Hamas è uscita dalla guerra in Gaza profondamente colpita, ma ancora capace di muoversi. Le sue file si sono assottigliate, la scorta di razzi è stata drasticamente ridotta, eppure l’organizzazione continua a respirare sotto terra e a mostrarsi in superficie quando la tregua allenta la presa. Il quadro è sfumato, non definitivo.
Numeri che raccontano una forza dimezzata
Secondo una valutazione riportata da testate israeliane che citano un funzionario militare a NBC News, oggi Hamas manterrebbe tra 10mila e 20mila combattenti attivi, dopo perdite stimate nell’ordine di circa 20mila caduti. Nella stessa analisi, la disponibilità di razzi sarebbe stata ridotta fino al 90%, grazie ai colpi inferti a siti di produzione e rotte di contrabbando che ne alimentavano la potenza di fuoco: un modo per sottrarre non solo l’“esca”, ma anche la “canna” con cui tornare a pescare armamenti. Lo ha ricostruito Ynet riprendendo i contenuti diffusi dall’emittente statunitense.
A fotografare il quadro in divenire sono anche i servizi d’intelligence occidentali: all’inizio del 2025 fonti statunitensi indicavano che Hamas era riuscita a reclutare 10-15mila nuove leve nonostante le perdite, segno di una resilienza che si sposta dal fronte convenzionale a una postura da guerriglia. Nella primavera dello stesso anno, un’analisi Reuters spiegava come il gruppo avesse riconfigurato le proprie strutture di comando e adottato tattiche più fluide, capaci di sopravvivere all’erosione degli organici e degli arsenali.
Sotto terra, la vera partita
Il sistema di tunnel resta la spina dorsale della sopravvivenza militare di Hamas. Dopo quattro mesi di guerra, una ricostruzione del Wall Street Journal citata dal Times of Israel stimava intatto fino all’80% del reticolo sotterraneo, un labirinto che permette movimento, stoccaggio e comando al riparo dagli occhi e dai droni. L’IDF ha adattato di conseguenza la strategia, colpendo “nodi” e centri di coordinamento più che l’intera rete, un lavoro lento che richiede mappature capillari e che spesso si misura con booby trap e prigionieri. È un terreno dove la matematica dei numeri lascia spazio alla geografia della sopravvivenza.
Perfino quando la superficie tace, sotto continua a scorrere un’attività febbrile: Israele ha confermato l’uso dell’acqua di mare per allagare tratti scelti della rete, un’operazione che richiede tempo, mezzi e controllo del territorio. Fonti israeliane e internazionali, nel corso del 2024 e del 2025, hanno variato le stime: a primavera di quest’anno alcune ricostruzioni parlavano di una quota non superiore al 25%-30% di tunnel neutralizzati, con la maggior parte ancora da rendere inservibile. In sostanza, il cuore logistico sotterraneo non è crollato, anche se appare colpito e più difficile da manovrare.
Il giorno dopo la tregua
L’avvio della tregua di ottobre 2025 ha fatto riemergere nelle strade di Gaza pattuglie armate e unità di polizia legate ad Hamas, con una stretta sugli avversari interni e punizioni esemplari contro presunti collaboratori. Il Washington Post ha descritto una campagna di reimposizione dell’ordine tra esecuzioni pubbliche e blitz mirati, mentre resoconti israeliani parlano di riapparizioni di agenti una volta che le forze dell’IDF si sono ritirate verso la cosiddetta “linea gialla”. L’immagine che ne esce è quella di un potere ridotto, ma deciso a mostrarsi ancora regolatore dell’enclave.
Dentro questo quadro si sono inseriti scontri a fuoco con clan armati radicati sul territorio, alcuni dei quali accusati di intese con Israele e altri apertamente ostili all’egemonia di Hamas. Un factbox di Reuters ha elencato i gruppi più attivi, mentre AL‑Monitor ha ricostruito dinamiche e leadership nelle aree calde di Gaza City, Khan Yunis e Rafah. Tra accuse incrociate e tregue locali, la cartina della sicurezza interna resta macchiata da vendette, arresti e regolamenti di conti.
