Milano accoglie le parole, i sorrisi, la tensione buona delle grandi occasioni. Nell’aula di Università Bocconi, il confronto sul percorso verso Milano Cortina 2026 scorre tra applausi e attese. Roberta Metsola parla, ringrazia, racconta. Poi saluta. Quando tocca a Giovanni Malagò, la scena cambia registro: nasce una riflessione che pretende ascolto e responsabilità, senza veli né giri di parole.
Una sala che si svuota, una frecciata che resta
Il presidente della Fondazione Milano Cortina 2026 osserva la platea, nota l’assenza di molti rappresentanti politici e lo dice con schiettezza. Non per sterile polemica, precisa, ma per un dovere di chiarezza verso chi lavora al progetto e verso i cittadini. Il suo invito è a restare in sala, ad ascoltare anche ciò che esce dai binari formali. È un appello a prendersi la responsabilità del momento, perché ogni parola oggi pesa come una scelta, più che come un rito.
Poi arriva il passaggio più netto. Malagò rivendica l’orgoglio europeo del team, ma puntualizza che da Bruxelles non è arrivato, a suo dire, alcun sostegno concreto: “nessun voto di supporto, nessun euro”. Un colpo secco, rivolto idealmente anche a Metsola, ormai fuori dall’aula. Non un attacco, ribadisce, ma la constatazione di chi deve chiudere i conti: il budget fissato nel 2019 non appartiene più al mondo di ottobre 2025, cambiato e imprevedibile.
Il quadro d’insieme: date, protagonisti e contesto
L’appuntamento è stato annunciato dall’Ufficio del Parlamento europeo a Milano e dall’ateneo, con una scaletta che ha riunito istituzioni e sport: oltre a Metsola e Malagò, il presidente del Coni Luciano Buonfiglio, il presidente del Cip Marco Giunio De Sanctis, i saluti di Attilio Fontana ed Elena Buscemi, e la moderazione della giornalista di Sky TG24 Stefania Pinna, come indicato nelle comunicazioni ufficiali. Sul palco, Metsola ha ammorbidito i toni ricordando la corsa “prima nello sport, poi in politica”, tra autoironia e immagini familiari.
Fuori dalla cornice scenica, restano i dossier. Nelle settimane scorse, le verifiche della Commissione di Coordinamento del Cio hanno messo sotto lente impianti e avanzamento lavori; lo stesso Malagò ha parlato di “lavori quasi fatti”, mentre in un’intervista radiofonica ha scandito che “i giorni che mancano servono tutti”, segnalando la tappa alle Nazioni Unite per la tregua olimpica. È il contesto che dà spessore alla richiesta di concretezza emersa in Bocconi, raccontato anche dalle cronache Ansa.
Domande rapide, risposte senza fronzoli
L’Europa ha sostenuto economicamente Milano Cortina? Dal palco, Giovanni Malagò ha affermato che non c’è stato né un voto formale di sostegno né risorse dirette da parte delle istituzioni europee. La presenza politica c’è stata – come mostrano le comunicazioni dell’Ufficio del Parlamento europeo e dell’Università Bocconi – ma, nelle sue parole, non si è tradotta in contributi di bilancio. La sua non è rivalsa: è un monito perché le prossime candidature europee non restino sole.
Chi porterà il tricolore alla cerimonia? Alla domanda di Stefania Pinna, Malagò ha scherzato (“Malagò e Buonfiglio”), poi ha smorzato i toni. Intanto, il presidente del Coni Luciano Buonfiglio ha spiegato in interviste riprese da Ansa e Adnkronos che i portabandiera saranno due a Milano e due a Cortina, sempre un uomo e una donna. I nomi arriveranno dopo il confronto con federazioni e giunta, senza corse in avanti.
Uno sguardo che pretende impegno, non passerelle
Sul fronte dei cantieri, Attilio Fontana ha assicurato che le opere fondamentali saranno pronte e utilizzabili, con l’ormai consueta chiosa prudente: “se non succedono disastri”. Una frase che restituisce il clima reale: si lavora a ritmo serrato, tra verifiche, collaudi e scadenze sovrapposte. Le ultime ispezioni del Cio, ricordate dalle agenzie, vanno in questa direzione: fotografie tecniche, più che slogan. È lì che la distanza tra parole e fatti diventa misurabile.
La mattina milanese ci lascia un messaggio limpido. Il racconto lieve di Metsola, le punte di Malagò, le rassicurazioni di Fontana compongono un mosaico che chiede serietà. A noi interessa questo: meno palco, più decisioni; meno riflessi condizionati, più responsabilità condivisa. Se le Olimpiadi sono un patto con il Paese, allora ogni attore – istituzioni, politica, organizzatori – deve restare in sala fino all’ultimo, ascoltare e rispondere. È così che un progetto diventa realtà.
