Un pomeriggio che torna di colpo: Enrico Varriale ricostruisce in aula la sera dell’8 dicembre 2021, fra oggetti in frantumi e accuse respinte. Dice di non aver colpito l’ex compagna, mentre il procedimento per stalking e lesioni prosegue. Sullo sfondo, la condanna a dieci mesi pronunciata a giugno, con pena sospesa, e un capitolo giudiziario ancora aperto.
La versione dell’imputato in aula
Davanti ai giudici, il giornalista racconta che quella sera era in casa con un’amica quando alla porta si è presentata la sua ex. Appena entrata, sarebbe scoppiata una scenata: portafoto rovesciati, bicchieri spezzati, sale e soggiorno ridotti in disordine. Lui sostiene di aver cercato solo di contenere la situazione, senza usare violenza. L’immagine che tratteggia è quella di un crescendo emotivo, acceso da gelosie e incomprensioni, fino alla chiamata ai soccorsi. È la sua ricostruzione, messa nero su bianco in udienza e riportata dall’agenzia Adnkronos.
Nella stessa deposizione, Varriale colloca un primo passaggio nel pomeriggio: lei sarebbe entrata, si sarebbe chiusa in bagno con il suo telefono, avrebbe letto messaggi con un’amica e, furiosa, sarebbe andata via. La sera, il ritorno: insulti all’ospite, oggetti danneggiati, lui che prova a fermarla, lei che afferma di essere stata colpita e annuncia una denuncia, quindi l’arrivo dell’ambulanza. Dopo quell’episodio, racconta di essersi fermato per qualche giorno a casa di familiari. Questa scansione è stata rilanciata anche da testate locali che riprendono il dispaccio d’agenzia.
Dalla notte di dicembre ai mesi successivi: la linea del tempo contestata
Le carte processuali collocano i fatti tra dicembre 2021 e febbraio 2022. In questo arco temporale la procura attribuisce all’imputato comportamenti ripetuti ritenuti persecutori e un’aggressione domestica che, secondo la persona offesa, l’avrebbe fatta svenire, con lesioni documentate. Sono mesi che segnano una relazione breve, poco più di quattro mesi, punteggiata — nelle contestazioni — da telefonate insistenti e pedinamenti percepiti, e da tensioni alimentate anche dall’attività sui social. I profili di accusa sono stati riepilogati nei lanci d’agenzia diffusi nel pomeriggio.
Una cornice più ampia emerge dai resoconti giornalistici che ricostruiscono l’iter in tribunale a Roma. Viene ricordato come la vicenda approdi in aula dopo indagini e atti che hanno messo in fila testimonianze, referti e messaggi, fino al giudizio di primo grado. In particolare, le cronache televisive hanno sintetizzato la sequenza temporale delle denunce e delle udienze, fissando l’attenzione su quell’8 dicembre 2021 come momento chiave per comprendere lo snodo del procedimento ancora in corso.
Le accuse della procura e il nodo dei contatti
Secondo l’impianto accusatorio, già illustrato in aula, l’ex vicedirettore di Rai Sport avrebbe reiterato condotte di minaccia e molestia culminate in un’aggressione in casa, con perdita dei sensi e lesioni lamentate dalla donna. A ciò si aggiunge la contestazione di averla cercata attraverso numeri anonimi e di aver provato a reperire informazioni tramite il controllo dei profili social. La fotografia delle contestazioni è stata diffusamente riportata nei dispacci del pomeriggio.
La difesa ha rigettato punto per punto lo schema accusatorio, insistendo sull’assenza di minacce e percosse e riportando la relazione a uno scambio di messaggi e a momenti di frizione legati alla gelosia. Il contrasto è netto: da un lato una narrazione di paura e allarme crescente, dall’altro la ricostruzione di un uomo che si dice travolto da un’irruzione domestica e che parla di una serata da cui si sarebbe allontanato affidandosi ai parenti. Gli atti d’agenzia fotografano fedelmente questo confronto di campane.
La condanna di giugno e le condizioni imposte dalla sentenza
Nei mesi scorsi è arrivato un primo esito giudiziario: il 13 giugno 2025 il tribunale monocratico di Roma ha condannato Varriale a 10 mesi di reclusione, pena sospesa, per stalking e lesioni nei confronti della ex. La decisione prevede anche la partecipazione periodica a un percorso per uomini autori di violenza, da attivare se la sentenza diventerà definitiva. La richiesta del pubblico ministero era più severa: due anni. La cronaca del giorno ha fissato tempi e contenuti del verdetto.
