Al Teatro Sannazaro debutta “Prime di settimana”, rassegna che mette al centro nuovi linguaggi scenici e talenti under 35. Il cartellone si apre il 27 ottobre alle 21 con “Rosaura alle dieci” di Marco Denevi, in scena anche il 28 e 29, firmato in ideazione, regia e interpretazione da Stefano Angelucci Marino e Rossella Gesini.
Una rassegna che scommette sul presente
“Prime di settimana” nasce in collaborazione con la compagnia Teen Theatre e concentra l’attenzione sui linguaggi della scena più freschi e sperimentali, affidandoli a interpreti e creatori under 35. Gli spettacoli trovano spazio tra lunedì e mercoledì, scelta che permette a queste voci di risuonare quando il ritmo della città rallenta e l’ascolto si fa più nitido. È un patto col pubblico: scommettere sull’energia dei giovani e su forme nuove di racconto, senza mediazioni né alibi, per trasformare i primi giorni della settimana in un laboratorio vivo di teatro.
La rassegna si apre il 27 ottobre alle ore 21 con “Rosaura alle dieci”, proposto anche il 28 e il 29 ottobre. Il Teatro Sannazaro – Centro di Produzione Teatrale accoglie il pubblico in Via Chiaia, 157. Per informazioni e prenotazioni sono disponibili i contatti della sala: info@teatrosannazaro.it e 081 411723. L’invito è a varcare la soglia con curiosità, per incontrare un progetto che parla al presente con strumenti agili e un respiro internazionale, mantenendo saldo il legame con la città e con chi la abita ogni giorno.
Un delitto, cinque racconti, una verità frantumata
“Rosaura alle dieci” è il racconto di un crimine filtrato da cinque voci diverse. Ogni protagonista aggiunge un frammento, una luce obliqua, un dubbio: così il puzzle si compone e si disfa, fino a rivelare una verità che non è mai una sola. Consciamente o inconsciamente, tutti mentono; consapevolmente o meno, tutti dicono la verità. La forza dell’opera sta in questa oscillazione tra sincerità e inganno, tra memoria e invenzione, che costringe lo spettatore a sostare nell’incertezza e a farsi parte attiva del disvelamento.
L’intreccio è collocato a Buenos Aires, negli ultimi anni del regime di Perón. Nel testo non compaiono riferimenti politici diretti; eppure, chi conosce quel periodo avverte la pressione di una società spaccata: da un lato l’“aristocrazia” in declino dopo la seconda guerra mondiale, dall’altro un populismo in ascesa che riecheggia, per alcuni aspetti, il fascismo italiano. Questa tensione troverà un esito parziale nella Revolución Libertadora del 1955, che pose fine al primo mandato di Perón e seminò ciò che, vent’anni dopo, avrebbe condotto alla dittatura militare e alla tragica guerra delle Malvinas.
Nel solco di questa densità storica e morale si inserisce la ricerca scenica di Stefano Angelucci Marino e Rossella Gesini. Da tempo la loro poetica imbocca una strada precisa: raccontare gli emigranti, gli italiani “senza patria”, divisi nel cuore, nella lingua, nella cultura, evitando retorica e stereotipi. È un teatro che si misura con le fratture dell’identità e della memoria, e che chiede allo spettatore di lasciarsi attraversare da biografie spostate, ferite, capaci però di generare immagini di potente umanità.
L’allestimento: materia viva tra maschere e ombre
Questa “inedita” versione italiana di “Rosaura alle dieci” – un testo che non era mai stato tradotto per le scene italiane – si affida a una grammatica visiva di forte impatto: cinque maschere antropomorfe, burattini, mascheroni e ombre. Il codice espressivo nasce dalle suggestioni dei murales e dei “bamboloni” della Boca, celebre barrio porteño dalla marcata impronta italiana. La materia scenica diventa corpo, memoria, respiro della città, e la storia si fa figura, sguardo, silhouette che fende la luce, come se le pareti colorate di quel quartiere avessero trovato voce in palcoscenico.
L’ideazione, la regia e l’interpretazione sono di Stefano Angelucci Marino e Rossella Gesini; Angelucci Marino cura anche l’adattamento e la regia. Le maschere sono firmate Brat Teatro; burattini e mascheroni portano la firma di Brina Babini. Costumi e scenografia sono a cura di Vize Ruffo, mentre luci e suono sono di Vittoria Coletti e Mattia Lattanzi. L’organizzazione è affidata a Florencia Galano e Agustin Rodriguez. Lo spettacolo è coprodotto da Teatro del Sangro e Green Factory, a conferma di un lavoro corale che intreccia competenze e visioni.
Una Buenos Aires intera nei personaggi
Il romanzo di Marco Denevi disegna un campionario sociale della Buenos Aires della prima metà del Novecento. Vi compaiono gli spagnoli ormai pienamente acclimatati, come Doña Milagros; e ci sono i nuovi arrivati dalle province, poveri e speranzosi, come Marta Correa (o María), attratti dalla promessa di Perón di un’esistenza migliore in cambio di sostegno politico. Anche i nomi parlano: il richiamo alle sorelle di Lazzaro non è casuale e stratifica il significato dei personaggi, aggiungendo risonanze simboliche che il lettore avverte come echi lontani, ma persistenti, nelle pieghe della storia.
Dentro questo mosaico si muovono anche figure come l’intellettuale pedante David Réguel e l’individuo privato di ogni gioia Camilo Canegato, sorta di parodia del Gregor Samsa di Kafka. Camilo è intrappolato nella propria timidezza, in un guscio che si incrina solo alla ricerca di un altrove fatto di fantasie erotiche e artistiche. È una galleria che non giudica: osserva, ascolta, raccoglie il tono sommesso di una città che cambia, mentre le vite ai margini diventano specchio di un’intera comunità in trasformazione.
Marco Denevi, il gioco degli sguardi
Marco Denevi (Buenos Aires, 1922-1998) è stato uno scrittore argentino che da adolescente si dedicò alla musica, passione poi affievolitasi con l’avvio della produzione narrativa. Nel 1955 esordì con “Rosaura a las diez”, un giallo visionario dove ogni personaggio racconta la stessa vicenda dal proprio punto di vista, rendendo ardua l’individuazione di una realtà oggettiva e persino dell’identità dei protagonisti. Nei suoi romanzi tornano con costanza dualità e imprevedibilità del reale, come spie luminose di un mondo che sfugge alle definizioni.
Dal secondo romanzo, “Ceremonia secreta” (1960), nacque nel 1968 l’omonimo film di J. Losey. Seguono il racconto “Falsificaciones” (1966) e i romanzi “Enciclopedia secreta de una familia argentina” (1986), “Música de amor perdido” (1991), “Hierba del cielo” (1991) e “El amor es un pájaro rebelde” (1993), che racconta la vita della Buenos Aires periferica segnata dall’intima solitudine dei suoi abitanti. Per il teatro firmò anche “Los expedientes” (1957) ed “El emperador de la China” (1959), a testimonianza di una curiosità autoriale che attraversa generi e forme, sempre alla ricerca di nuove prospettive narrative.
