Una mattina d’autunno riporta a galla un dettaglio che sembrava sedimentato: lo scontrino del parcheggio che per anni ha accompagnato l’alibi di Andrea Sempio. Un nuovo racconto, vergato in un verbale d’indagine, ne mette in discussione l’origine. E, con esso, si riapre un capitolo delicato del delitto di Garlasco, che continua a chiedere rigore, memoria e prudenza.
Un alibi al crocevia delle verifiche
Secondo quanto riferito dagli investigatori, coordinati dalla Procura di Pavia, i carabinieri del Nucleo investigativo di Milano hanno ascoltato una persona mai sentita prima. Il testimone sostiene di sapere come quel biglietto della sosta, stampato alle 10:18 del 13 agosto 2007 in piazza Sant’Ambrogio a Vigevano, sia arrivato nelle mani di Sempio. Se confermata, questa versione scalfirebbe un tassello chiave dell’alibi dell’allora diciannovenne, e rimetterebbe ordine e domande su una mattina segnata dal sangue di Chiara Poggi. A darne conto, con toni cauti e attenzione ai fatti, sono state testate nazionali che seguono il caso da anni.
Lo scontrino — un euro per un’ora di sosta — era finito ai carabinieri il 4 ottobre 2008, oltre un anno dopo il delitto, durante il secondo interrogatorio di Sempio. Nella prima inchiesta del 2017 a Pavia, quel tagliando fu considerato tra i pilastri che portarono il gip Fabio Lambertucci ad archiviare la sua posizione. Oggi quel documento, e il percorso che lo ha condotto agli atti, tornano oggetto di riscontri. È una verifica tecnica e di contesto: orari, luoghi, abitudini, memorie, tutto viene riassemblato con lentezza per evitare scorciatoie.
La difesa tra riserbo e metodo
L’avvocato Liborio Cataliotti, che difende Andrea Sempio insieme alla collega Angela Taccia, mantiene una linea ferma: commentare soltanto gli atti. Il legale ha spiegato di non voler entrare nel merito di notizie di stampa su un verbale che la difesa non ha ancora a disposizione, richiamando la necessità di una cautela “gigantesca” quando emergono informazioni che dovrebbero restare riservate. È un approccio che ricalca una regola professionale: prima si leggono i fascicoli, poi si parla. Nel frattempo, il principio di presunzione di innocenza non è uno slogan, ma la bussola da tenere in mano.
Alla domanda se chiedere lo spostamento del procedimento da Pavia a Brescia per connessione con un’altra inchiesta, la risposta resta improntata alla tecnica: la difesa ha già studiato l’ipotesi, ma oggi non la ritiene all’orizzonte. Si cercano precedenti sull’articolo 11 c.p.p. e, se emergeranno basi solide, la questione verrà proposta. Fino ad allora il “giudice naturale” è Pavia, senza strappi né scorciatoie: le strategie non sostituiscono le regole. È una presa di posizione che segna il perimetro, in attesa di carte e udienze.
Indagini parallele e incroci delicati
Accanto alla verifica sull’alibi di Sempio, esiste un altro fascicolo di grande sensibilità: a Brescia si indaga sull’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti per presunta corruzione in atti giudiziari, in relazione ai passaggi che, nel 2017, condussero all’archiviazione dell’amico di Marco Poggi. Nelle carte bresciane emerge il riferimento a una possibile somma di denaro, mentre la difesa di Venditti, davanti ai sequestri scattati il 26 settembre 2025, ha chiesto che l’intera indagine su Sempio sia trasferita a Brescia per connessione. Una richiesta che, ad oggi, resta materia di confronto giuridico.
Lo stesso Venditti ha respinto con nettezza ogni addebito, spiegando pubblicamente di non aver mai incassato denaro legato alla sua attività e sottolineando l’amarezza per un’accusa che ritiene ingiusta. Parole misurate ma ferme, pronunciate all’indomani delle perquisizioni, che ricordano quanto la vicenda giudiziaria abbia ricadute umane per tutti i coinvolti. Anche qui, la grammatica dei fatti impone equidistanza: si attende che i magistrati, con gli strumenti della legge, facciano chiarezza su ipotesi e responsabilità.
Diciotto anni dopo: coordinate per orientarsi
Per comprendere la portata delle novità, va ricordato che il delitto di Chiara Poggi risale al 13 agosto 2007. Il percorso processuale ha portato nel 2015 alla condanna definitiva di Alberto Stasi a 16 anni. Quella decisione della Cassazione ha chiuso il giudizio penale nei suoi confronti, dopo anni di oscillazioni e dibattiti. I tasselli in verifica oggi riguardano altri profili e non riscrivono i verdetti già scolpiti, ma possono affiancarsi come possibili piste di approfondimento. Sono piani differenti che richiedono letture distinte.
