Una sera d’autunno, un tavolo vicino al fiume, due presenze che parlano piano. In quell’istante, l’ultima scia di vita di Pier Paolo Pasolini passa anche da qui, nel cuore dell’Ostiense. Accanto a lui c’è Pino Pelosi, poco più che un ragazzo. Da allora, quel ristorante custodisce silenzi, gesti, attese. E domande che non smettono di bussare.
Un tavolo che non ha smesso di parlare
Nella sala principale di “Al biondo Tevere”, il tempo sembra fermarsi su un dettaglio: una sedia con un piccolo nastro legato a una gamba. Fu un segno nato all’alba di una notizia tremenda, e da allora non è mai stato sciolto. C’è anche una targa che ricorda l’“amore rivolto al popolo di Roma”, perché la memoria, in questo luogo, non è un vezzo: è un modo di restituire respiro a una città che trattiene il fiato da cinquant’anni. È quanto emerge dal racconto del titolare Roberto Panzironi, raccolto da Adnkronos, che riporta i particolari rimasti incisi nel tempo.
Tra quelle abitudini scolpite nel ricordo, una spicca: Pasolini preferiva il cibo senza sale, diceva che “gli fermava la testa”. Un dettaglio domestico, quasi intimo, che racconta più di mille aggettivi. E un piatto imparato insieme: un carciofo affettato sottilissimo, immerso nel limone con un filo d’olio, rigorosamente senza sale. Sono frammenti di vita condivisa tra cucina e sala, quando la letteratura si accomodava al tavolo e le storie nascevano tra i piatti che tornavano in cucina e le parole che restavano nell’aria, come testimonia l’intervista dell’agenzia.
La sera del 1 novembre: minuti sospesi tra il Tevere e la notte
È tardi, la sera del 1 novembre 1975. In sala sono rimasti solo i familiari e pochi addetti quando Pier Paolo Pasolini entra con un ragazzo dalla figura esile: Pino Pelosi. Frequentatore abituale, il “professore” – così lo chiamavano lì – viene fatto accomodare senza esitazioni. Il tono è basso, le parole misurate. Nessun clamore: un tavolo apparecchiato, un piatto che passa di mano in mano, una conversazione breve. Sono “minuti sospesi” che il ristoratore rivede come in un fermo immagine. Lo ha raccontato ad Adnkronos, con quella chiarezza semplice di chi non ha mai smesso di ricordare.
Si trattengono poco, una ventina di minuti, forse mezz’ora. Pasolini assaggia appena dal piatto del giovane, non alza la voce, non cambia umore. Mancano pochi minuti alla mezzanotte quando il padre del titolare li accompagna al cancello: un saluto asciutto, la notte che inghiotte la strada verso l’Idroscalo di Ostia. Sono passati cinquant’anni, ma quella sequenza continua a scorrere identica, ogni volta che qualcuno chiede dove si fossero seduti, quanto rimasero, come si guardavano. È la geometria del ricordo a rendere nitide le ombre, come documentato nella ricostruzione dell’agenzia.
Abitudini, amicizie, set
Nei pomeriggi senza fretta, quando il pranzo finiva e la cena non era ancora iniziata, Pasolini trasformava la sala di sopra in un piccolo laboratorio. Studiava le sequenze, discuteva con collaboratori e tecnici, annotava, correggeva, ripartiva. Per tutti era il “professore”: un appellativo nato non dalla distanza, ma da quella pazienza con cui guidava i più giovani a trovare le parole giuste, riga dopo riga. È un ritratto di lavoro, più che di posa, che emerge dalla testimonianza diretta raccolta da Adnkronos.
Capitava spesso che a quel tavolo quadrato si sedessero nomi oggi scolpiti nella nostra memoria culturale: Alberto Moravia, Dario Bellezza, Dacia Maraini. Si parlava di libri e di versi, di pagine che stavano per nascere e di scene ancora da girare. Moravia sapeva essere ruvido con gli aspiranti scrittori, raccontano; Pasolini, invece, ascoltava e aiutava. È un’istantanea che dice molto della sua idea di letteratura e di responsabilità verso chi veniva dopo, come testimoniato nell’intervista pubblicata dall’agenzia.
Dalle stanze del ristorante ai film
Nel racconto del ristoratore rimbalza anche un titolo: “La commare secca”. Secondo il suo ricordo, anche quel film passò da queste stanze. Ci sta: quell’opera del 1962 fu l’esordio alla regia di Bernardo Bertolucci, costruita su un soggetto di Pier Paolo Pasolini, e nasceva dalla stessa materia urbana che animava molte conversazioni a tavola. La cornice è Roma, il Tevere, i suoi argini, le sue voci. La memoria di chi c’era racconta la vicinanza concreta tra il lavoro e la vita di quei giorni.
E non è un caso se, decenni dopo, il cinema è tornato su quei luoghi per riannodare i fili dell’ultima giornata. Nel film “Pasolini” di Abel Ferrara, tra le location scelte ci sono anche i punti che segnarono le ultime ore: la stazione Termini, il Pigneto, il ristorante di via Ostiense. È un ritorno sui passi per restituire contesto a un’assenza, una scelta dichiarata dalla cronaca culturale dell’epoca.
