Ci sono storie che ti attraversano senza fare rumore e poi si piantano nel petto. A Mortara, in Lomellina, un uomo di 90 anni – Salvatore Riccobene – è morto dopo settimane di ricovero. Era intervenuto nel cortile del suo condominio per proteggere una donna di 57 anni perseguitata da un vicino. Un gesto semplice, umano, come si faceva una volta: ci si guarda negli occhi, si capisce che qualcuno ha bisogno e si dà una mano. La caduta, le fratture, le complicanze. E l’epilogo che nessuno voleva leggere.
Parliamo di un volto conosciuto in quartiere, un ex macellaio, originario della provincia di Trapani, che da anni viveva a Mortara. Una figura mite, “uno che aiuta”, dicono. Siamo entrati in questa vicenda cercando fatti, non retorica: un’aggressione avvenuta a fine settembre nelle case popolari della città, poi un lungo ricovero e il decesso a fine ottobre. La Procura ha acceso i fari per capire se quel gesto che ha cercato di fermare la violenza abbia innescato, direttamente, la catena che ha portato alla morte.
Il cortile, la lite, la caduta
La scena è quella di un condominio popolare. La donna è in cortile, l’uomo che la molesta torna a insultarla. Salvatore interviene per fare scudo con il corpo, senza altro che la sua presenza. Nella colluttazione finisce a terra, batte la testa, si rompe alcune costole. Non rientrerà più a casa. Vi siete chiesti quante volte, davanti a una violenza, avete distolto lo sguardo? Qui, no. Qui un novantenne ha fatto la cosa più lineare del mondo: mettersi in mezzo.
Dal pronto soccorso al reparto, le condizioni peggiorano. Il quadro clinico si complica sul versante polmonare, conseguenza tipica dopo traumi del torace in pazienti anziani. Il tempo, in ospedale, scorre in modo diverso: lento, uguale, stremante. Fino allo stop. A Mortara, quel cortile oggi è più silenzioso e più vuoto.
Cosa sappiamo delle indagini
Il fascicolo è nelle mani della Procura della Repubblica di Pavia. È stata disposta l’autopsia per chiarire il nesso causale tra le lesioni riportate nel cortile e la morte sopravvenuta settimane dopo. La titolare del procedimento è la pm Chiara Giuiusa. Si lavora sull’ipotesi di omicidio preterintenzionale: quando chi aggredisce non mira a uccidere, ma la vittima muore per le conseguenze di quella violenza. Concetti che conoscete, certo, ma qui non sono formule: sono la chiave per dare un nome alla responsabilità.
C’è un uomo al centro dell’inchiesta: Giorgio Labarbuta, lo stesso vicino più volte denunciato dalla donna per atti persecutori. A lui è stato notificato un atto d’indagine; l’inquadramento giuridico verrà definito alla luce degli esiti medico‑legali e degli atti già raccolti. È doveroso ricordarlo: ogni valutazione definitiva spetta ai magistrati, nel rispetto della presunzione d’innocenza.
Chi era Salvatore
Una vita di lavoro in macelleria, origini siciliane, il trasferimento in Lombardia. In queste ore chi lo ha conosciuto ripete una parola: “generoso”. Non è un’etichetta da necrologio: è un modo di stare nel mondo. C’è una moglie che piange, una famiglia che chiede giustizia, un quartiere che prova a farsi coraggio. Tutti noi, davanti a questa storia, sentiamo la stessa domanda bussare: quanto vale, oggi, mettersi di mezzo?
Noi crediamo che valga tutto. Non perché il coraggio sia eroismo da poster, ma perché è cura reciproca. E la cura, in un condominio, in una strada, in una città, comincia dalla prossimità: chiamare aiuto, fermare un insulto, testimoniare, denunciare. Qui un uomo di 90 anni l’ha fatto. E questo, comunque finirà il processo, resterà.
Cosa resta da accertare
La cronologia è chiara nella sostanza: aggressione a fine settembre, decesso a fine ottobre dopo un mese di ricovero. Quello che gli inquirenti devono stabilire, con i referti in mano, è se le fratture e la caduta – cioè quell’episodio nel cortile – siano la causa (o una concausa determinante) del peggioramento clinico, fino alle complicanze polmonari. È un passaggio tecnico, ma decisivo per qualificare i fatti e per misurare, giuridicamente, le responsabilità.
Non scriviamo oltre quello che sappiamo. Sappiamo che la donna ha 57 anni, che le sue denunce ci sono state, che la Procura sta tirando il filo di tutto. Sappiamo anche che la comunità di Mortara si stringe attorno ai familiari di Salvatore. Il resto – orari, dettagli non univoci, voci di pianerottolo – lo lasciamo fuori dalla porta: qui entrano solo i fatti.
Perché questa storia ci riguarda
Non è solo cronaca. È vita quotidiana: un cortile, un vicino che perseguita, una donna che non dorme serena, un anziano che prova a rimettere al centro una regola semplice: nessuno resta solo. Vi chiediamo di portarvela dietro, questa storia. Di farla entrare in assemblea condominiale, nei gruppi di quartiere, nelle parole scelte quando vedete qualcuno in difficoltà. A volte bastano un passo avanti e una chiamata al 112. A volte quel passo costa tutto. Qui lo ha pagato Salvatore.
Ci fermiamo qui, per rispetto. Un nome, un gesto, una comunità. E un’indagine che dirà se quella mano tesa per difendere una donna diventerà, in tribunale, un reato con un nome preciso. Il resto, per una volta, può aspettare.
