Un attraversamento scenico e musicale restituisce la voce di Pier Paolo Pasolini al pubblico contemporaneo. 666.PPP – Quel diavolo di Pasolini, scritto e diretto da Manfredi Rutelli, approda al TeatroBasilica per due appuntamenti che invitano a uno sguardo lucido e partecipe. È un invito a lasciarsi toccare, là dove il pensiero diventa emozione e memoria condivisa.
Debutto e appuntamenti al TeatroBasilica
Sabato 1° novembre 2025 alle 21:00 e domenica 2 novembre alle 16:30, TeatroBasilica ospita 666.PPP – Quel diavolo di Pasolini in Piazza di Porta San Giovanni 10, nel cuore di Roma. Due appuntamenti ravvicinati offrono al pubblico l’occasione di immergersi in un’esperienza teatrale che intreccia parola e suono, chiamando in causa la memoria, il presente e un immaginario civile che continua a vibrare, con intensità, attorno alla figura di Pier Paolo Pasolini. A teatro, quell’eco prende forma scenica, potente e concreta.
Firmato alla scrittura e alla regia da Manfredi Rutelli, e prodotto da LST Teatro insieme a TETRAKTIS Percussioni, 666.PPP – Quel diavolo di Pasolini costruisce un impianto drammaturgico che convoca scena e musica in una medesima trama. L’appuntamento romano, nella cornice del TeatroBasilica, non propone una celebrazione, ma un attraversamento: l’opera chiama il pubblico a confrontarsi con la voce e le contraddizioni di Pier Paolo Pasolini, restituendone la forza premonitrice in un contesto contemporaneo, con tempi e immagini pensati per un pubblico che vive il presente e desidera misurarlo attraverso il teatro.
Una partitura scenica tra voce, percussioni e paesaggi sonori
Protagonisti sul palco sono Giulia Canali, Gianni Poliziani e Alessandro Waldergan, accompagnati dalla voce di Diletta Maria D’Ascanio. Le loro presenze sono sostenute da un disegno sonoro che non fa da semplice cornice, ma genera contrappunti e visioni. Le musiche originali firmate da Riccardo Panfili, affidate all’ensemble Tetraktis Percussioni, scorrono come una corrente che alimenta la scena, mentre la parola si affila e si distende, trovando negli accenti ritmici una complicità capace di intensificare ogni passaggio narrativo. È un dialogo serrato, viscerale, che non concede distrazioni.
A completare il quadro, la sonorizzazione e i paesaggi sonori portano la firma di Paolo Scatena, che incastra dettagli acustici e risonanze per ampliare le possibilità della scena. Le elaborazioni video curate da Andrea Bisconti e il progetto luci di Alessandro Martini dilatano le prospettive, generando ambienti visivi che cambiano pelle insieme ai corpi degli attori. In questa architettura, ogni elemento dialoga con gli altri, come un’orchestra di gesti e segni che respira con il racconto, senza mai sovrastarlo. La cornice tecnica diventa così sostanza poetica.
Un viaggio nel mito di Pasolini
Il progetto mette in gioco la figura di Pier Paolo Pasolini come spettro che interroga e compagno di strada. Attraverso il linguaggio della scena e della musica, emerge l’artista, il poeta, l’intellettuale, ma anche quel “diavolo” irrequieto del Novecento, mai disposto a tacere. Il lavoro non ricompone, semmai accende: restituisce il pensiero, le contraddizioni, la vocazione profetica, invitando a sostare dove l’attrito brucia e l’interpretazione non si adagia, ma pretende ascolto e responsabilità. In questa messa in scena, il ritratto si fa vivo e urgente.
Non si tratta di un’agiografia, ma di un attraversamento che evoca e insieme interroga, riascoltando lo sguardo di Pasolini sul secolo che lo ha generato. Le tensioni, la lucidità, i paradossi che abitano le sue opere tornano in scena con densità e necessità, come se fossero stati scritti oggi. È un invito a misurarsi con quelle pagine e con il loro contraccolpo, per coglierne la potenza premonitoria e il disagio, senza smussature né scorciatoie consolatorie. Proprio lì nasce il necessario confronto.
La fiaba di Stravinskij e Ramuz come matrice narrativa
Alla radice del disegno drammaturgico pulsa una fiaba. Nel 1917, Igor Stravinskij e Charles-Ferdinand Ramuz attinsero all’immaginario delle fiabe popolari russe per comporre L’histoire du Soldat: il Libro, il Diavolo, il violino, la tentazione di una ricchezza futura, la nostalgia del vissuto e una principessa divennero simboli di una delle operazioni musicali e teatrali più magnetiche del Novecento. In quella partitura, la scena si fa campo di forze, dove la musica incide e racconta quanto le parole. Un’alchimia ancora oggi perturbante.
