Il braccio di ferro sul futuro della rete fissa entra nella fase decisiva. Da una parte KKR (azionista di riferimento di FiberCop, la società che ha inglobato la NetCo di TIM) difende perimetro, valore e tempi della propria operazione. Dall’altra, il Governo spinge per un’integrazione con Open Fiber per accelerare gli investimenti su banda ultralarga e razionalizzare la mappa delle infrastrutture. Lo scontro non è più solo politico‑industriale: nelle ultime ore è arrivata anche una mossa formale a Bruxelles che alza la temperatura del dossier.
Nel quadro si inseriscono tre elementi che, combinati, spiegano l’urgenza: i target europei sul piano Italia a 1 Giga con risorse vincolate, le performance operative della nuova FiberCop dopo il carve‑out da TIM e una crescente pressione dell’azionista pubblico affinché la rete all‑sale italiana converga verso un’unica piattaforma. Numeri, governance, antitrust: ogni capitolo ha ricadute immediate su connettività, concorrenza e finanza pubblica.
Che cosa sta accadendo
Il fatto nuovo è l’esposto FiberCop alla Commissione europea per presunti aiuti di Stato a favore di Open Fiber. Nel reclamo si ipotizza un pacchetto di misure fino a 4,5 miliardi di euro tra sostegni, rimodulazioni di penali e garanzie, con potenziali impatti sulla concorrenza. La segnalazione, confermata dall’azienda, certifica che il confronto non è più confinato ai tavoli romani e mette Bruxelles nella cabina di regia regolatoria del dossier.
Sul fronte interno, Roma continua a promuovere la creazione di un perimetro unico della rete fissa tramite l’aggregazione FiberCop–Open Fiber. L’obiettivo dichiarato è evitare duplicazioni, concentrare gli investimenti e accelerare la copertura ad alta capacità, dove l’Italia è ancora inseguimento rispetto alla media UE. KKR frena: teme diluizioni di valore, allungamento dei tempi regolatori e un profilo di rischio non allineato al piano finanziario approvato dagli investitori.
Perché il Governo spinge
C’è una scadenza che pesa: il piano Italia a 1 Giga, finanziato con fondi europei e indirizzato a milioni di civici nelle aree meno contendibili, richiede una ramp‑up rapida della posa. L’ipotesi di riallocare porzioni di lavoro tra i due operatori e, in parallelo, avvicinare le infrastrutture in una single network risponde a questa esigenza. È un approccio pragmatico: meno cantieri sovrapposti, più coerenza industriale, una governance in cui l’MEF avrebbe un ruolo di indirizzo.
Il Tesoro mantiene la rotta. Come risulta da ricostruzioni accreditate, il MEF – già socio di FiberCop – intende procedere sulla strada della fusione, pur cercando un’intesa che salvaguardi il capitale privato e limiti i rischi regolatori. La linea è di dialogo, non di rottura: far avanzare il dossier con step verificabili, chiarendo perimetro e valutazioni.
Che cosa vuole KKR
Il fondo statunitense non chiude la porta in principio, ma chiede certezze su tre capitoli: valore degli asset, percorso antitrust e sostenibilità finanziaria. Conta anche una clausola preesistente: un’eventuale combinazione FiberCop–Open Fiber entro fine 2026 attiverebbe un pagamento aggiuntivo di 2,5 miliardi a favore di TIM; un fatto che, per KKR, va incastrato nella struttura economica dell’operazione senza compromettere ritorni e leverage.
Il contesto di mercato non è neutro. FiberCop ha rinunciato ai dividendi nell’anno in corso alla luce di dinamiche operative più complesse del previsto; una scelta di prudenza finanziaria che riduce margini di manovra nell’immediato e irrigidisce la valutazione con cui sedersi al tavolo. Anche per questo KKR chiede che ogni passo verso l’integrazione sia sostenuto da numeri e tempi realistici.
I numeri che contano davvero
Sul capitale, la fotografia è chiara: FiberCop vede nel proprio azionariato KKR Infrastructure come primo socio insieme a investitori istituzionali di lungo periodo; il Ministero dell’Economia e delle Finanze detiene il 16%. Sul fronte Open Fiber, la maggioranza è in capo a Cassa Depositi e Prestiti con la quota restante a Macquarie. Questi incastri – pubblico e privato insieme – spiegano sia la forza potenziale dell’asse, sia le sensibilità in gioco.
L’altra cifra è politica: la copertura a banda ultraveloce dell’Italia, seppur in recupero, necessita di un’accelerazione per centrare gli obiettivi europei. Il piano da 3,4 miliardi per aggiornare oltre 3 milioni di edifici è lì a ricordare che il cronoprogramma non aspetta; e ogni mese perso aumenta il rischio di dover riprogrammare fondi o cambiare tecnologia. Qui sta il senso dell’insistenza governativa su una rotta comune.
Cosa significa per utenti e imprese
Per chi lavora, studia o fa impresa, la partita vale accesso affidabile, latenze basse, servizi avanzati. Una rete all‑sale davvero neutrale riduce tempi e costi per gli operatori retail e, a cascata, amplia la scelta per i clienti finali. Nello stesso tempo, l’eventuale integrazione deve preservare la concorrenza di servizio: un monopolio infrastrutturale va bilanciato da regole di accesso trasparenti, prezzi orientati ai costi e vigilanza forte del regolatore. Questo è il perimetro entro cui si misura il successo dell’operazione.
C’è poi il tema della tempistica regolatoria. Un’integrazione di questa scala richiede un esame antitrust europeo articolato. Proprio per questo, qualsiasi schema – fusione totale, conferimento selettivo di asset, o collaborazione profonda – dovrà essere costruito con scenari realistici su tempi e rimedi, evitando cortocircuiti che brucerebbero valore anziché crearlo.
Le prossime mosse
Il dossier ora ha due binari. A Bruxelles, la Commissione valuterà il reclamo FiberCop sugli aiuti di Stato: se aprirà un’istruttoria, sarà una procedura tecnica con tempi non brevi e possibili prescrizioni. A Roma, il MEF lavora per un’intesa quadro con KKR che definisca perimetro, governance e milestones dell’eventuale asse con Open Fiber. L’industria guarda a un calendario serrato: ogni settimana pesa sul cronoprogramma del piano Italia a 1 Giga.
Siamo davanti a un equilibrio sottile. Una convergenza ben strutturata potrebbe consegnare al Paese una piattaforma infrastrutturale indirizzata all’innovazione per un decennio; una convergenza improvvisata, invece, rischierebbe di impantanarsi in ricorsi, rimedi antitrust e contenziosi sugli aiuti. La differenza la faranno scelte chiare su valutazioni, tempi e regole d’accesso. E, soprattutto, la capacità di trasformare un confronto muscolare in un progetto utile al Paese.
