dialogare con le autorità commerciali. Parallelamente, il canale UE‑Cina resta aperto sul capitolo controlli all’export e materie prime critiche, con l’impegno – politico, quindi reversibile – a congelare per un anno l’estensione di nuove strette sulle terre rare. Non è la soluzione, ma è ossigeno per una filiera sotto pressione.
Intanto, un altro tassello ha complicato le cose: Nexperia ha sospeso l’invio di wafer verso il proprio sito di assemblaggio di Dongguan per questioni contrattuali interne. Una mossa che non intacca gli stabilimenti europei ma rende più difficile smaltire l’arretrato e riallineare i flussi. Sul mercato secondario intanto si osservano rincari a doppia cifra su alcune referenze molto richieste: l’effetto “corsa allo stock” è visibile.
Perché questi chip valgono più del loro prezzo
Parliamo di componenti minuscoli e a basso margine – diodi, regolatori, MOSFET, logiche a bassa complessità – ma con un peso enorme. Stanno nelle centraline che amministrano sicurezza, powertrain, illuminazione, gestione batterie, infotainment. Sono mature nodes, sì, ma con specifiche automotive e cicli di qualifica rigorosi. Un difetto qui non si perdona. E quando l’auto integra centinaia di questi “mattoncini”, anche un singolo anello debole può arrestare l’intero nastro.
C’è poi un dato geografico che conta: la fase di packaging e test è concentrata in Asia. Se il flusso si inceppa lì, il front‑end europeo resta con wafer pronti e poca capacità per trasformarli in componenti finiti. Ecco perché un contenzioso societario può trasformarsi in poche settimane in una questione industriale. La lezione è chiara: non basta la capacità a monte, serve ridondanza nel back‑end e una mappa trasparente della supply chain fino al livello dei subfornitori.
Cosa guardare adesso
Tre indicatori dicono se le linee continueranno a girare. Primo: l’effettiva traduzione delle esenzioni cinesi in autorizzazioni di export, con codici prodotto e volumi chiari. Secondo: la tempistica logistica – spedizioni, sdoganamenti, incapsulamento fuori dalla Cina dove possibile – che trasformi promesse in consegne. Terzo: la gestione degli stock lungo i livelli della catena (tier‑1, tier‑2, distributori) per evitare corse all’accaparramento che prosciugano i magazzini e gonfiano i prezzi.
Nel frattempo, chi produce sta adottando mosse di resilienza tattica: ribilanciamento delle distinte base su componenti già omologati, priorità a modelli e allestimenti meno chip‑intensivi, piani di dual sourcing dove la documentazione lo consente. Non sono ricette miracolose, sono scelte pratiche per guadagnare settimane preziose. Il margine operativo esiste, ma è stretto: il confine tra continuità e stop a singhiozzo dipende da decisioni politiche e tempi tecnici.