Lo stesso 13-14 giugno, diverse testate hanno riferito la reazione della difesa e l’annuncio di appello. Si è ribadito che i messaggi inviati dall’imputato sarebbero stati finalizzati solo a chiarire e chiedere scusa, contestando la lettura persecutoria data in aula. Nei resoconti si evidenzia inoltre l’impegno economico per risarcimenti e spese, oltre al coinvolgimento dell’associazione Differenza Donna come parte civile. Questi elementi compongono il quadro della fase successiva alla sentenza di primo grado.
Le voci della difesa
In udienza, l’imputato ha escluso di aver mai minacciato o picchiato la donna e ha ricondotto le tensioni alla gelosia, in particolare per i suoi like sui social. Ha definito la relazione altalenante, con periodi senza contatti, e ha insistito sul fatto di aver solo cercato di gestire una serata precipitata nel caos. La ricostruzione, ripresa dai media che hanno seguito la giornata, cerca di spostare lo sguardo dalla violenza fisica a un conflitto verbale e domestico.
Gli avvocati Fabio Lattanzi ed Ester Molinaro hanno mantenuto una linea netta: atti e messaggi non integrerebbero l’ipotesi di stalking e non vi sarebbe prova di percosse. Lattanzi ha già definito sorprendente la condanna di giugno, annunciando la volontà di impugnare il verdetto; nei resoconti si ricorda il passaggio in cui sostiene che inviare “decine di messaggi” non possa bastare per una condanna. È lo stesso argomento rilanciato dopo la camera di consiglio di primo grado.
Toni, confini, responsabilità: cosa resta aperto
Al di là dei faldoni, la questione tocca corde che conosciamo: il confine fra insistenza e persecuzione, il peso delle parole ripetute, l’uso dei social come terreno dove si annidano gelosie, controlli, fraintendimenti. Nelle contestazioni si parla proprio di verifiche sui profili digitali e di chiamate da numeri non riconoscibili; tasselli che, se provati, cambiano il senso di una vicenda. Il dibattito, in aula e fuori, chiede di misurare, con rigore, ogni gesto e ogni messaggio.
Accanto ai tecnicismi, c’è la dimensione umana. Le cronache ricordano il ruolo delle associazioni che assistono le persone offese, la fatica di chi testimonia e l’obbligo, per chi racconta, di non oltrepassare la presunzione di innocenza. Il procedimento continua e il verdetto non è definitivo: ciò impone prudenza lessicale e lucidità. Ogni parola pesa; ogni riga deve restituire l’equilibrio dovuto a tutte le parti coinvolte.
Domande in tasca
Che cosa ha riferito oggi Varriale davanti ai giudici? Ha descritto una serata iniziata con l’arrivo dell’ex compagna mentre era in casa con un’amica, proseguita — a suo dire — con una scenata fatta di oggetti rotti e urla, e conclusa con la chiamata ai soccorsi. Ha negato di averla colpita, sostenendo di aver solo cercato di fermarla. Ha aggiunto che nel pomeriggio la donna avrebbe visionato il suo telefono, trovando messaggi con un’amica.
Perché si parla di una condanna a dieci mesi? Perché il 13 giugno 2025 il tribunale monocratico di Roma lo ha condannato per stalking e lesioni: pena di dieci mesi, sospesa, e prescrizione di un percorso per uomini autori di violenza qualora la decisione diventi definitiva. Il pubblico ministero aveva chiesto due anni e la difesa ha annunciato appello. Sono dettagli riportati in modo concorde da più testate nazionali nelle cronache di quei giorni.
Quali sono le contestazioni principali messe agli atti? La procura ipotizza minacce e molestie reiterate, un’aggressione domestica con svenimento e lesioni, oltre a contatti effettuati tramite numeri anonimi e a un controllo dei profili social della donna. L’imputato respinge ogni addebito, parla di gelosia e di una relazione breve e intermittente. Sarà il procedimento a stabilire che cosa è accaduto, alla luce delle prove raccolte e delle testimonianze ascoltate.
Un epilogo ancora da scrivere
Le udienze di oggi, 22 ottobre 2025, rimettono al centro la notte che ha cambiato il destino di una coppia. Da un lato la gravità delle accuse; dall’altro una versione che esclude ogni violenza fisica. Il tribunale cercherà il punto di caduta tra i due racconti, con il rigore che serve quando in ballo ci sono dignità e ferite. È un equilibrio fragile, che pretende pazienza, attenzione, memoria dei fatti.
Raccontare una vicenda così significa restare addosso alle parole fino a quando non diventano sentenza, ma senza cedere a scorciatoie o toni urlati. In redazione lo sappiamo: la cronaca non è solo un elenco di capi d’imputazione, è anche la responsabilità di restituire il dolore e le difese, senza giudicare prima del giudice. Continueremo a seguire i passaggi, uno per uno, con lo sguardo puntato sui documenti e il rispetto dovuto a chi, oggi, ha parlato e a chi ha ascoltato.
