Capita che una frase, detta con il sorriso, spalanchi un dibattito vero. È successo quando Enzo Iacchetti, ospite nel salotto domenicale di Rai1, ha ricordato i no ricevuti in passato e ha scherzato sull’ipotesi di presentare a Sanremo una sua “canzone bonsai”. Da Mara Venier è arrivata una sorpresa: un messaggio di Carlo Conti che gli ha fatto capire che le porte dell’Ariston, se c’è una proposta all’altezza, non sono sbarrate. E la replica del comico è stata una stoccata garbata: «Scherzi a Parte lo fanno altrove». Una miccia classica, capace di rianimare la conversazione sul Festival prima ancora delle liste dei Big.
Mentre quella botta e risposta viaggiava tra ironia e puntiglio, Conti portava avanti il lavoro più delicato della stagione: l’ascolto dei brani e la costruzione del racconto dell’edizione 2026. Il quadro ufficiale è ormai definito: cinque serate fissate all’ultima settimana di febbraio e un regolamento che ricalca l’anno precedente, compresa la serata Cover con possibilità di duetti tra i Big. Il numero degli artisti in gara è indicato in 26, con l’eventualità — ammessa pubblicamente — di salire a 28 se la qualità lo imponesse. Un perimetro chiaro, dentro il quale una scintilla come quella di Iacchetti non disturba: anzi, può diventare benzina buona.
Che cosa è davvero successo
Iacchetti ha riportato in tv una frustrazione antica: «mi dissero che non ero un cantante». Ha ricordato l’esempio di Faletti all’Ariston e, quando Venier gli ha letto il messaggio di Conti (“le iscrizioni sono aperte, manda qualcosa e l’ascolto”, il senso), ha rilanciato con la provocazione della canzone bonsai e la frecciata su Scherzi a Parte. Teatro d’altri tempi: pungolo, contro‑pungolo, siparietto che resta leggero ma tocca nervi veri — la selezione, i criteri, l’idea di canzone che merita quel palco. Tutto avvenuto in studio, in diretta, con i toni misurati di chi conosce bene la tv.
La reazione del direttore artistico è stata coerente con il profilo tenuto in queste settimane: mai chiudere una porta in anticipo, valutare tutto, difendere la linea guida senza irrigidirsi. L’invito ad “ascoltare” una proposta è un messaggio preciso pure ai Big che stanno limando i brani: non c’è preclusione di genere, conta la forza della canzone. È qui che il graffio di Iacchetti trova il suo posto: ricordare che la tradizione satirica e miniaturista del suo repertorio esiste, e che il Festival — quando incrocia linguaggi diversi — spesso si arricchisce.
Dove sta andando Sanremo 2026
Il perimetro organizzativo non è più un’ipotesi. Il regolamento pubblicato online da Rai definisce calendario e struttura: cinque serate dall’Ariston, finale al sabato, 26 campioni in competizione, quattro Nuove Proposte, meccanismi di voto che incrociano sala stampa, radio e televoto. Confermata la serata Cover, con i Big liberi di duettare tra loro; il risultato di quella gara resta separato dal computo finale. È il telaio “coperto” che consente al direttore artistico di concentrarsi sulla materia viva: le canzoni.
Nelle esterne di metà ottobre Conti ha spiegato di ricevere ogni anno tra 500 e 600 proposte e di puntare a tenerne 26 in gara; se la qualità lo richiede, ha aggiunto, potrebbe arrivare a 28, come già accaduto in passato con un aumento in corsa. È un dettaglio che racconta la pressione del tavolo di selezione e, insieme, la filosofia di fondo: proteggere ritmo e durata delle serate senza rinunciare a brani che chiedono spazio.
Chi sono gli attori in campo
Enzo Iacchetti non ha bisogno di presentazioni: volto storico di Striscia la Notizia, nasce artisticamente fra cabaret, teatro e quella forma minuscola e caustica che ha battezzato canzoni bonsai. Un marchio entrato nel costume, dal Maurizio Costanzo Show a un album dedicato, che in tv torna a ondate e dialoga quasi naturalmente con l’attualità. Proprio in questi giorni ha portato in promozione un’autobiografia nuova di stampa, segno che il suo racconto personale è di nuovo in pieno movimento.
Dall’altra parte c’è un direttore artistico che ha già messo in chiaro i confini dell’edizione: regolamento “tale e quale” all’anno scorso e, nella serata del venerdì, libertà di duetti tra i Big. È il contesto dentro cui leggere anche i botta e risposta: se il Festival si tiene saldo sul suo impianto, una provocazione arguta può diventare una pausa d’ossigeno e un assist narrativo, non una frattura.
Perché questa frizione può fare bene (anche a voi che guardate)
Sanremo vive di canzoni e di attesa. Le canzoni arriveranno sul palco, l’attesa la costruiamo adesso. Un diverbio elegante tra un comico “di penna” e un direttore artistico esperto rimette al centro la domanda giusta: che cosa vogliamo ascoltare all’Ariston? Solo ballad amorose? O c’è spazio per linguaggi diversi, compresa una scrittura rapida e satirica? Quando un Festival fa parlare del suo perimetro — regole, gusti, scelte — tiene agganciati pubblico e artisti prima ancora dei brani.
C’è di più. Questo scambio, nato in casa Rai e con il palco ancora spento, ha un pregio: evita i fuochi d’artificio di maniera e rimette la dialettica sul binario giusto, quello della proposta. Se Iacchetti invierà davvero un brano lo scopriremo; intanto, a chi sta scrivendo le ultime strofe, arriva un segnale chiarissimo: non imitate l’aria che tira, trovate la vostra voce. È così che un Festival cresce: quando costringe tutti — noi compresi — a prendere posizione su cosa consideriamo “una bella canzone”.
Quando tutto questo avrà un esito
Le prossime tappe sono note: definizione dei 26 (eventualmente 28) Campioni, percorso delle Nuove Proposte, preparazione delle cinque serate fissate nell’ultima settimana di febbraio. Nel frattempo gli scambi pubblici come quello tra Iacchetti e Conti saranno preziosi perché misurano la temperatura della piazza senza compromettere il lavoro di selezione. Se cercavate un segnale su come sta nascendo Sanremo 2026, eccolo: ordine sul regolamento, libertà nella visione, coraggio nella scelta dei brani.
