Tra le luci della promozione di Frankenstein, Guillermo del Toro rilancia un pensiero netto: l’innovazione non lo spaventa, lo inquieta l’incoscienza umana. Da queste premesse nasce un film attesissimo e un dibattito acceso sul ruolo dell’Intelligenza Artificiale nell’industria, mentre il regista difende con ostinazione la mano e il cuore dell’artigiano.
Un rifiuto netto: l’IA fuori dal suo cinema
Tra la conversazione con NPR Fresh Air del 23 ottobre e interviste successive, il regista ha fissato la sua posizione: «Preferirei morire» piuttosto che usare l’IA generativa. A 61 anni, afferma, non intende delegare alcun gesto creativo a un algoritmo. E riconosce in Victor Frankenstein l’“arroganza” di certi tech bros, ciechi alle conseguenze. Lo hanno rilanciato testate come Business Insider e GamesRadar. Una visione che rimette al centro un fare umano, tattile, fatto di tempo e responsabilità, e di convinzioni maturate in decenni di set.
Del Toro ha però disinnescato la lettura più facile: Frankenstein non è una parabola sull’IA. In conferenza stampa al Lido, come riportato da ANSA e la Repubblica, ha rimesso al centro la domanda di Shelley: cosa ci rende umani? Imperfezione, perdono, appartenenza. Reuters ha ricordato che la critica non è alla scienza, ma alla hybris: l’abuso di potere, l’irresponsabilità. E la battuta che ha fatto il giro dei giornali: «Non mi spaventa l’intelligenza artificiale, mi spaventa la stupidità naturale», detto con un sorriso amaro.
Venezia, ovazioni e calendario di uscita
Alla Mostra di Venezia, il 30 agosto 2025, l’anteprima mondiale ha ottenuto un’ovazione di tredici minuti, stando all’Associated Press. Sul palco, Oscar Isaac e Jacob Elordi — scienziato e creatura — hanno condiviso l’emozione con il pubblico. Dopo i festival, il percorso distributivo prevede l’uscita limitata dal 17 ottobre e l’arrivo su Netflix il 7 novembre, come confermato dal sito editoriale Tudum. People ha raccontato il durissimo trucco affrontato da Elordi. Un dettaglio che restituisce la dedizione imposta dal personaggio.
Il cast che abita l’universo di Mary Shelley è ampio: oltre a Isaac ed Elordi, Mia Goth è Elizabeth Lavenza e Christoph Waltz affianca i protagonisti. Con loro Felix Kammerer, Lars Mikkelsen, David Bradley, Christian Convery, Ralph Ineson e Charles Dance. I materiali ufficiali di Netflix — tra schede e note pubblicate su Tudum e nella pagina del titolo — confermano ruoli e presenze. La distribuzione seguirà un percorso ibrido: sale selezionate, poi la visione domestica globale, nelle stesse date.
Domande lampo, risposte a caldo
Userebbe mai l’IA generativa nel suo lavoro? La risposta che ha dato in radio, ospite di NPR Fresh Air rilanciata da WUSF, non lascia spazi: «Preferirei morire». Ha spiegato di non voler “interessarsi, né ora né mai” a strumenti che sostituiscano il lavoro umano, e che a 61 anni intende rimanere fedele a una pratica artigianale. Nelle interviste riprese da Business Insider e GamesRadar ha rimarcato la distanza da chi sperimenta senza porsi domande sulle conseguenze. Una posizione etica chiara.
Il suo Frankenstein è un messaggio anti-tecnologia? Alla conferenza stampa veneziana, riassunta da ANSA e da la Repubblica, del Toro ha chiarito che no: il film non è una metafora dell’IA. La domanda centrale resta umanissima — cosa ci rende persone, dentro tempi segnati da terrore e intimidazione. Reuters ha riportato il suo invito a guardare oltre gli slogan: restano l’amore, il perdono, il riconoscimento dei limiti. E una battuta che pesa: «Mi spaventa la stupidità naturale», detta con decisione.
La nostra chiosa: l’umano che resta
Ci colpisce la scelta di spostare il discorso dall’allarme tecnologico al comportamento umano. Nelle parole del regista si sente il peso dell’esperienza e la necessità di responsabilità: non basta inventare, bisogna rispondere delle conseguenze. Frankenstein diventa allora una lente d’ingrandimento sui vuoti affettivi, sulle smanie di controllo, sulle solitudini che rendono crudeli. È un racconto che chiede silenzio, ascolto, cura. Una lezione che vale ovunque: fermarsi, riflettere, misurare l’impatto prima di premere “avvia”. E chiede di tenere insieme bellezza e responsabilità.
Nei prossimi giorni l’incontro con il pubblico allargherà il raggio di questa discussione, tra sale scelte e poi la visione domestica. Non è soltanto un film atteso: è un invito a guardarci dentro mentre osserviamo la creatura alzare lo sguardo. Se davvero il rischio maggiore è la leggerezza con cui trattiamo la nostra responsabilità, allora questa storia ci chiede un passo in più: restare umani, con coraggio. Per questo, come lettori e spettatori, torniamo a pretendere cura, spiegazioni, limiti condivisi.
