Oggi piangiamo James Senese. Tutti. Voi che lo avete ascoltato una volta sola, noi che lo abbiamo inseguito per una vita. È morto a Napoli, il 29 ottobre 2025, a 80 anni. Una grave infezione polmonare lo ha portato via. Era ricoverato da più di un mese al Cardarelli: lo sapete, lo abbiamo seguito passo dopo passo. Quella notte tra il 24 e il 25 settembre le condizioni si sono aggravate. Da lì, una salita ripidissima. Stamattina la notizia ha fatto il giro dei telefoni prima ancora delle strade: un tonfo nello stomaco. Con James se ne va un pezzo di storia della musica italiana, l’anima jazz-funk di Napoli. E noi, qui, ve lo diciamo con la voce che trema.
Le circostanze della morte e l’annuncio di Avitabile
Negli ultimi anni James ha lottato. Dialisi, insufficienza renale, controlli, attese.
A fine settembre quell’infezione ai polmoni: dura, ostinata. Terapia intensiva, giorni lunghi, ore che non passavano mai. Le condizioni, già precarie, sono peggiorate fino a poche ore fa.
E poi l’annuncio, quello che non vorremmo scrivere: Enzo Avitabile, l’amico di una vita, lo ha detto per tutti noi, senza giri di parole, sui social:
«Non bastano parole per un dolore così grande ma solo un grazie! Grazie per il tuo talento, la dedizione, la passione, la ricerca. Sei stato un esempio di musica e di vita. Un amico per fratello, un fratello per amico. Per sempre». Bastano queste righe, poche e vere, per capire chi è stato James per Napoli e per chi gli è stato accanto. Noi vi chiediamo solo di leggerle piano.
Le ultime settimane avevano già visto il mondo della musica stringersi intorno a lui. Durante il ricovero, amici di una vita come lo stesso Avitabile, Nino D’Angelo e Tullio De Piscopo si erano recati al suo capezzale per offrirgli conforto. La sua assenza – a fine settembre – da un grande concerto tributo dedicato a Pino Daniele in Piazza del Plebiscito aveva destato preoccupazione nei fan, facendo intuire la gravità della situazione.
Il cordoglio del mondo musicale e culturale
La scomparsa di James Senese ha suscitato immediate e sentite reazioni nel mondo musicale e culturale, a Napoli e oltre. Sui social network si sono moltiplicati i messaggi di cordoglio di colleghi, allievi e fan, da chi lo conosceva personalmente a chi lo aveva scoperto attraverso la sua musica. Enzo Avitabile, nel suo messaggio d’addio già citato, lo ha definito un “esempio di musica e di vita”, sottolineando quanto Senese abbia rappresentato un fratello sul palco e fuori. Anche il Napoli Calcio, squadra della sua città, ha voluto rendergli omaggio pubblicamente: “Artista esemplare, illustre interprete del Napolitan Power che ha segnato pagine indimenticabili del panorama musicale italiano e mondiale”, si legge sull’account ufficiale del club. Parole che confermano come Senese fosse considerato non solo un orgoglio partenopeo, ma un patrimonio dell’intera cultura musicale italiana.
Molti artisti hanno ricordato la sua figura pionieristica. Musicisti napoletani di diverse generazioni – dai veterani come Tullio De Piscopo e Tony Esposito ai più giovani esponenti del rap e del funk partenopeo – hanno riconosciuto pubblicamente il debito artistico nei confronti di James Senese. In tanti hanno raccontato aneddoti personali e l’emozione di aver diviso il palco con lui. Il ricordo di Pino Daniele, scomparso nel 2015, è riemerso spesso nei messaggi: Pino considerava Senese un fratello maggiore e in un documentario disse di lui «I segreti che mi ha confidato li ho nel cuore e me li porterò fino alla fine del mondo», a testimonianza di un legame umano e artistico profondissimo. Attraverso queste voci, il lascito di James Senese appare tangibile: ha unito generazioni e creato una comunità musicale che oggi ne piange la perdita sentendosi orfana di un padre spirituale.
