Ore febbrili nei palazzi romani: il governo stringe sul “pacchetto banche” della legge di bilancio 2026, tra aliquote rimodulate e regole contabili che promettono gettito senza spegnere la fiducia dei mercati. Il confronto è serrato, gli equilibri delicati, l’obiettivo chiaro: garantire coperture solide senza incrinare un settore che oggi mostra numeri robusti.
La trattativa e i numeri in gioco
Nel cantiere della legge di bilancio 2026 prende forma un mosaico di interventi che, nelle stime più prudenti, può valere fino a 4,24 miliardi di euro a copertura della manovra. Il dossier circola da giorni nei tavoli tecnici con ABI e dentro la maggioranza, dove non mancano sfumature e distinguo. C’è chi spinge per un equilibrio tra gettito e stabilità, chi teme scosse ai corsi azionari e ai piani di remunerazione degli azionisti. Sui numeri, la cornice resta quella indicata da fonti bancarie e ricostruita da Adnkronos, mentre altre analisi richiamano cifre leggermente superiori, segno di un perimetro ancora in assestamento.
Il perimetro si è precisato con la “bollinatura” del testo nella tarda mattinata del 22 ottobre 2025: confermati l’aumento dell’Irap per il comparto finanziario, la gestione delle Dta e la facoltà di attingere alle riserve accantonate nel 2023, mentre si affinano le norme su interessi passivi e svalutazioni su crediti. La cronaca parlamentare indica inoltre che una parte del dibattito politico resta viva, ma il tracciato operativo è ormai delineato.
Affrancamento delle riserve: come funziona davvero
Il cuore del pacchetto è l’affrancamento delle riserve create nel 2023 per evitare il prelievo straordinario sugli extraprofitti. Sul tavolo c’è la possibilità di liberare circa 6,2 miliardi pagando un’aliquota del 27,5%, destinata a crescere negli anni successivi: secondo le bozzature più recenti, si sale al 33% e poi verso livelli più elevati se l’operazione sarà rinviata, con una presunzione d’uso che dal 2028 trasformerebbe la facoltà in esigenza contabile. Una calibratura che prova a sommare gettito e prevedibilità per i bilanci bancari.
Questo meccanismo, sottolineano ambienti finanziari, non equivale a un automatismo sui dividendi: la decisione di distribuire resta nelle mani degli organi amministrativi dei singoli istituti. Anche per questo il possibile introito aggiuntivo dalla tassazione delle rendite finanziarie degli azionisti (stima di circa 1,2 miliardi, nel caso di distribuzioni) non è conteggiabile con certezza tra le coperture. Nel complesso l’operazione è indicata come in grado di generare attorno a 1,7 miliardi nel primo anno utile. Una scelta, dunque, più ‘di gestione’ che punitiva, che lega tempi e convenienza delle banche alla traiettoria dei loro piani industriali.
Irap più pesante ma temporanea
La leva dell’Irap agisce con un incremento mirato per banche e, nel perimetro di bozza, per il settore finanziario in senso ampio. Per gli istituti di credito l’aliquota salirebbe di due punti (dal 4,65% al 6,65%) con orizzonte temporaneo triennale, presentato come contributo solidaristico al riequilibrio dei conti pubblici. Il gettito aggiuntivo stimato si attesta attorno a 900 milioni, una cifra che il governo intende innestare su capitoli sensibili della spesa. La logica è transitoria, l’effetto sui conti immediato.
Le ultime letture parlamentari hanno confermato l’impostazione: l’aumento Irap, il rinvio di alcune componenti negative legate alle Dta e la finestra per svincolare le riserve sono nel testo perfezionato, mentre gli articoli su interessi e svalutazioni sono stati riscritti per scandire una transizione pluriennale. È un set di norme che interagisce tra loro e che, per disegno, cerca di evitare effetti distorsivi sull’offerta di credito.
Deducibilità e perdite: la stretta contabile
Capitolo perdite su crediti: l’attuale integrale deducibilità nell’esercizio della svalutazione lascia spazio a una dilazione su cinque anni. In pratica, il 20% si porta in deduzione nell’anno di competenza e l’80% viene ripartito sui quattro successivi. L’effetto è neutro nel lungo periodo, ma nel breve anticipa imposte e riduce l’utile netto dell’esercizio, pur lasciando invariati i profili patrimoniali nel medio-lungo termine. Per l’erario significa cassa subito: la proiezione parla di circa 500 milioni immediati.
Sugli interessi passivi, la rotta si fa più tecnica: la deducibilità ai fini Ires e Irap passa dal 100% al 96% nel periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2025, con un graduale ritorno al 99% entro il 2028. L’obiettivo dichiarato è armonizzare il trattamento con gli standard europei anti-erosione della base imponibile, riducendo asimmetrie tra comparti e rendendo meno conveniente un ricorso eccessivo alla leva. Una scelta di coerenza normativa, prima ancora che di gettito.
In controluce resta un punto sistemico: storicamente gli intermediari finanziari godevano di regole più ampie sulla deducibilità rispetto al resto delle imprese, mentre alcuni operatori specializzati – come le SGR – già si misurano con soglie del 96%. Il riassetto conferma questa linea di convergenza, inserendosi nella scia delle indicazioni sul limite agli interessi tracciate a livello europeo e recepite negli ordinamenti nazionali.