La trama è essenziale e implacabile: un soldato in congedo, sulla strada del ritorno al paese, estrae dal bagaglio un violino e ne lascia uscire la voce. Lì appare, in incognito, il Diavolo, rapito da quella maestria, pronto a proporre il patto. Il baratto è crudele: cedere lo strumento e insegnarne l’arte in cambio di un Libro capace di elargire ricchezza senza fine. È la tragedia dell’uomo davanti al fato, a forze che lo superano e lo conducono alla rovina.
Il progetto filmico del 1973 e l’eco di una rivolta
Nell’agosto del 1973, Pier Paolo Pasolini mise mano, insieme a Sergio Citti e Giulio Paradisi, a una sceneggiatura per il cinema dichiaratamente ispirata a quell’opera. L’idea era quella di misurarsi con L’histoire du Soldat attraverso una lettura che facesse deflagrare i simboli dentro un presente popolare e ruvido. Il progetto nacque come tentativo di rimettere in moto significati e conflitti, portando in immagini una partitura che da sempre chiede alla realtà di farsi carne. Un cantiere denso di possibilità inquiete.
Quella versione, vagheggiata e poi interrotta dalla sopraggiunta morte del poeta, non arrivò alla realizzazione. Si trattava di una rilettura dissacrante, popolare, militante e disperata del capolavoro di Stravinskij e Ramuz, capace di rilanciare l’idea di rivolta: la speranza che l’umanità di allora potesse inceppare la “macchina infernale” tante volte denunciata da Pasolini. Un desiderio di scarto e resistenza che attraversa come una corrente elettrica le pagine e le immagini rimaste su carta. E che oggi torna a pulsare in scena.
Le domande urgenti del presente e l’esercizio di anacronismo
Se oggi, nel 2024, si intende far risuonare dentro le maglie della nostra società gli antagonismi e le valenze critiche di quella partitura, occorre ripartire dagli interrogativi che guidarono Pasolini cinquant’anni fa. Chi incarna, ora, il soldato, l’uomo comune? Chi è il Diavolo? Quale oggetto può rappresentare il violino, l’anima, l’ethos? E da cosa può essere impersonato il Libro dell’archetipo patto, elemento corruttivo su cui “imparare a leggere” e da cui poter conoscere e decidere il futuro? Sono domande che non ammettono scorciatoie e pretendono sguardi nitidi.
Per dipanare quel filo, in una società che regala risposte lampo a domande mai poste, serve un esercizio di anacronismo deliberato: applicare al Pasolini degli anni Settanta gli strumenti di Pasolini stesso. Ripensare l’Historie filtrandola attraverso le lenti di un immaginario Pasolini catapultato negli anni Venti del XXI secolo, nei panni di un “diavolo” assetato di vendetta, deciso a punire la società che non ha dato ascolto al suo monito contro un capitalismo devastante e tiranno, la stessa “macchina” che non si è riusciti a inceppare.
Una squadra artistica e una casa teatrale in ascolto
Il lavoro è una produzione di LST Teatro e TETRAKTIS Percussioni, sostenuta dalle musiche originali di Riccardo Panfili, dalle elaborazioni video di Andrea Bisconti e dalle luci di Alessandro Martini. Insieme, gli artisti coltivano una ricerca di linguaggi contemporanei capace, con ironia, di innescare una guerriglia culturale permanente. Un’azione scenica armata di domande, dubbi e riflessioni, che non promette soluzioni immediate, ma apre varchi, accoglie le incertezze e concede al pubblico lo spazio per sostare nell’ambiguità, senza la garanzia di alcuna risposta.
Il TeatroBasilica è diretto dall’attrice Daniela Giovanetti e dal regista Alessandro Di Murro. L’organizzazione è curata dal collettivo Gruppo della Creta, affiancato da un team di artisti e tecnici, mentre la supervisione artistica è affidata a Antonio Calenda. Sono questi i riferimenti che accompagnano lo spettacolo, definendo il perimetro istituzionale e operativo entro cui il progetto prende forma e trova condivisione con il pubblico delle due date. Un assetto che sostiene concretamente ogni passaggio di questo percorso artistico e produttivo.
