Porte che si aprono in fretta, documenti che svaniscono quando servono: l’onda tra Italia e Brasile della cittadinanza per discendenza è arrivata fin dentro i tribunali, trascinando falle amministrative e inchieste locali. Nel mezzo, migliaia di persone, carte che non viaggiano e diritti che rischiano di restare sospesi, mentre ogni pratica diventa un intreccio di attese, silenzi e responsabilità condivise.
Un labirinto di carte che rallenta la giustizia
Un’inchiesta di Adnkronos racconta un meccanismo che si inceppa proprio quando la giustizia dovrebbe accelerare: notifiche che non arrivano, pratiche non protocollate, risposte dei Comuni o dei Consolati che si perdono, fino a rendere evanescente la prova del riconoscimento della cittadinanza per alcuni italo-brasiliani coinvolti in procedimenti penali. In questa intermittenza amministrativa, il documento tricolore finisce per comparire e scomparire, a seconda delle carte disponibili in quel momento, orientando tempi e strategie nelle aule di giustizia.
Le ricadute non sono astratte. Per fatti commessi all’estero ai danni di un cittadino italiano si può procedere in Italia, ma contano presenza dell’indagato e prova della cittadinanza; se un Comune non certifica o un Consolato tace, i fascicoli si fermano e persino un’eventuale condanna, che può incidere sul mantenimento della cittadinanza, resta sospesa. Sul territorio, intanto, a Crocetta del Montello un’indagine ha svelato residenze lampo e dieci indagati, con “pacchetti” a pagamento attorno ai 3mila euro.
Numeri e regole aggiornate
I dati aiutano a misurare la portata. L’Istat stima 121mila acquisizioni di cittadinanza nel 2024, il 4,4% in più sul 2023; secondo gli ultimi dati definitivi, oltre la metà dei riconoscimenti arriva per discendenza. America centro-meridionale in primo piano: oltre 41mila in Brasile e circa 33mila in Argentina. A guidare la mappa consolare sono San Paolo e Buenos Aires, che insieme concentrano più di un quarto dei riconoscimenti complessivi registrati.
Nel 2025 è arrivata la stretta: il decreto-legge 36 del 28 marzo, convertito nella legge 74 del 23 maggio, ha ridisegnato i binari del riconoscimento. Per chi nasce all’estero non c’è più automatismo: servono legami effettivi con l’Italia, come l’ascendente di primo o secondo grado con sola cittadinanza italiana o la residenza in Italia del genitore per almeno due anni prima della nascita, secondo le indicazioni operative del Ministero degli Affari Esteri.
Domande sul campo, risposte rapide
Cosa significa che il passaporto “sparisce” nei fascicoli? Significa che, quando richieste, note o riscontri non vengono archiviati o non viaggiano tra procure, comuni e consolati, la prova della cittadinanza acquisita diventa difficilmente reperibile proprio nel momento in cui serve al procedimento. È un vuoto creato da ritardi e omissioni che lascia sospesi ruoli, notifiche e strategie processuali, trasformando un diritto in un documento che sembra apparire e dissolversi a seconda del passaggio amministrativo che si inceppa.
La riforma 2025 blocca i riconoscimenti per i discendenti? No. La riforma non cancella la cittadinanza per discendenza, ma la vincola a un legame concreto. Le linee operative della Farnesina chiariscono che per i nati all’estero non c’è più un riconoscimento automatico: si valutano condizioni specifiche, come quelle sugli ascendenti o sulla residenza pregressa del genitore in Italia. In sostanza, i percorsi restano, ma vengono filtrati da requisiti stringenti e verifiche documentali più esigenti rispetto al passato.
Uno snodo che ci riguarda da vicino
Il nodo giudiziario è il riverbero di pressioni che si accumulano negli uffici municipali. Nel bellunese, Val di Zoldo (2.850 abitanti) ha visto affastellarsi oltre 600 pratiche di oriundi sudamericani in pochi anni, come raccontato dalla testata regionale della Rai. Di fronte a carichi fuori scala, alcuni Comuni hanno introdotto contributi amministrativi fino a 600 euro per la gestione delle domande, soluzione resa praticabile dal quadro di finanza pubblica: un esempio è Valbrenta, che ha fissato il contributo a 600 euro.
La partita, ora, è tutta nella responsabilità quotidiana: procedure ordinate, scambi rapidi tra uffici, verifiche puntuali. Solo così la cittadinanza smette di essere un miraggio burocratico e torna ad essere un patto di appartenenza che non lascia indietro nessuno. La cronaca recente – dalle inchieste venete alla riforma del 2025 – ci ricorda che il confine tra diritto e abuso si gioca nella cura delle carte, nell’ascolto delle persone e nella trasparenza delle istituzioni.
