Si è spento oggi a Torino Franco Reviglio, economista, professore e già ministro, figura che ha portato lo scontrino fiscale nella quotidianità italiana e ha guidato Eni negli anni delle grandi trasformazioni. Aveva 90 anni. Le esequie si terranno sabato. Una vita di rigore civile, vissuta sempre con lo sguardo rivolto all’interesse generale.
Un’eredità che chiede responsabilità
La scomparsa di Reviglio, 90 anni, confermata oggi nella sua Torino, richiama una stagione in cui il patto fiscale venne pensato come scelta di giustizia e non soltanto come adempimento. La sua fama di “padre dello scontrino” nasce dalle riforme varate all’inizio degli anni Ottanta e ribadite da lui stesso in un’intervista di qualche anno fa, quando rivendicò l’utilità pedagogica della ricevuta fiscale, insieme con l’obbligo del registratore di cassa, per contrastare l’evasione.
Quel cambiamento, che toccò bar, ristoranti, negozi e professioni, mutò abitudini e linguaggi: lo scontrino e la ricevuta entrarono nel lessico quotidiano come strumenti di equità oltre che di contabilità. Furono provvedimenti simbolici e concreti, accompagnati dal cosiddetto “libro rosso” degli evasori, figli di una convinzione semplice: se il dovere è condiviso, il carico può pesare meno. Una linea che Reviglio sostenne con calma e fermezza, pur tra consensi e diffidenze.
Un riformatore tra cattedra e ministeri
Nato a Torino il 3 febbraio 1935, laureato in giurisprudenza e docente di Scienza delle finanze dal 1968, Reviglio si formò anche al Fondo Monetario Internazionale a Washington tra il 1964 e il 1966. Professore emerito dell’Università di Torino, costruì una scuola capace di coniugare disciplina dei conti e giustizia sociale, pubblicando saggi che hanno accompagnato generazioni di studenti e amministratori. La didattica come servizio pubblico, la ricerca come responsabilità verso la comunità.
La politica lo chiamò al governo nel 1979, con l’incarico di ministro delle Finanze nei governi presieduti da Francesco Cossiga e poi Arnaldo Forlani; più tardi, nel 1992, fu ministro del Bilancio e per gli Interventi straordinari nel Mezzogiorno nel governo Amato. Attorno a sé raccolse un nucleo di giovani economisti e manager destinati a ruoli di primo piano – tra cui Giulio Tremonti, Domenico Siniscalco, Franco Bernabè e Alberto Meomartini – che la stampa battezzò “Reviglio boys”. In quegli anni prese corpo anche la linea dura contro i reati fiscali, passaggio ricordato da analisi e cronache dell’epoca.
Domande rapide, risposte chiare
Perché viene ricordato come il “padre dello scontrino”? Perché legò la lotta all’evasione a un gesto quotidiano, visibile e verificabile. La ricevuta fiscale – con l’obbligo del registratore di cassa – rese tracciabile il pagamento e coinvolse il cittadino nell’idea che il conto non fosse solo burocrazia, ma equità. Negli anni, Reviglio ha difeso quella scelta, spiegando che aveva anche una funzione educativa: chiedere lo scontrino significava tutelare sé stessi e la comunità.
Qual è stato il tratto distintivo della sua guida in Eni (1983-1989)? Una riorganizzazione profonda: snellimento del perimetro, razionalizzazione delle partecipate non strategiche, rilancio internazionale e valorizzazione della memoria d’impresa, con la nascita della Fondazione Mattei e dell’Archivio storico. Un metodo che univa rigore, trasparenza e cultura industriale, lasciando un’impronta destinata a durare oltre la sua stagione al vertice.
Un congedo che impegna
Nel commiato, resta l’immagine di un servitore delle istituzioni che ha tenuto insieme precisione del tecnico e passione civile del riformista. Le sue scelte parlarono a commercianti e contribuenti, a studenti e manager, al mondo politico e a quello produttivo. Riforme, libri, editoriali: tasselli di un’unica idea di Stato, dove i conti non sono un esercizio arido ma il terreno su cui si misura la fiducia reciproca. Reviglio lascia una traccia fatta di pragmatismo e responsabilità.
Nel tempo fu anche editorialista – tra gli altri – de Il Messaggero, e autore di saggi che hanno alimentato il dibattito pubblico. Titoli e argomenti diversi, un filo rosso comune: spendere meglio, evadere meno, crescere con equilibrio. È il messaggio che consegna a chi oggi amministra, insegna, fa impresa. Sta a noi trasformarlo in pratica quotidiana, perché la buona economia, quella che serve alle persone, è prima di tutto un atto di responsabilità condivisa.
