Una sera milanese fatta di luci e folla curiosa ha riportato Fabio Fazio e Luciana Littizzetto al centro della scena. Sul palco, i due hanno riletto il lungo viaggio di Che tempo che fa: passaggi di rete come cicatrici e un approdo sul Nove che ha ribaltato ogni previsione, in un tempo televisivo che corre e cambia pelle.
Una rotta che cambia e un pubblico che non molla
Nel cuore di Milano, durante il nuovo Festival dello Spettacolo ideato da Tv Sorrisi e Canzoni, i protagonisti hanno raccontato la loro traversata: dai traslochi interni in Rai, vissuti come correzioni di rotta imposte, fino all’accoglienza sul Nove che ha riunito il pubblico senza smarrire identità. Un palcoscenico affollato e partecipe, nello spazio di Superstudio Più, dove l’incontro con i lettori diventa dialogo a cielo aperto dal 24 al 26 ottobre 2025.
La svolta del 2023 ha sorpreso molti, ma i numeri hanno dato sostanza alle emozioni: l’esordio sul Nove toccò 2,1 milioni di telespettatori con il 10,5% di share, un avvio capace di fissare un primato per Warner Bros. Discovery. Il percorso non si è fermato lì: la stagione 2024/2025 si è chiusa con una media di circa 1,9 milioni e il 10% di share, confermando il podio domenicale e la fedeltà di chi ha scelto di seguirli anche cambiando canale.
Tra dirette-marathon, abitudini che cambiano e scelte editoriali
Ogni domenica lo show corre per ore in diretta, senza rete, mescolando registri e ospiti con l’agilità di un piatto unico: impasto di notizie, racconti, ironia. È anche qui che si misura il cambiamento delle abitudini: l’avvio delle prime serate più tardi, spesso verso le 22, altera i ritmi di chi il lunedì lavora e trasforma la lettura degli ascolti. Eppure, l’asse resta saldo: il Nove è cresciuto in prima serata proprio grazie a questo marchio editoriale.
Non sono mancate ombre e scosse. Littizzetto ha ricordato la satira del 9 marzo, poi finita in un’aula giudiziaria per una querela presentata a Milano dall’ufficiale in congedo Pasquale Trabucco; attorno, reazioni e prese di posizione che hanno allargato il dibattito sul rispetto dovuto a chi indossa l’uniforme. Un passaggio delicato, raccontato con cautela e senza retorica, perché il riso non tolga spazio alla responsabilità delle parole.
Domande a bruciapelo
Il passaggio dalla Rai al Nove ha cambiato l’essenza del programma? L’identità è rimasta quella di sempre: conversazioni lunghe, ospiti che contano, ironia che spiazza. La differenza l’ha fatta il pubblico, che ci ha seguiti con pazienza, trovandoci di nuovo la domenica. I dati dicono che l’innesto ha funzionato, ben oltre le attese iniziali, e questo ci impone di essere all’altezza, settimana dopo settimana, senza adagiarci sulle cifre.
Ha ancora senso misurare gli ascolti come una volta? Quando la prima serata scivola tardi e la fruizione è più frammentata, il metro di un tempo perde nitidezza. Servono letture più elastiche, capaci di cogliere durata, contesti, concorrenza e abitudini digitali. Le percentuali aiutano, ma l’ago vero resta la relazione con chi guarda: continuità, credibilità, capacità di sorprendere senza tradire il patto con casa.
Un finale che guarda avanti
La lunga corsa di Che tempo che fa conta ventitré anni, un orizzonte attraversato da mode, piattaforme, linguaggi. Eppure, quando le luci si abbassano e il silenzio dello studio trattiene il fiato, è la stessa, antica promessa a valere: raccontare il presente, farlo entrare nelle case con garbo e curiosità, trovare il tono giusto tra il sorriso e l’ascolto. Tenersi stretti alla realtà, senza perderne il calore.
Nel mare agitato della tv di oggi – con decine di talk e una domenica affollatissima – la rotta è tracciare senso, non solo risultato. È qui che quel riconoscimento consegnato da Aldo Vitali, i Telegatti a Fazio e Littizzetto nel cuore del Festival, diventa simbolo: non un punto d’arrivo, ma un invito a continuare a osare, a restare vicini alle persone, a meritare ogni volta la platea conquistata.