Nel frattempo, il 1° luglio 2025 i giudici hanno confermato per Stasi la semilibertà, rigettando il ricorso della procura generale. È un dato che testimonia come la macchina della giustizia proceda per step, tra benefici penitenziari e controlli di legittimità, mentre altre indagini — autonome e parallele — proseguono i loro cammini. Le cronache convivono con le aule e i corridoi dei palazzi di giustizia, dove ogni carta pesa e ogni scelta viene pesata due volte.
I nodi di un biglietto e il peso dei minuti
Il cuore del confronto resta quello scontrino: un euro, un’ora di sosta, una stampa alle 10:18 del 13 agosto 2007 in piazza Sant’Ambrogio a Vigevano. Per anni, quel tagliando ha rappresentato la chiave per collocare Sempio altrove rispetto a Garlasco in un frangente cruciale. Oggi un testimone dice che quel cartoncino non sarebbe stato ritirato da lui. Piccole cose, grandi conseguenze: un dettaglio amministrativo può mutare la percezione di una mattina lontana, se è confermato e inserito correttamente nel mosaico.
La domanda, ora, riguarda la coerenza complessiva: tempi, tragitti, abitudini familiari, conservazione del ticket e consegna ai carabinieri il 4 ottobre 2008. Gli investigatori ripercorrono a ritroso ogni segmento, provano a sovrapporre orologi, incartamenti e ricordi. È un lavoro certosino che non può permettersi semplificazioni: ogni affermazione va sostenuta da riscontri, ogni ipotesi da verifiche incrociate. Solo così si evita che l’interpretazione prenda il posto della prova, in un caso che ha già inciso profondamente nel sentimento collettivo.
Le nostre risposte immediate
Cosa cambia con il nuovo testimone sullo scontrino? Se i riscontri confermeranno quanto messo a verbale, verrebbe meno un tassello dell’alibi di Andrea Sempio. Non significa un ribaltamento automatico: significa che la ricostruzione di quella mattina andrebbe ripensata, incrociando orari, luoghi e testimonianze. La cautela non è una formula di rito: è la condizione per distinguere ciò che è suggestione da ciò che resiste alla prova dei fatti e della procedura.
Perché la difesa non entra nel merito adesso? L’avvocato Liborio Cataliotti ha chiarito che commenterà solo gli atti a disposizione. È una scelta ordinata: prima si acquisisce il verbale, poi si valuta come replicare. Intervenire senza carte certe rischia di alimentare interpretazioni sommarie. La linea è attendere, studiare gli incastri giuridici e, se necessario, muovere istanze fondate su norme e precedenti, senza sovrapporre il clamore alla tecnica.
Che rapporto c’è con l’inchiesta di Brescia su Mario Venditti? Il procedimento bresciano indaga su presunte illecite interferenze legate alla prima archiviazione del 2017. La difesa di Venditti chiede che l’indagine su Sempio vi confluisca per connessione, ma su questo si discuterà nelle sedi opportune. Nel merito, Venditti ha respinto ogni accusa. Sono binari che possono toccarsi, ma la loro eventuale unificazione dipende da requisiti giuridici precisi, non da valutazioni di opportunità.
Lo scontrino può essere considerato inattendibile da solo? Nessun elemento, da solo, dovrebbe orientare la rotta. Uno scontrino acquista valore se coerente con orari, percorsi, celle telefoniche, testimonianze. Se il racconto del testimone verrà corroborato, potrà incidere; se resterà isolato, varrà quanto un indizio privo di cornice. La necessità è rimettere insieme i tasselli con metodo e lasciare che siano i riscontri, non le impressioni, a dire l’ultima parola.
Dove si colloca oggi la figura di Alberto Stasi? La condanna a 16 anni è definitiva dal 2015 e, dal 1° luglio 2025, resta confermata la semilibertà. Le nuove verifiche su Sempio non toccano automaticamente quel giudicato. Sono percorsi separati che possono convivere: uno attiene all’esecuzione della pena, l’altro a possibili responsabilità di terzi. Confonderli significherebbe smarrire la gerarchia delle decisioni e il senso dei diversi binari processuali.
Una verità che pretende pazienza
In questa storia, le parole hanno il peso degli orologi. Una ricevuta di un euro, un orario impresso su carta termica, un ricordo rimesso a verbale: la giustizia costruisce il suo racconto mettendo in fila i dettagli. Chi indaga, chi difende, chi legge: tutti sono chiamati a un esercizio comune, quello della misura. Il dolore della famiglia Poggi, come la dignità dei soggetti coinvolti, merita un confronto pubblico asciutto, sorvegliato, capace di distinguere tra fatti e supposizioni.
Il nostro sguardo resta fisso su ciò che si può dimostrare, senza scorciatoie né indulgenze. La cronaca non deve cedere alla tentazione del sensazionalismo, perché ogni parola aggiunge o toglie qualcosa alla vita delle persone. Continueremo a cercare risposte dove stanno: negli atti, nelle aule, nei riscontri. Se arriveranno conferme, le racconteremo; se resteranno dubbi, li chiameremo con il loro nome. È così che si onora una vicenda che chiede rispetto prima di tutto.