Reclutamento e rabbia: un’energia difficile da spegnere
Nelle parole di figure dell’establishment israeliano come l’ex capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale Giora Eiland, neutralizzare una milizia è un conto, impedirle di reclutare un altro: nel vuoto lasciato dalla devastazione, l’adesione è alimentata da collera, lutti e assenza di alternative. Anche se i nuovi arrivati sono spesso più giovani e meno addestrati, la disponibilità di armi leggere e lanciarazzi mantiene viva una minaccia fluida. Questa lettura, riferita da Ynet sulla base di interviste all’emittente americana, aiuta a capire perché il crollo di capacità non equivalga alla scomparsa del pericolo.
All’inizio del 2025, stime condivise con la stampa internazionale indicavano che Hamas avesse aggiunto fino a 15mila uomini alle proprie file, malgrado perdite paragonabili; una morsa che si allenta da un lato e si stringe dall’altro. Nel marzo 2025, un’altra nota Reuters raccontava un’organizzazione in mutazione, più orizzontale, capace di mantenere funzioni di governo e di sicurezza anche sotto bombardamenti e incursioni. È un pendolo che oscilla tra erosione e riassetto, e che rende plausibile una lunga fase di bassa intensità.
Il conto umano e la politica del possibile
Mentre si misurano arsenali e organici, la cifra più pesante resta quella dei civili. A fine luglio 2025 il bilancio dei morti palestinesi superava i 60mila, secondo i dati del Ministero della Salute di Gaza riportati da Reuters; nello stesso arco di tempo, aggiornamenti dell’Ufficio ONU per gli Affari Umanitari descrivevano un sistema sanitario allo stremo e un numero di feriti oltre quota 140mila. Sono numeri che non spiegano tutto, ma dicono cosa resta dopo ogni battaglia.
La tregua ha retto a fatica. In più occasioni, Israele ha accusato miliziani di aver aperto il fuoco contro reparti dell’IDF, in particolare nell’area di Rafah, reagendo con attacchi mirati; versioni contestate dai gruppi armati e dai media locali, che parlano di vittime civili e violazioni del cessate il fuoco. Il quadro, raccontato da fonti israeliane e arabe, mostra quanto sia fragile la linea tra pausa operativa e riaccensione del fronte.
Tre risposte rapide per orientarsi
Quanti combattenti restano davvero a Hamas? Le stime oscillano: diverse ricostruzioni citano tra 10mila e 20mila uomini ancora in armi, dopo perdite simili per ordine di grandezza. La forbice è ampia perché si sommano unità clandestine, cellule logistiche e reclute recenti. Nel 2025 fonti statunitensi hanno indicato fino a 15mila nuovi ingressi, segno che la pressione militare non blocca automaticamente la sostituzione degli organici.
Che cosa resta dell’arsenale di razzi e del sistema di tunnel? Per fonti militari citate da NBC e riprese dalla stampa israeliana, finora Israele avrebbe neutralizzato fino al 90% della componente missilistica, colpendo produzione e traffici. Ma il ventre della Striscia racconta altro: varie analisi hanno stimato intatto tra il 70 e l’80% della rete di tunnel, nonostante allagamenti e demolizioni selettive. È qui che si gioca la capacità di rigenerarsi e di sorprendere.
Cosa accade nelle strade durante la tregua? La tregua di ottobre ha riaperto spazi di controllo interno. Pattuglie legate a Hamas sono tornate visibili, con arresti, esecuzioni di presunti collaboratori e scontri con clan armati. Testimonianze e ricostruzioni internazionali descrivono un ordine imposto e contestato, attraversato da episodi di violenza reciproca e accuse incrociate di violazione del cessate il fuoco. È un equilibrio instabile, continuamente negoziato sul terreno.
Una chiusura che guarda oltre i numeri
Ci sono guerre che si misurano in chilometri riconquistati e altre che si contano nelle ore di silenzio tra un allarme e l’altro. Questa in Gaza è entrambe le cose, ma soprattutto è l’eco di famiglie intere che cercano un riparo, di giovani che inseguono un ruolo, di quartieri che cambiano volto. La riduzione di Hamas non coincide con la fine del rischio; ne muta soltanto la forma, e questo basterebbe a chiedere prudenza nelle previsioni.
Da osservatori, scegliamo di guardare al margine umano di ogni cifra. Un’organizzazione può arretrare, ma le macerie e la rabbia restano, alimentando reclutamento e vendetta. La vera partita — politica, sociale, di sicurezza — si giocherà su ciò che accadrà nelle settimane e nei mesi in cui la tregua verrà rispettata o violata, e su quanto spazio verrà concesso a una normalità che oggi appare ancora lontana. È lì che si decide se la ferita si chiude o continua a sanguinare.