Perdite pregresse, Ace e Dta sotto controllo
La determinazione del reddito imponibile degli istituti introduce un’ulteriore valvola: nel 2026 e nel 2027 l’uso di perdite fiscali pregresse, Ace (Aiuto alla Crescita Economica) e componenti negative connesse alle Dta viene limitato rispettivamente al 45% e al 54% del reddito. L’eccedenza slitta agli anni successivi. Tradotto: si evita che uno stock elevato di crediti fiscali sterilizzi l’effetto delle altre norme e si rafforza la trazione delle entrate nel breve. Il gettito atteso è nell’ordine dei 700 milioni.
La misura, già sperimentata in forme diverse negli scorsi esercizi, dialoga con il quadro di finanza pubblica e con la necessità di scaglionare nel tempo l’utilizzo delle Dta. È un differimento contabile, non una cancellazione, che aumenta la pressione fiscale immediata soprattutto per gli istituti più dotati di attivi fiscali, ma che preserva la stabilità dell’impianto su orizzonti pluriennali. Anche esperienze recenti dimostrano come lo spalmare le deduzioni possa attenuare picchi e rendere più lineare l’impatto sui saldi.
Le reazioni politiche e del mercato
Sul piano politico, la dialettica è stata vivace: Lega e Forza Italia hanno incrociato le rispettive sensibilità, tra chi invoca un “contributo doveroso” e chi respinge l’etichetta di “tassa sugli extraprofitti”. La quadra, maturata nelle ultime ore, tiene insieme più leve e mette al riparo – nelle intenzioni – la competitività del sistema. Nel frattempo, il confronto tecnico con ABI prosegue per limare i dettagli e definire scenari applicativi senza rigidità inutili.
La Piazza ha fiutato subito il cambio d’aria: nelle giornate centrali di ottobre i titoli bancari hanno registrato movimenti altalenanti, con sedute in perdita e rimbalzi selettivi. Tra il 15 e il 16 ottobre si è vista una fase di vendita sui bancari e un successivo recupero di indice, segnale di un mercato che prova a prezzare l’effetto combinato delle misure e la loro temporaneità. Non un giudizio definitivo, ma l’inizio di una nuova curva di apprendimento.
Che cosa cambia per clienti e azionisti
Per i clienti nulla scatta in automatico: nessuna norma impone la distribuzione dei dividendi, né un trasferimento diretto sui tassi praticati alla clientela. La scelta di attingere alle riserve e di impiegare la liquidità resta in capo ai consigli di amministrazione. Se gli istituti decideranno di distribuire, allora entreranno in gioco anche le regole sulle rendite finanziarie per i soci, che potrebbero assicurare un ulteriore contributo al bilancio pubblico; ma è un effetto eventuale, non una certezza.
Per gli azionisti, l’affrancamento è un’opzione di gestione: può facilitare la distribuzione nei primi anni a un’aliquota più favorevole e diventa via via meno conveniente con il passare del tempo. Per le banche, la riduzione della deducibilità degli interessi passivi rende marginalmente più costoso il ricorso all’indebitamento, mentre la dilazione delle svalutazioni anticipa il carico fiscale nel breve. Qui la bussola sarà la solidità patrimoniale, che la Banca d’Italia descrive su livelli elevati, insieme a una redditività che nei mesi scorsi è rimasta sostenuta.
Le domande che ci vengono fatte più spesso
Questo è un nuovo balzello sugli extraprofitti? No: il cuore del meccanismo è la possibilità di “svincolare” le riserve 2023 pagando un’aliquota sostitutiva, più bassa oggi e crescente negli anni. L’esecutivo lo definisce un contributo pluriennale che combina più leve – affrancamento, Irap più alta, limiti all’uso di perdite e Ace – evitando un prelievo uniforme e immediato. È uno schema che, nei conti del governo, porta entrate tra 4,24 e 4,4 miliardi, a seconda delle ipotesi considerate e degli effetti di distribuzione.
Le banche saranno obbligate a distribuire dividendi? Non c’è alcuna imposizione alla distribuzione. La scelta resta agli organi societari. Dal 2028, però, scatta una presunzione contabile che considera utilizzate le riserve non ancora liberate, rendendo meno conveniente il rinvio. Se e quando ci saranno dividendi, allora interverrà la tassazione sulle rendite per gli azionisti; ma questo flusso non è contabilizzabile ex ante come copertura certa.
L’Irap più alta quanto pesa davvero? Per le banche l’aliquota salirebbe di due punti per un triennio, toccando il 6,65% e assicurando circa 900 milioni l’anno. È una misura presentata come temporanea e finalizzata a rafforzare i conti senza alterare strutturalmente la competitività. Il disegno è stato confermato nel testo bollinato, insieme alla gestione delle Dta e allo schema sulle riserve.
Interessi passivi e perdite su È un riordino che anticipa gettito per lo Stato e distribuisce nel tempo l’effetto sui conti bancari, in coerenza con l’allineamento alle regole europee contro l’erosione della base imponibile.
Un’ultima immagine, prima di chiudere
La scena, oggi, è un corridoio lungo di Palazzo Chigi in cui si incrociano passi veloci e sguardi attenti: tecnici che contano decimali, dirigenti che pesano le scelte, investitori che osservano. Nel nostro racconto questa manovra non è una somma di articoli, ma un passaggio di fiducia tra Stato e sistema finanziario. Servono equilibrio, chiarezza e tempi certi: perché i numeri fanno i conti, ma sono le decisioni a costruire, davvero, il respiro dell’economia.