Gli esordi: dagli Showmen al Napoli Centrale
La storia artistica di James Senese – all’anagrafe Gaetano Senese – affonda le radici nei vicoli popolari di Napoli, dove nacque il 6 gennaio 1945. Figlio di madre napoletana, Anna, e di padre afroamericano (un soldato statunitense giunto in Italia con lo sbarco Alleato durante la Seconda Guerra Mondiale), James crebbe nel quartiere di Miano, nella periferia nord della città. La sua duplice eredità culturale – italiana e afroamericana – sarà determinante nel formare il suo stile musicale unico. Da ragazzino scoprì il jazz ascoltando il sassofono di John Coltrane e se ne innamorò perdutamente. A 12 anni imbracciò il suo primo sax, regalo della madre, decidendo che la musica sarebbe stata la strada della sua vita.
Torniamo dove comincia tutto, insieme a voi. Primi anni Sessanta. 1961: ha poco più di sedici anni e già decide. James mette su il primo complesso, “Gigi e i suoi Aster”, con Mario Musella al basso. Si suona nei locali campani. Punto. Si impara, si sbaglia, si riparte.
Passano pochi anni e da quelle prime prove nasce The Showmen. Qui la scossa: soul e rhythm & blues arrivano qui, dall’oceano, sulle orme di Otis Redding, James Brown, Marvin Gaye. Vi ci portiamo noi: chiudete gli occhi, sentite il fiato, il groove che morde. 1968: La svolta. Incidono “Un’ora sola ti vorrei”. Il grande pubblico li guarda, finalmente. Cantagiro: si vince. Fine della timidezza. E in un’Italia ancora legata alla canzone melodica, quel soul partenopeo che porta James Senese è una piccola rivoluzione. La sentiamo ancora addosso.
All’inizio degli anni ’70, dopo vari cambi di formazione, gli Showmen si sciolgono, ma James Senese non rallenta la sua corsa. Insieme al batterista Franco Del Prete – compagno inseparabile di tante avventure musicali – fonda nel 1972 gli Showmen 2, evoluzione rock-blues del gruppo originario. La vera svolta però arriva nel 1974, quando Senese e Del Prete decidono di dare vita a un nuovo progetto ancora più ambizioso: nascono così i Napoli Centrale, band destinata a entrare nella leggenda.
Con i Napoli Centrale, James compie un ulteriore passo avanti nell’elaborazione di un sound originalissimo: il gruppo abbandona le strade battute del rock progressivo allora in voga, per esplorare un terreno nuovo fatto di jazz-rock venato di tradizione popolare e cantato in dialetto napoletano. Brani come “Simme iute e simme venute”, “Campagna” e “’O nonno mio” – scritti in quegli anni da Senese e compagni – raccontano Napoli in maniera cruda e autentica, lontana dai folklorismi cartolina, facendo emergere nelle note “una Napoli reale, senza folclore”.
Nel gruppo dei Napoli Centrale militano musicisti di primo piano e giovani talenti destinati a carriere luminose. Tra questi, nel 1975 entra un giovanissimo Pino Daniele – allora poco più che ventenne – chiamato inizialmente come bassista della band. L’incontro tra James e Pino si rivelerà fondamentale per entrambi: l’uno contribuirà a lanciare la stella dell’altro. Anni dopo, Senese avrebbe raccontato di aver persino comprato di tasca propria il primo basso per Pino, aiutandolo a muovere i primi passi e a trovare la sua strada. Di lì a poco, Pino Daniele inizierà il suo percorso solista, ma l’amicizia e la collaborazione con James Senese resteranno un filo conduttore della scena musicale napoletana per i decenni successivi.
La consacrazione con Pino Daniele e il “Napolitan Power”
Fine anni Settanta: Napolitan Power. Tre parole e un brivido: rock, blues, jazz, tradizione napoletana messi a tavola insieme. Si assaggiano, si mescolano, si accendono. James è lì, davanti. Con Pino Daniele, Tullio De Piscopo, Tony Esposito, Enzo Avitabile… e gli altri di quella comitiva che avete nel cuore. Lo sentite il passo? Il fiato? È una stagione magica, ve lo diciamo con le mani che applaudono ancora.
Poi succede ciò che aspettavamo: con Pino Daniele nasce il supergruppo che cambia l’aria. Tullio De Piscopo (batteria), Rino Zurzolo (basso), Joe Amoruso (tastiere), Ernesto Vitolo (tastiere). James al fianco del cantautore napoletano, nei primi album di enorme successo. Pezzo dopo pezzo, palco dopo palco. È un’epoca. E voi, con noi, ci mettete l’orecchio e il cuore.
