AOL cambia proprietario. Bending Spoons, gruppo tecnologico con sede a Milano, ha firmato un accordo definitivo per acquisire AOL – portale, email e software per la privacy – dal perimetro Yahoo (controllato dai fondi Apollo). L’operazione prevede la chiusura dopo le consuete autorizzazioni regolamentari. A supporto, Bending Spoons ha messo in piedi un pacchetto di debito da 2,8 miliardi di dollari con un consorzio di grandi banche internazionali. L’azienda italiana rivendica una logica di possesso di lungo periodo: “non vendiamo le società acquisite”, ha ribadito il cofondatore e CEO Luca Ferrari.
Il marchio AOL non è un cimelio. Secondo le cifre comunicate, il servizio conta circa 8 milioni di utenti attivi giornalieri e 30 milioni mensili, rimanendo tra i provider di posta più usati al mondo. Numeri che spiegano l’interesse: una base fidelizzata, ricavi ricorrenti da abbonamenti (identità digitale, sicurezza, password management) e pubblicità sul portale. L’acquirente punta a investimenti sul prodotto e sull’esperienza d’uso per far crescere sia l’email sia il sito aol.com.
Che cosa prevede l’accordo
Il perimetro della transazione è limpido: AOL viene ceduta da Yahoo; la chiusura è vincolata alle condizioni di rito e ai nulla osta delle autorità competenti. L’annuncio parla esplicitamente di definitive agreement, non di trattativa preliminare. È una cessione industriale, non un semplice licensing del brand: l’obiettivo dichiarato è far prosperare AOL sotto nuova proprietà con investimenti sostanziali sulla tecnologia e sull’organizzazione.
Hanno scelto una struttura a tre binari: Term Loan A, Term Loan B (TLB) e una revolving (RCF) per avere ossigeno quando serve. E al tavolo non c’erano comparse. C’erano Banco BPM e UniCredit; Intesa Sanpaolo. C’erano i francesi BNP Paribas, Crédit Agricole CIB, Société Générale. I global player: J.P. Morgan, Goldman Sachs, HSBC. E poi il fronte giapponese, MUFG e Mizuho. Perfino Wells Fargo.
Il TLB l’ha diretto J.P. Morgan negli Stati Uniti; in Europa la regia è passata a BNP Paribas, Crédit Agricole CIB, J.P. Morgan SE e UniCredit. Tradotto: un finanziamento cucito su misura, con mani esperte e una foto che racconta molto – un’azienda italiana non quotata che siede con naturalezza tra i giganti e tratta alla pari.
Quanto vale AOL oggi
Il prezzo non è stato comunicato dalle parti, ma il valore della transazione è stimato nell’area 1,4–1,5 miliardi di dollari da più fonti finanziarie internazionali, in coerenza con le indicazioni circolate nelle settimane precedenti alla firma dell’accordo. Un range che, rapportato alla base utenti e ai margini operativi storicamente attribuiti ad AOL, delinea un multiplo prudente su un business con flussi di cassa robusti.
Nel frattempo è cambiata anche la fisionomia del marchio: AOL ha interrotto l’accesso dial‑up eredità degli anni Novanta, concentrandosi su email, contenuti e software per la sicurezza online. Il brand, insomma, ha lasciato definitivamente la vecchia rete commutata per muoversi su servizi a valore più alto.
Perché questa mossa conta per l’Italia
Un gruppo nato e cresciuto a Milano che mette le mani su un simbolo della storia di Internet non è un esercizio di stile: è una scelta strategica. Bending Spoons ha costruito credibilità acquistando, riorganizzando e rilanciando piattaforme digitali con grandi comunità: Evernote, Meetup, Remini, WeTransfer, StreamYard, Brightcove. E ha già un accordo firmato per portare in casa Vimeo in una transazione da 1,38 miliardi di dollari. L’operazione AOL rafforza questa traiettoria, con l’ambizione espressa di tenere e investire, non di fare mordi e fuggi.
In parallelo, l’acquisizione consolida un asse Italia‑USA che negli ultimi mesi ha visto Bending Spoons alternare consumer software, video cloud e piattaforme per creator. Questa ibridazione di prodotti e audience può generare scambi tecnologici tra i vari asset: dall’infrastruttura video di Brightcove alle community di Meetup fino agli strumenti di creazione e distribuzione contenuti, senza snaturare l’identità dei singoli marchi.
Cosa succede agli utenti di AOL
Le parole chiave sono continuità e investimenti. Il nuovo proprietario parla di una gestione di lungo corso, con piani per migliorare interfaccia, funzioni e monetizzazione. Per voi che usate l’email @aol.com o seguite il portale, non è previsto un “trasloco” improvviso: il passaggio di consegne avverrà dopo le approvazioni necessarie, e l’impegno dichiarato va nella direzione di potenziare i servizi esistenti, non di sospenderli.
I numeri di utilizzo – circa 8 milioni di utenti attivi al giorno e 30 milioni al mese – sono il punto di partenza. Il gruppo milanese li legge come una base da coltivare: tassi di ritenzione elevati, coinvolgimento quotidiano, spinta a trasformare una consuetudine in maggiore valore per l’utente (sicurezza, identità, strumenti moderni) e per il business (abbonamenti e pubblicità meno invasivi e più pertinenti).
Chi vende e perché ora
Il venditore è Yahoo, società controllata da Apollo: un legame storico, visto che AOL e Yahoo furono riuniti sotto l’ex perimetro Verizon e poi ceduti ai fondi nel 2021. Nelle scorse settimane si era parlato di una valutazione intorno a 1,4–1,5 miliardi di dollari: da allora il dossier è evoluto fino alla firma. Per Yahoo la cessione libera risorse per concentrare attenzione e capitale sui prodotti core; per AOL apre una stagione con governance dedicata e focus sul marchio.
Per chi segue i dossier M&A, la sequenza è coerente con la strategia build‑and‑hold già vista in casa Bending Spoons: Brightcove chiusa a inizio anno, Vimeo in arrivo, ora AOL. È la fotografia di un acquirente europeo che gioca, con metodo, partite da miliardo di dollari su asset americani con grandi basi utenti.
