Quando la diagnosi di tumore al seno entra nella vita, tutto cambia. Ma c’è un gesto semplice, concreto, che può rimettere in moto la fiducia: muoversi insieme. La voce del mental coach Giovanni Frangi lo ribadisce con chiarezza, accendendo l’attenzione su uno strumento quotidiano e potente: lo sport, praticato con gradualità e in gruppo.
Sport e relazione: quando il gruppo restituisce respiro
Nel suo intervento, Giovanni Frangi, tecnico di Nordic Walking, descrive la malattia come un passaggio che può irrigidire i pensieri e allontanare dalla vita sociale. Lo sport, soprattutto condiviso, diventa allora un ponte: permette di confrontarsi, uscire di casa, ritrovare una routine possibile, “fare squadra” e riavviare la normalità. Un invito pratico, non teorico, che mette l’esperienza al centro e propone il movimento come antidoto alla paura. Lo ha raccontato durante un incontro dedicato al dopo-cura.
A Milano, il 22 ottobre 2025, allo Spazio Pio XI, l’appuntamento “Avrò cura di me. Una nuova vita dopo un tumore al seno” di Donna Moderna ha acceso i riflettori sul ritorno alla quotidianità, nel solco dell’Ottobre rosa e con il contributo non condizionante di Novartis. Un dialogo aperto su prevenzione terziaria e attività fisica, che ha raccolto testimonianze, competenze cliniche e prospettive di benessere per le donne nel follow-up. Lo spirito dell’evento e il suo perimetro sono stati presentati dalla redazione del magazine e ripresi dalle cronache del giorno.
Muoversi con testa: cautele, cicatrici e un ritorno graduale
Frangi lo sottolinea con nettezza: le cure restano imprescindibili. Accanto alle terapie, un approccio mentale lucido e una pratica fisica prudente aiutano a riprendersi spazi di autonomia. Dopo interventi di asportazione parziale o totale del seno, possono persistere aderenze e cicatrici: occorre attenzione, ascolto del corpo, movimenti progressivi e ben dosati, senza forzare l’ampiezza articolare. Il Nordic Walking è utile perché modulabile: si può scegliere quanto coinvolgere la parte superiore del tronco e calibrare l’ampiezza del gesto in sicurezza, sempre in accordo con l’équipe clinica.
Le raccomandazioni internazionali confermano questa strada: l’American College of Sports Medicine indica che l’esercizio, durante e dopo le terapie, riduce fatigue, ansia e depressione, migliora funzione fisica e qualità di vita, senza peggiorare il linfedema se pianificato correttamente. Evidenze recenti mostrano che anche il resistance training non aggrava il linfedema e può migliorare la composizione corporea; revisioni e meta-analisi supportano programmi aerobici e di forza adattati, con progressione guidata dai sintomi. La sicurezza nasce da metodo, gradualità e supervisione qualificata.
Domande pratiche, risposte veloci
Quanta attività fisica serve davvero? Le linee guida per le persone che hanno avuto un tumore suggeriscono, quando il medico dà l’ok, almeno 150 minuti a settimana di esercizio moderato (o 75 di vigoroso) più 2 sedute di rinforzo muscolare, adattando volume e intensità al proprio percorso clinico. Si parte anche da passeggiate brevi o da esercizi in casa, con progressioni graduali e verifiche periodiche: i programmi domiciliari, se ben strutturati e seguiti, migliorano capacità aerobica e qualità di vita.
Il Nordic Walking è adatto dopo un intervento al seno? È una disciplina che consente di dosare sforzo e ampiezza del gesto, utile quando occorre rispettare cicatrici e tessuti dolenti. Studi su donne operate hanno rilevato miglioramenti di forza, flessibilità e capacità funzionale; in alcuni protocolli, associato a esercizi mirati, si è osservata riduzione delle circonferenze del braccio. Nessuna pratica è “magica”: contano gradualità, tecnica corretta, istruttori formati e confronto costante con i curanti.
Ritrovare una rotta condivisa
La fotografia che emerge dagli incontri di Ottobre è nitida: l’attività fisica non è un dettaglio accessorio, ma un tassello concreto del dopo-cura. Lo confermano le campagne sostenute da Novartis e il lavoro sul campo raccontato negli appuntamenti di Donna Moderna, dove prevenzione terziaria e allenamento personalizzato fanno parte di una stessa visione centrata sulla persona. È lì che molte donne ritrovano ritmo, energia e relazioni che fanno bene al corpo e alla mente.
Da cronisti, abbiamo visto che la ripartenza non è uno slogan: è un cammino che chiede professionalità, programmi misurati e comunità. Allenarsi diventa così un impegno gentile, un patto con se stesse che restituisce spazio alla quotidianità: un passo dopo l’altro, tra natura, palestra o percorsi urbani, con due bastoncini o senza, ma sempre con la consapevolezza che la cura prosegue anche lì, dove il movimento si intreccia alla vita di ogni giorno.