Il sax tenore di Senese diventa in quegli anni una voce inconfondibile nei brani di Pino, contribuendo a definire quel suono unico, sospeso tra blues e melodia partenopea, che conquisterà l’Italia. Capolavori del periodo come “Terra mia” (1977) e “Nero a metà” (1980) portano anche la firma strumentale di James Senese. Pino Daniele, riconoscente, non ha mai mancato di sottolineare quanto James fosse parte della sua stessa anima musicale: “James era il nero a metà per eccellenza”, diceva riferendosi all’amico di cui ammirava l’identità duplice, napoletana e insieme afroamericana.
Quella formazione mitica – Pino, James, Tullio, Rino, Amoruso, Vitolo – darà vita a concerti rimasti storici. Memorabile fu, ad esempio, il concerto del 1981 in Piazza del Plebiscito a Napoli, dove il sax di Senese risuonò davanti a una folla oceanica esaltata dal nuovo sound napoletano. Quella serata consacrò definitivamente il Napolitan Power agli occhi del mondo: Napoli mostrava di avere una scena artistica innovativa e universale, capace di parlare ai giovani mescolando il dialetto con i ritmi del funk e del jazz. James Senese era sul palco, con la sua chioma riccia e il sax stretto al petto, a incarnare fisicamente e musicalmente questa fusione di culture.
Dopo quegli anni d’oro, le strade artistiche di Pino Daniele e James Senese si separano parzialmente, ma mai definitivamente. Ognuno prosegue con progetti propri, restando però legato all’altro da amicizia e reciproca stima. Nel 2008, infatti, in occasione dell’album celebrativo “Ricomincio da 30”, Pino Daniele richiama in studio proprio i vecchi compagni degli anni ’80 – Senese, De Piscopo, Zurzolo, Amoruso, Vitolo – per suonare nuovamente insieme come ai vecchi tempi. È una sorta di reunion del supergruppo, che suggella una fratellanza artistica durata una vita. Sul finire del brano “Napule è” in quella raccolta, il sax di James piange dolcemente, come un saluto tra vecchi amici. Sarà l’ultimo grande lavoro in cui le loro strade si incontreranno: Pino Daniele morirà prematuramente nel 2015 e oggi James Senese lo raggiunge simbolicamente, chiudendo un cerchio della musica partenopea.
La carriera solista e gli ultimi anni
Nel 1983 i Napoli Centrale si sciolgono (si riuniranno poi più avanti), e per James Senese si apre una nuova fase: quella da solista. Liberato dai vincoli della band, James può esplorare ancor più liberamente le sue idee musicali, continuando però a portare nel cuore il groove imparato nelle jam napoletane. Nel corso degli anni ’80 e ’90 pubblica diversi album a suo nome, in cui mescola jazz, funk, canzone napoletana e incursioni nel pop. Tra i lavori più significativi c’è “Hey James” (1991), un album dal taglio autobiografico dedicato alla memoria del padre americano che non aveva mai conosciuto. Degno di nota anche “Zitte! Sta arrivanne ‘o mammone” (1993), disco in cui Senese ospita collaborazioni eccellenti con artisti del calibro di Lucio Dalla, Enzo Gragnaniello e Raiz degli Almamegretta – un progetto che dimostra la sua capacità di dialogare con scene musicali diverse mantenendo intatta la propria identità.
L’attività live di Senese prosegue instancabile. Negli anni ’90 il richiamo del Napoli Centrale si fa di nuovo sentire: James e Franco Del Prete decidono di riformare la band, inizialmente per alcuni concerti celebrativi e poi con nuova linfa creativa. La reunion si consolida e nel 1992 il gruppo torna ufficialmente sulla scena, inaugurando una seconda vita artistica. Da quel momento Senese alternerà i progetti solisti alle avventure con la rifondata formazione dei Napoli Centrale, regalando al pubblico altri decenni di musica dal vivo ad altissimi livelli. Emblematico è il fatto che solo tra il 2015 e il 2016 – quando era già settantenne – James Senese con i Napoli Centrale abbia tenuto oltre 180 concerti in tutta Italia (e anche all’estero): un tour de force che dimostra la vitalità e la passione inesauribile di questo artista.
