Una parola sola, e si alza la temperatura del dibattito. “Sovrappeso” è diventata miccia e specchio: c’è chi la considera neutra, chi ci sente addosso un giudizio. Sullo sfondo, un caso radiofonico recente e una legge che chiede rispetto per i corpi. L’attenzione al linguaggio non è più un vezzo: è responsabilità civile.
Il caso in diretta e ciò che resta
Nel flusso della rassegna mattutina di Radio 24, il 20 ottobre, Paolo Mieli ha descritto la candidata Souzan Fatayer (Avs, Campania) come “in leggerissimo sovrappeso”, legando la frase a un riferimento a fame e carestia. In studio, il conduttore ha provato a smorzare; fuori, la reazione è stata immediata, con critiche dal mondo politico e sociale. Per molti ascoltatori, quel dettaglio fisico era fuori luogo, perché spostava il fuoco dalla proposta alla persona.
Il giorno dopo, dagli stessi microfoni, il giornalista ha chiesto scusa: intervento “improprio”, ironia “sbagliata”, parole che non rispecchiavano l’intenzione dichiarata. Le scuse sono state riprese e raccontate da più testate nazionali, con ampio risalto alla rettifica. Il nodo, però, resta: cosa è lecito dire del corpo altrui quando si parla di politica? E quanto il lessico incide sulla dignità pubblica? È qui che la discussione si fa collettiva.
Dizionari, offese e scelte di lessico
Il Dizionario dell’italiano Treccani 100, diretto da Valeria Della Valle e Giuseppe Patota, nasce con l’obiettivo di un linguaggio accessibile e attento alle discriminazioni. I curatori includono anche termini offensivi, ma li segnalano con avvertenze; in questo quadro, “sovrappeso” non viene registrato come insulto. Voci come “balena”, “ciccione”, “lardoso” o “palla di lardo” sono invece riconosciute come espressioni denigratorie, perché riducono la persona a un bersaglio.
La lessicografia aiuta a orientarsi: per Treccani, “sovrappeso” indica un eccesso ponderale in senso medico; “corpulento” descrive un corpo grosso, robusto, senza intento ingiurioso; “palla di lardo” è registrata come uso figurato relativo a una persona molto grassa, ma nel parlato contemporaneo ricorre spesso come insulto. Sono sfumature che contano, e che chiedono a chi parla in pubblico di scegliere con cura.
Domande lampo per capire
Dire “sovrappeso” è un insulto? Dipende dal contesto e dal tono. I dizionari lo definiscono termine medico-descrittivo, non intrinsecamente offensivo; diventa problema quando è usato per ridicolizzare, spostare l’attenzione o insinuare giudizi sul valore della persona. La recente discussione pubblica lo mostra bene: il lessico pesa più della bilancia quando ferisce il rispetto dovuto.
Quali parole invece feriscono? Quelle che disumanizzano e paragonano il corpo a oggetti o animali: “balena”, “ciccione/a”, “lardoso/a”, “palla di lardo”. La lessicografia contemporanea ne evidenzia l’uso spregiativo; sono formule che storicamente alimentano scherno e vergogna. Se serve descrivere, meglio ricorrere a termini neutrali e pertinenti alla situazione, evitando etichette che umiliano.
Verso parole che non feriscono
Il quadro istituzionale va nella stessa direzione: il 1° ottobre 2025 il Senato ha dato il via libera definitivo alla legge che riconosce il 16 maggio come Giornata nazionale contro la denigrazione dell’aspetto fisico, con iniziative di sensibilizzazione e un colore simbolo, il fucsia. La norma è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 9 ottobre (legge 3 ottobre 2025, n. 150) ed entra in vigore il 24 ottobre 2025.
Le parole non sono orpelli: sono scelte, responsabilità, relazione. Raccontare la politica senza colpire i corpi è possibile e doveroso. Non si tratta di addolcire la cronaca, ma di riconoscere che la precisione lessicale è parte della verità. Il nostro mestiere comincia qui: guardare, ascoltare, nominare con misura. Perché lo spazio pubblico sia di tutti, anche quando il confronto è duro, soprattutto quando è scomodo.
