La vicenda giudiziaria della Gintoneria entra in una nuova fase: la giudice per le indagini preliminari di Milano ha ratificato i patteggiamenti di Davide Lacerenza e Stefania Nobile. Pene concordate, confische per oltre novecentomila euro e bottiglie pregiate all’asta. Per entrambi, ora, si aprono strade alternative alla detenzione, scandite da impegni concreti e tempi di verifica.
Le bottiglie che pagano i conti
Le etichette che fino a pochi mesi fa brillavano sui tavoli della movida milanese diventeranno la cassa per saldare i debiti con lo Stato. Con la decisione della gip Marta Pollicino, il valore di champagne e altri alcolici sequestrati — stimato in oltre 900mila euro — verrà monetizzato attraverso un’asta giudiziaria. A questo tesoretto si sommano alcune decine di migliaia di euro trovati sui conti e parte degli arredi dei locali sotto sequestro. Una fotografia netta: la liquidazione del superfluo a sostegno delle obbligazioni imposte dalla sentenza.
È un rovesciamento simbolico e materiale. Ciò che era status diventa garanzia, ciò che raccontava una notte diventa strumento per chiudere i conti del giorno dopo. L’asta non è solo un atto contabile: rappresenta l’epilogo di un’indagine che ha messo in fila beni, conti e responsabilità, e che oggi traduce in denaro i sequestri maturati nei mesi scorsi. Un passaggio che, per i due imputati, pesa come una soglia: superarla significa ripartire con regole nuove, sotto l’occhio vigile della magistratura.
Come si è arrivati fin qui: tappe, scelte, conseguenze
Il percorso è stato scandito da date e decisioni. Lacerenza e Nobile erano stati arrestati il 4 marzo 2025 nell’inchiesta coordinata dalla pm Francesca Crupi con il Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza, in relazione a ipotesi di detenzione e spaccio di droga, nonché favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, con al centro la Gintoneria e il privé La Malmaison. A metà luglio la difesa ha imboccato la via del patteggiamento, mettendo sul tavolo anche le bottiglie di pregio come risarcimento. È da quel passaggio che prende forma l’accordo ora omologato.
Nel frattempo sono cambiate le misure cautelari. A fine settembre, per Lacerenza la gip ha disposto la revoca dei domiciliari, mantenendo l’obbligo di dimora a Milano; per Nobile i domiciliari erano stati già revocati a giugno. La tappa decisiva è arrivata il 22 ottobre 2025: patteggiamenti ratificati, confische definite e un calendario di adempimenti che si sposta sul terreno dell’esecuzione penale esterna e delle utilità sociali. Una traiettoria giudiziaria che, al di là dei clamori, si è sviluppata in modo lineare e documentato.
Le pene concordate e ciò che comportano
La pena concordata per Davide Lacerenza è di 4 anni e 8 mesi; per Stefania Nobile di 3 anni. Si tratta di un esito negoziato con il via libera della Procura e la successiva valutazione della gip. L’accordo include la confisca dei beni sequestrati, così da coprire risarcimenti e costi, e disegna due percorsi distinti: per Lacerenza la possibilità di richiedere una misura alternativa, per Nobile l’accesso ai lavori di pubblica utilità, già autorizzati. Un meccanismo in cui responsabilità e riparazione si muovono insieme.
Il quadro esecutivo apre spiragli ulteriori. L’affidamento in prova ai servizi sociali potrà essere chiesto da Lacerenza, con un percorso in comunità finalizzato anche alla disintossicazione; Nobile, invece, è in procinto di iniziare attività a favore della collettività. Entrambi, in caso di comportamento regolare, potranno ambire agli sconti previsti dalla legge in tema di liberazione anticipata, dopo la valutazione del Tribunale di Sorveglianza. Sono i binari su cui la giustizia penale reinserisce, prova dopo prova, chi accetta di cambiare rotta.
Voci della difesa e orizzonte dei due ex soci
Nella lettura del legale Liborio Cataliotti, l’intesa segna un azzeramento patrimoniale per Lacerenza e un nuovo inizio misurato su lavoro, regole e cura delle fragilità personali. L’interpretazione è chiara: pagato il conto con la confisca e definita la pena, il futuro dipenderà dalla capacità di rispettare prescrizioni e tempi dell’esecuzione penale esterna. Non c’è scorciatoia, ma un percorso: il reinserimento sociale passa da impegni verificabili, con controlli e relazioni periodiche. È il passaggio più concreto dopo mesi di carte, udienze e sequestri.