Gli anni 2000 vedono James raccogliere meritati riconoscimenti. Nel 2011 gli viene conferito il Premio Armando Gill alla carriera, tributo alla sua storia musicale. L’anno seguente pubblica l’album “È fernuto ’o tiempo” (2012), mentre nel 2016 arriva un capolavoro tardivo con i Napoli Centrale: l’album “’O Sanghe”, scritto assieme all’amico ritrovato Franco Del Prete, che vince la prestigiosa Targa Tenco come miglior disco in dialetto di quell’anno. Si tratta di un lavoro intenso, in cui la voce e il sax di Senese raccontano Napoli con la profondità e la consapevolezza di chi la vive da settant’anni, suggellando la sua importanza anche per le nuove generazioni di cantautori.
Nel 2018 James celebra i 50 anni di carriera con uno spettacolo-evento a Sorrento, registrato e pubblicato in un doppio album live. Nello stesso periodo sperimenta nuove forme espressive: ad esempio reinterpreta alcuni suoi classici in versione corale assieme al gruppo vocale Soul Six, a dimostrazione che la sua creatività non conosce confini né età. Nel 2021, all’età di 76 anni, non paga di quanto già dato alle scene, James pubblica un altro album di inediti significativamente intitolato “James is Back” – quasi a dichiarare che la sua voce artistica è sempre pronta a ripartire. E infatti non si è mai davvero fermato: l’ultimo disco di James Senese è uscito appena pochi mesi fa, nel maggio 2025, dal titolo “Chesta nun è ’a Terra Mia”, ennesima testimonianza del suo legame viscerale con Napoli. Purtroppo, il tour di presentazione di questo album è stato interrotto dalla malattia sopraggiunta; e ora quelle nuove canzoni risuonano come un appassionato canto del cigno di una vita dedicata interamente alla musica.
Lo stile “nero a metà” e le radici napoletane e afroamericane
James Senese lascia in eredità non solo una discografia eclatante, ma anche uno stile musicale unico e rivoluzionario, figlio diretto delle sue radici biografiche. La sua identità multiculturale – “nero a metà” come lo definiva affettuosamente Pino Daniele – ha influenzato profondamente la sua arte, contribuendo a creare un sound inconfondibile in cui jazz, funk e rock si fondono con la tradizione melodica partenopea. In un’epoca in cui l’Italia guardava soprattutto a Sanremo, Senese portò i ritmi neri nelle strade di Napoli, mescolandoli con il dialetto napoletano e con le cadenze del Mediterraneo. Il risultato è stato un linguaggio musicale nuovo, capace di parlare agli ultimi e agli esclusi così come agli intenditori di jazz: il blues che incontra la sceneggiata, il funky che sposa la canzone di sentimento napoletana.
Non va dimenticato che James Senese, in quanto figlio di un afroamericano, ha dovuto affrontare sulla propria pelle anche diffidenze e pregiudizi. Lui stesso in più occasioni ha ricordato come, da giovane, alcuni concittadini facessero caso solo al colore scuro della sua pelle e non alla sua musica. «Mi hanno sempre fatto pesare l’avere la pelle di un altro colore… Chi non mi conosce vede solo un uomo nero», raccontò in un’intervista, sottolineando però di non aver mai rinnegato le sue origini e anzi di averle trasformate in forza creativa. Napoli, la sua città, lo ha forgiato ed è sempre rimasta al centro del suo mondo: “È quello che sono. Odori, sapori, sentimenti: ogni cosa fa parte di me”, diceva del capoluogo partenopeo, a dimostrazione di un legame inscindibile. Questa duplice anima – napoletana e afroamericana – ha fatto di James Senese un musicista senza confini, capace di essere profondamente locale (nei testi, nel dialetto, nelle tematiche sociali delle sue canzoni) e al contempo universale, grazie al linguaggio globale del jazz e del blues che scorreva nelle sue vene.