Cronaca giudiziaria e memoria di una verità contesa
Nelle cronache di allora, Pino Pelosi venne indicato come responsabile dell’omicidio e fu l’unico condannato in via definitiva. Anni più tardi, però, la sua versione cambiò, aggiungendo nuovi margini di ambiguità e di dolore pubblico. La notizia della sua morte, nel luglio 2017, ha chiuso la parabola di un testimone centrale e controverso, senza però dissipare il senso di incompiutezza che accompagna quel fascicolo. Sono passaggi ricordati da più testate nazionali, tra cui LaPresse ed Euronews.
Negli anni, accertamenti scientifici e istanze di riapertura hanno provato a rimettere mano al caso. Nel 2010 furono isolati profili genetici su alcuni reperti; nel 2023 un’istanza dell’avvocato Stefano Maccioni chiedeva nuove verifiche. La Procura di Roma ha però precisato nell’ottobre 2023 che non risultava una riapertura formale e, a novembre, ha respinto la richiesta, ritenendo insufficienti gli elementi per procedere. Il dibattito resta aperto, ma il punto giudiziario – ad oggi – è questo. Lo hanno documentato ANSA e la Repubblica.
L’Idroscalo oggi: il luogo che parla piano
Là dove tutto finì, all’Idroscalo di Ostia, il degrado di un tempo ha lasciato spazio a un giardino letterario all’interno del Centro Habitat Mediterraneo LIPU. Nel 2005 il Comune di Roma ha sostenuto la creazione del Parco Letterario Pier Paolo Pasolini, progettato da Mario Rosati: una stele e una scultura – due colombe in volo – ricordano l’intellettuale, le sue parole, il suo passaggio che brucia ancora. Qui, ogni giorno, la memoria diventa paesaggio, e il paesaggio restituisce memoria. Lo racconta anche il portale ufficiale di Turismo Roma.
Non sono mancati momenti difficili, con atti vandalici che la comunità ha sempre condannato e risanato, segno di un sentimento civile che non vuole cedere all’oblio. Anno dopo anno, la città si ritrova per raccogliersi in cerimonie sobrie e partecipate, mantenendo acceso quel filo che lega Ostia al resto del Paese. È un percorso fatto di gesti collettivi, non di clamori: come ricordano le cronache locali e nazionali, dall’impegno del territorio alle commemorazioni segnalate negli anni dalle agenzie.
Domande che restano al tavolo
Perché quel passaggio al “Biondo Tevere” è diventato un frammento centrale del nostro racconto? Perché in quei minuti racchiusi tra la sala e il cancello c’è l’umanità di Pasolini oltre l’icona: l’abitudine, il dialogo quieto, il gesto di assaggiare dal piatto di un ragazzo che aveva fame. È una scena minima che restituisce respiro a tutto il resto, e che la testimonianza diretta del titolare – raccolta da Adnkronos – ha fissato con la nettezza dei fatti semplici, al riparo dall’enfasi. In quel dettaglio, Roma riconosce una verità quotidiana che tocca tutti.
È vero che quella notte lo scrittore aveva già cenato prima di fermarsi in Ostiense? Le ricostruzioni giornalistiche ricordano un passaggio precedente da Pommidoro, nel quartiere San Lorenzo, dove Pasolini sarebbe stato di casa: un tassello che spiegherebbe perché, più tardi, al ristorante sull’Ostiense, a mangiare davvero fu soltanto il giovane Pelosi. È un percorso raccontato dal Corriere della Sera – edizione Roma, che ha intrecciato storie di tavoli, ricevute e memorie dei ristoratori, componendo una mappa gastronomica e sentimentale dell’ultima sera.
A che punto sono oggi le verità giudiziarie e le domande aperte? Negli anni non sono mancati tentativi di riaprire il dossier, anche sulla scorta di tracce genetiche isolate nel 2010. Nel 2023 una nuova istanza ha chiesto di verificare quei profili, ma la Procura di Roma non ha riaperto l’indagine e a novembre ha respinto la richiesta, ritenendo insufficienti gli elementi. La cronaca registra dunque una ferita ancora aperta, ma pure un punto fermo sul piano processuale. A documentarlo sono state ANSA e la Repubblica.
Una scena che continua a parlarci
Ritorniamo sempre lì: a un tavolo, a un nastro legato a una sedia, a un piatto che non è stato finito. È in questi dettagli che si riconosce il battito di una città, e che il nostro sguardo – quello di chi racconta per mestiere e per vocazione – sceglie di fermarsi. Non per nostalgia, ma per rispetto: perché la storia non è soltanto un atto giudiziario o una pagina di letteratura, è anche la somma di modi gentili, di tempi corti, di scelte minuscole. E, qualche volta, di silenzi che pesano quanto un verdetto.
Scrivere di Pasolini significa accettare la complessità e avvicinarsi senza rumore. Qui proviamo a farlo partendo da ciò che resta: la voce di chi ha apparecchiato un tavolo, la diligenza di chi ha fissato nel cuore una sequenza di minuti, la cura di una comunità che custodisce un parco, una scultura, un ricordo condiviso. È così che si tiene insieme una città: con gesti piccoli e parole precise, con la responsabilità di non semplificare, e con la delicatezza di dare forma, ogni volta, al dolore che chiede di essere compreso.
