Il quadro che restituiscono le ultime ore è netto, duro da accettare: un barchino partito dalla Libia si è capovolto nella notte tra 16 e 17 ottobre a circa 50 miglia a sud‑est di Lampedusa, in area di responsabilità Sar maltese. Dalla prima finestra di intervento sono stati tratti in salvo 11 naufraghi, mentre il numero delle persone date per disperse ruota attorno alle due dozzine. Nelle operazioni successive, la Guardia Costiera ha recuperato sette corpi. Sono tasselli coerenti tra loro, confermati passo dopo passo dalle autorità e dagli organismi umanitari coinvolti.
Nei racconti dei sopravvissuti emerge la rotta: partenza da Al Khums, in Libia, circa 35 persone a bordo di una piccola imbarcazione in vetroresina. Dopo due giorni in mare l’assetto si è ribaltato. Fra i superstiti ci sono quattro minori non accompagnati; fra le vittime identificate in prima battuta anche una donna incinta. Sono dettagli che non riempiono solo un verbale: danno un volto, un’età, una storia a nomi che rischierebbero di perdersi.
Dove e come è successo
Il capovolgimento è avvenuto in zona Sar di Malta, circa 80 chilometri a sud‑est di Lampedusa. L’allarme è scattato quando il velivolo Manta “10‑03” della Guardia Costiera italiana ha avvistato lo scafo rovesciato e ha lanciato una zattera di salvataggio, facendo convergere i mezzi in area. Il primo dispositivo di soccorso ha visto impegnati una motovedetta italiana e un mercantile di passaggio, con il coordinamento del Rescue Coordination Centre di Malta. La catena funziona così: chi avvista stabilizza, chi coordina assegna compiti, chi è più vicino porta a bordo.
Le ricerche e i recuperi sono andati avanti per giorni, con pause forzate per mare e vento. In questa cornice è entrata in scena la Nave Dattilo (CP940) della Guardia Costiera, che ha completato il recupero di sette corpi — un uomo, cinque donne e un minore — in acque maltesi. È la parte più difficile del lavoro: tornare, scandagliare, riportare a casa. Chi opera in mare lo sa bene.
Quanti mancano all’appello
Sul numero dei dispersi convergono più riscontri: circa 24 persone risultano non ritrovate. È una stima che nasce dall’incrocio tra i nominativi di chi era a bordo, i superstiti e le salme recuperate, e che UNICEF ha indicato pubblicamente nelle scorse ore. È un conteggio fluido per definizione, ma si muove sempre attorno alla stessa cifra. Venti‑quattro: la dimensione umana della tragedia sta tutta qui.
Restano fermi gli altri punti del quadro: 11 superstiti portati a Lampedusa e assistiti a terra, un primo corpo recuperato già durante i soccorsi iniziali, quindi i sette riportati a bordo della Dattilo. Per chi lavora in mare, ogni cifra ha un peso specifico: indica scelte d’intervento, aree di ricerca, tempi di permanenza in zona, margini di sicurezza degli equipaggi. Voi lettori lo percepite: dietro i numeri c’è sempre un metodo, prima ancora che un bilancio.
Chi erano, da dove venivano, perché su quella rotta
Dal litorale libico salpano soprattutto barchini in vetroresina o gommoni leggeri, spesso senza dotazioni adeguate. L’imbarcazione di questa traversata rientra in quel profilo: 35 persone, due giorni in mare, carico oltre il limite, poca autonomia. Tra i minori non accompagnati salvati e i bambini dati per dispersi si legge il tratto più doloroso della rotta: famiglie spezzate dal caso, dalla fretta, a volte da decisioni prese in pochi minuti di panico.
Il contesto operativo non cambia anche quando cambiano i protagonisti: zona Sar maltese, coordinamento di La Valletta, esecuzione affidata alle unità più prossime — Guardia Costiera italiana, Guardia di Finanza, assetti aerei Frontex, navi mercantili in transito. È una coreografia di poche parole e molti segnali: posizione, prua, distanza, vento, priorità. L’obiettivo è sempre lo stesso: togliere persone dall’acqua nel minor tempo possibile.
Che cosa resta da fare
In mare, le finestre meteo decidono i tempi. Lo si è visto in questi giorni: i recuperi sono stati più volte sospesi per garantire la sicurezza degli equipaggi, poi ripresi appena possibile. Allo stato, il quadro consolidato è questo: sette corpi recuperati e circa 24 dispersi, con i superstiti trasferiti sull’isola per le cure e l’ascolto di rito. A terra, per loro comincia una fase diversa ma non meno complessa: supporto sanitario, tutela legale, ricongiungimenti possibili.
La domanda che ci facciamo tutti — e che giriamo anche a voi — è semplice: quante vite avremmo potuto trattenere in superficie se ogni passaggio, ogni coordinata, ogni minuto perso fossero stati recuperati? Non abbiamo slogan, abbiamo fatti. E i fatti di queste ore, per intero, stanno nelle righe qui sopra: rotta, tempi, mezzi, esiti. Teniamoli fissi, perché da lì si riparte ogni volta.