Sul palco, James era carisma puro. Imbracciava il suo sax tenore quasi fosse un’estensione naturale del corpo, lasciando uscire note ora dolenti ora travolgenti, sempre intrise di soul autentico. Il suo fraseggio, figlio dell’ascolto appassionato di John Coltrane e Miles Davis, si combinava con i riff di tammurriata e con i richiami melodici alle antiche canzoni napoletane. Ne scaturiva una miscela sonora che nessun altro ha saputo replicare: Napoli che suona il jazz. Non a caso, nel 1990 – quando si esibì all’Apollo Theater di New York, tempio della musica nera – gli americani lo definirono “Brother in Soul”, fratello nell’anima soul, un appellativo riservato ai grandissimi artisti e che incoronava Senese tra i più noti sassofonisti italiani a livello mondiale.
L’impatto sulla musica italiana e l’eredità culturale
James Senese è stato un innovatore e un pioniere, e l’impatto del suo lavoro sulla scena musicale italiana – e in particolare napoletana – è incalcolabile. Con oltre cinquant’anni di carriera ininterrotta, è stato punto di riferimento per generazioni di musicisti che in lui hanno visto un modello di coerenza artistica e passione infinita. Ha dimostrato che si poteva fare musica di respiro internazionale restando fedeli alle proprie radici locali, e che il dialetto napoletano poteva sposarsi con i ritmi d’oltreoceano generando qualcosa di nuovo.
Generazioni di artisti – dai cantautori napoletani negli anni ’80 fino ai rapper e ai musicisti jazz contemporanei – dichiarano di essere stati influenzati dal groove di Senese e dal suo approccio senza compromessi. Anche molti appassionati, in particolare nel Sud Italia, hanno trovato nelle canzoni di James una voce autentica che parlava delle loro gioie e difficoltà quotidiane, facendo di lui un vero beniamino del popolo.
L’eredità culturale di James Senese va oltre la musica suonata: sta anche nell’aver contribuito a sdoganare l’orgoglio afro-napoletano, se così si può dire, anticipando temi oggi attualissimi come l’inclusione e la valorizzazione delle identità miste. Negli anni ’70, vedere un artista figlio di un afroamericano primeggiare sulla scena italiana non era cosa comune: James, con la sua sola presenza e il suo talento, ha aperto strade e mentalità. Ha incarnato l’idea che Napoli è per sua natura un porto aperto, un crocevia dove nuove culture possono attecchire e dare frutti meravigliosi. In questo senso, ogni nota del suo sax era anche un messaggio sociale di integrazione e orgoglio delle proprie origini.
Infine, James Senese ha lasciato un segno anche oltre i confini nazionali. Nel corso della sua lunga carriera ha condiviso il palco e collaborato con numerosi giganti della musica internazionale: dal leggendario reggae man Bob Marley al maestro jazz Gil Evans, dal rivoluzionario dell’avanguardia Ornette Coleman all’Art Ensemble of Chicago, fino ai connazionali illustri come Roberto De Simone e lo stesso Pino Daniele. Questi incontri testimoniano come il talento di Senese fosse riconosciuto e apprezzato ben al di fuori della cerchia partenopea. La definizione di padre del Neapolitan Power con cui molti oggi lo omaggiano non è esagerata: senza di lui quella fertile stagione musicale napoletana non sarebbe stata la stessa, e probabilmente la fusione tra tradizione locale e linguaggi globali avrebbe avuto un corso diverso.
James Senese ci lascia un patrimonio enorme: decine di dischi, centinaia di canzoni e assoli indimenticabili, e soprattutto l’idea che la musica può abbattere ogni barriera culturale. Napoli perde la sua voce di sax più autentica, quel suono magico che sapeva essere insieme antico e moderno. Ma il suo spirito sopravvive nelle note che ha inciso e nel ricordo vivido di chi ha avuto la fortuna di ascoltarlo dal vivo, magari in un club affollato con il pubblico in piedi ad acclamare.
“La musica è la vita. Mi ha dato una libertà che non avevo”, amava dire James Senese. E la sua musica continuerà a vivere, libera, ogni volta che qualcuno nel mondo metterà sul piatto un suo vinile o ascolterà in streaming i fiati travolgenti di Campagna o le malinconiche melodie di Chi tene ’o mare. Addio James, e grazie: la tua eredità risuonerà per sempre nelle vene di Napoli e nelle anime di tutti noi che ti abbiamo voluto bene.
