Una voce esperta torna a misurare il termometro della politica italiana. In tv, a Otto e mezzo su La7, Romano Prodi mette in fila i nodi: alternative fragili, scelte di bilancio controverse, Europa impantanata nei veti. E un mondo che si rimescola, tra Washington e Pechino, osservato con lucidità e senza indulgenze.
Un appello che scuote il campo progressista
Il Professore ha messo il dito sulla ferita: senza un progetto serio e verificabile non esiste competizione. L’attuale alternativa, dice, è povera di energia e visione; il leader può venire dopo, prima serve un programma pluralista costruito con pazienza e dialogo. Nello studio di Lilli Gruber, Prodi ha chiarito di non patrocinare nuovi soggetti, pur guardandoli con interesse e offrendo consigli anche non richiesti, passaggio rilanciato da Adnkronos. Il messaggio è netto: la trama viene prima della firma in copertina.
Dal monito politico alla critica sui conti il passo è breve. Prodi parla di scelte che “fanno figli e figliastri”, citando l’esempio dei definanziamenti per le metropolitane nelle grandi città amministrate dal centrosinistra. Le tabelle di manovra segnalano per il 2026 meno 50 milioni sulla Metro C di Roma e 15 milioni in meno sulla M4 di Milano, con tagli analoghi per Napoli, dossier che ha acceso lo scontro nella maggioranza e le reazioni dei sindaci, come documentato da ANSA, Il Foglio e il Corriere.
L’Europa tra veti incrociati e responsabilità geopolitiche
Nell’analisi di Prodi, l’Europa “non ha contato” né su Gaza né sull’Ucraina perché i veti hanno frenato decisioni comuni: per uscire dall’impasse, propone di superare l’unanimità nelle materie di politica estera. A livello istituzionale, il Consiglio ricorda che la maggioranza qualificata è già lo standard in molti ambiti, mentre l’unanimità resta per i dossier più sensibili: un equilibrio che oggi mostra tutti i suoi limiti. Nelle conclusioni del 26 giugno 2025, i leader hanno chiesto un cessate il fuoco immediato a Gaza, segno di una volontà politica ancora da tradurre in efficacia.
I fatti recenti fotografano la difficoltà del meccanismo: dai veti e minacce di veto di Ungheria e Slovacchia su sanzioni e aiuti all’Ucraina, fino ai tentativi, raccontati da Euronews, di rimodulare le regole sull’allargamento per aggirare blocchi seriali. Intanto, sul fronte globale, il 30 ottobre è in agenda il faccia a faccia tra Donald Trump e Xi Jinping a margine dell’APEC di Busan, appuntamento confermato dalla stampa statunitense. Nell’incastro tra Washington, Pechino e Bruxelles si gioca la sostanza dell’influenza europea.
La scena internazionale che bussa alla porta
Prodi guarda con interesse al colloquio Trump–Xi, convinto che senza un’intesa fra USA e Cina la parola “pace” resti lettera morta. La prossima settimana, il bilaterale annunciato per il 30 ottobre a Busan arriva dopo mesi di segnali e negoziati, rilevati da fonti come Politico e Reuters. L’osservazione del Professore è antica e attuale insieme: le tregue si scrivono dove s’incontrano potenza economica e potere politico. A Bruxelles, però, la credibilità passa dal superamento dell’eterno “no” incrociato.
Nello stesso intervento televisivo, Prodi ha insistito sulla necessità di un’alternativa domestica che stia in piedi per contenuti e obiettivi, e non per slogan. Il suo ragionamento tiene insieme i livelli: riforme a casa nostra, un’UE capace di decidere, e un equilibrio globale in cui l’Italia tuteli i propri interessi nella cornice europea. Le parole sul “potere che discrimina” chiamano in causa la selettività di alcune scelte di bilancio, oggetto di contestazioni pubbliche e difese tecniche nelle sedi istituzionali e politiche.
Domande in tasca
Prodi sta sostenendo la nascita di un nuovo movimento politico? No. Nell’intervista ha chiarito di non sostenere alcun nuovo soggetto, pur osservando con curiosità le iniziative in campo e dichiarandosi pronto a offrire consigli anche se non richiesti. Al centro del suo messaggio c’è un metodo: prima si scrive un programma inclusivo e verificabile, poi si sceglie chi lo guida. È una linea ribadita nella puntata di Otto e mezzo e riportata in sintesi da Adnkronos, con l’invito a ricucire attraverso il dialogo concreto.
I tagli alle metropolitane sono confermati o si tratta di una rimodulazione? Le tabelle della manovra indicano per il 2026 definanziamenti su Metro C di Roma (50 milioni) e M4 di Milano (15 milioni), con effetti su altri interventi come Napoli. La vicenda ha innescato un confronto politico: da una parte c’è chi parla di tagli, dall’altra chi li definisce riprogrammazioni temporanee. I numeri e lo scontro sono ricostruiti da ANSA, Il Foglio e Corriere, mentre i sindaci chiedono certezze sui flussi per evitare ritardi e costi extra.
Ultima curva: responsabilità e misura
La politica vive di parole, ma si giudica sui fatti. Le frasi di Romano Prodi pesano perché chiedono disciplina e concretezza a un’area che, se vuole tornare competitiva, deve convergere su un’agenda misurabile: lavoro, servizi, infrastrutture, politica europea coerente. Dall’altra parte, il governo è chiamato a spiegare ogni rimodulazione di spesa con dati e tempi certi, soprattutto quando tocca nodi strategici come la mobilità urbana. Solo così si evita l’impressione di scelte “a geometria variabile”.
In fondo, la sfida è tutta qui: passare dalla cronaca alla costruzione. Un campo progressista capace di reggere lo sguardo degli elettori nasce da un programma riconoscibile, non dall’alchimia delle leadership. E un Paese che vuole contare in Europa deve spingere per istituzioni in grado di decidere. L’immagine che resta dallo studio televisivo è semplice e impegnativa: visione, regole, responsabilità. Il resto, come spesso accade, è rumore di fondo destinato a svanire.