Allo stesso modo, per Stefania Nobile la prospettiva dei lavori di pubblica utilità mette al centro l’utilità collettiva come forma di espiazione. Un impegno che si rifletterà nel quotidiano, con mansioni e orari stabiliti, e che rappresenta l’altra metà dell’accordo: meno carcerazione, più responsabilità diretta. Il compito della giurisdizione, adesso, sarà vigilare perché quanto scritto trovi riscontro nei fatti, e perché il patto tra pena e rieducazione mantenga la sua sostanza, senza sconti di attenzione per nessuno.
I prossimi passaggi concreti
La macchina amministrativa si sposta ora sull’asta giudiziaria. Toccherà agli uffici competenti valorizzare bottiglie e arredi sequestrati, trasformandoli in risorse destinate a colmare la cifra indicata nel provvedimento. Parallelamente, l’esecuzione penale esterna avvierà le proprie procedure: valutazioni, programmi individualizzati, verifiche. Tutto ruota attorno a una promessa implicita: la pena, se rispettata nei suoi strumenti, può diventare un terreno di cambiamento, non solo un conteggio di giorni. È qui che si misura la serietà di un patteggiamento.
Resta sullo sfondo l’indagine che, nel tempo, ha portato alla definizione di sequestri e contestazioni. Gli atti raccolti — la cronologia degli arresti del 4 marzo, le richieste di luglio, gli allentamenti cautelari di fine settembre — hanno plasmato l’esito odierno. Oggi la notizia non è una notte di eccessi, ma un impegno scandito da regole: aste, conti, orari di lavoro, percorsi terapeutici. È così che una storia di mondanità imbocca la strada della restituzione, con la legge a dettare il ritmo.
Le domande che contano, senza giri di parole
Quali sono le pene definitive per Lacerenza e Nobile? Le pene concordate e ratificate sono di 4 anni e 8 mesi per Davide Lacerenza e di 3 anni per Stefania Nobile. Sono il risultato di un accordo con il via libera della Procura e la valutazione della gip, e includono la confisca di beni sequestrati. Non è un dettaglio tecnico: è il baricentro dell’intera decisione, perché lega sanzione, restituzione economica e percorsi alternativi alla detenzione in un unico quadro coerente.
Cosa accadrà alle bottiglie e agli arredi sequestrati? Le bottiglie di champagne e gli altri alcolici, insieme a parte degli arredi dei locali, saranno messi all’asta. Il loro valore, stimato in oltre 900mila euro, confluirà nel capitolo dei risarcimenti e delle confische disposte. È un passaggio operativo e simbolico: i beni che avevano sostenuto l’immagine del locale diventano strumento di riparazione, con un percorso tracciato dagli uffici giudiziari preposti all’alienazione.
Perché la strada del patteggiamento è stata ritenuta percorribile? Perché la Procura ha dato il proprio assenso e la gip ha valutato l’adeguatezza delle pene e dei risarcimenti, dopo mesi di indagini condotte dalla pm Francesca Crupi e dalla Guardia di finanza. Già a metà luglio la difesa aveva formalizzato la richiesta, mettendo a disposizione le bottiglie di pregio. Da allora, passaggio dopo passaggio, si è arrivati all’omologa, che oggi chiude la partita penale per i due imputati in termini di definizione della pena.
Quali margini hanno ora i due imputati sulla fase esecutiva? Lacerenza potrà chiedere l’affidamento in prova ai servizi sociali, con un programma che comprende anche un percorso in comunità; Nobile inizierà i lavori di pubblica utilità. Entrambi, se rispetteranno le regole, potranno beneficiare degli strumenti premiali previsti dalla legge, come la liberazione anticipata, previa valutazione dei giudici di sorveglianza. È una fase scandita da doveri, verifiche e traguardi, dove ogni passo è misurato su condotte concrete.
Uno sguardo finale su una storia che cambia pelle
L’idea più forte, oggi, è il senso di ribaltamento. Dove c’erano calici e luci, restano registri contabili, formulari per l’asta, programmi di lavoro e progetti di recupero. Il linguaggio è cambiato: al posto degli inviti e delle riserve, ci sono provvedimenti e calendari. Abbiamo ricostruito i passaggi attraverso i resoconti di testate nazionali — dall’agenzia Ansa ai quotidiani Corriere della Sera, Repubblica e Il Giorno — perché i fatti, quando sono delicati, chiedono conferme incrociate e prudenza nelle parole.
Resta una lezione, che va oltre i nomi: la giustizia non è un fotogramma, ma un continuum. Dalla notte degli arresti alla mattina delle aste, dalle misure cautelari ai lavori socialmente utili, il racconto ha cambiato ritmo senza perdere il filo. Ed è in quel filo — fatto di responsabilità, restituzione e controllo — che può nascere un’altra storia. Più sobria, più faticosa, ma capace di restituire senso alle parole: pena, riparazione, comunità. Qui, davvero, tutto dipende da come si sceglie di camminare.
