Tra le pieghe di un classico senza tempo, riemerge una voce che non ha perso mordente. Parliamo di Jeremy Irons, l’interprete di Scar ne Il Re Leone, che torna su quell’esperienza con lucidità e qualche graffio di delusione: estetica del personaggio, reazioni del pubblico, riconoscimenti economici. Un racconto che merita di essere riascoltato.
Le parole di Jeremy Irons: il disincanto dietro Scar
Irons racconta a Toonado.com di aver immaginato un processo opposto: credeva avrebbe sincronizzato la voce su un leone già animato, e invece lavorò alla cieca, senza conoscere il disegno finale. La sorpresa arrivò alla première al Radio City Music Hall di New York: Mufasa appariva possente e regale, Scar asciutto, spelacchiato, con criniera e coda poco lusinghiere. Un contrasto che lo lasciò, parole sue, “davvero sconvolto”. La proiezione inaugurale precedette l’uscita ampia del 24 giugno 1994, siglando l’inizio di una corsa destinata a fare storia.
Quel disallineamento diventò più acuto quando in sala molti applaudirono la morte di Scar. Una ferita d’orgoglio, ma anche la misura di quanto il personaggio funzionasse. Più tardi, infatti, Jeffrey Katzenberg gli telefonò per dirgli che il successo de Il Re Leone doveva molto a quella voce insinuante. Irons, pur segnato dall’impatto emotivo della prima visione, oggi guarda a quell’avventura con affetto e professionalità, riconoscendone l’eredità popolare. Restava però l’amaro per come gli spettatori avevano accolto l’antagonista in quella serata.
La questione dei compensi e il “Picasso” che non arrivò
Nel racconto, Irons tocca anche il tema dei compensi. Dopo la telefonata di Katzenberg, sperava in un segno di riconoscenza; invece nulla. Ricorda che Disney “non paga molto” e cita l’episodio legato a Robin Williams, usato come esempio di gratitudine extra: un presunto Picasso recapitato per posta. In un video pubblicato da GQ il 21 ottobre 2025, l’attore scherza amaramente: lui, di quel Picasso, non vide mai l’ombra. Una chiosa che riassume perfettamente il suo sentimento verso i premi tardivi.
L’aneddoto a cui accenna Irons rimanda alla disputa tra Disney e Robin Williams ai tempi di Aladdin: gli accordi promozionali, il climatico dissenso, il racconto di una tela inviata come pace. Le cronache enciclopediche raccolgono quella versione; il sito d’arte Artnet News ne ha però ripercorso i dettagli, spiegando che l’identità dell’opera resta discussa e che attorno al “Picasso” esistono ancora zone d’ombra documentale. La prudenza, in assenza di prove definitive, è dunque doverosa nel tramandare questa storia, ancora oggi.
Cosa dice chi ha disegnato Scar
Dall’altra parte del tavolo da disegno, il supervisore all’animazione Andreas Deja ha raccontato più volte di aver cercato nel segno tracce dell’attore: occhiaie marcate, certa curvatura delle labbra, posture sottili. Una caricatura elegante, non un ritratto, pensata per far combaciare timbro e gesto. Deja lo ha spiegato in interviste e conversazioni tecniche, ricordando anche la presenza alle sessioni di registrazione che aiutarono a scolpire ritmo e intenzioni. Dettagli condivisi nel tempo con esempi grafici e osservazioni sull’arte dell’animazione, più volte.
Nel dietro le quinte, gli animatori studiarono anche il movimento dei leoni reali per catturarne peso e dinamica, mentre lo stesso Deja ha annotato, nel suo blog, scelte che oggi rifarebbe e altre di cui va fiero. L’insieme di voce, tratto e osservazione resta il cuore di un antagonista che continua a dividere e affascinare, pur a distanza di decenni dalla prima apparizione sullo schermo. Un metodo maturato tra studi dal vero e confronti costanti con registi e colleghi di produzione.
Prima che cali il sipario: domande lampo, risposte necessarie
Jeremy Irons ha davvero “attaccato” la Disney? Più che un attacco, le sue parole suonano come un bilancio senza sconti: delusione per l’aspetto di Scar alla prima visione, disagio di fronte agli applausi per la sua fine, e la constatazione che la casa di Burbank “non paga molto”. Tono diretto, ironia tagliente e nessuna invettiva gratuita: cronaca di chi conosce il mestiere e ne riconosce insieme meriti e limiti. Un sentimento ribadito tra interviste recenti e ricordi di lavorazione condivisi.
Scar resta tra i cattivi più memorabili dell’animazione? I numeri e la memoria collettiva lo suggeriscono: il film del 1994 è ancora il più remunerativo tra quelli animati tradizionalmente, mentre il marchio continua a vivere tra palcoscenico e nuove produzioni. Segno che quella voce vellutata e quel profilo affilato hanno lasciato un’impronta duratura, rinnovata persino dall’attenzione attorno al recente prequel dedicato a Mufasa. Una lunga stagione di successi che ha consolidato lo status del titolo anche presso nuove generazioni globali.
