Una sera di ottobre, in via Prà, una rincorsa di pochi passi si è spezzata nel silenzio. Silvio Raimondi, 62 anni, artigiano di Pegli, è caduto accanto a un bus in ripartenza e non è più tornato a casa. Autopsia disposta, accertamenti in corso, fascicolo con l’ipotesi di omicidio stradale come atto di garanzia.
L’ultima attesa alla fermata
Le lancette segnano le 20.15 circa. In via Prà, il mezzo pubblico si è appena fermato, poi ha dato spazio a un pedone che attraversava la carreggiata da monte verso mare. Finito il passaggio, l’autobus ha ripreso la marcia verso levante. A quel punto, l’uomo ha bussato con forza sul cristallo laterale destro, all’altezza della porta centrale, nel tentativo di segnalarsi. L’equilibrio tradisce in un istante: la caduta lungo la fiancata destra, il corpo che scivola sull’asfalto, i passanti che trattengono il respiro. La scena combacia con le prime ricostruzioni diffuse dagli investigatori e riprese dalle cronache locali.
Dopo i primi soccorsi, Raimondi viene accompagnato al pronto soccorso di Voltri: l’accesso avviene in codice verde, segno di una gravità che non appare inizialmente irreversibile. Ma la notte piega i pronostici e, nel giro di quattro ore, arriva la notizia che nessuno vorrebbe ricevere. La progressione clinica, raccontata dalle pagine cittadine, restituisce la precarietà di attimi che sembrano gesti qualunque e diventano fatali. È la trama più difficile da accettare: quella che inizia come un imprevisto e finisce come un addio.
La dinamica sotto la lente
Gli agenti dell’Infortunistica lavorano su una sequenza che appare nitida nella sua crudezza: fermata, precedenza al pedone, ripartenza del mezzo. Poi l’uomo affianca l’autobus, batte sul vetro laterale per richiamare l’attenzione, perde stabilità e cade. Gli accertamenti parlano di una possibile interazione tra il corpo e il veicolo nel momento della caduta: un dettaglio che, se confermato, potrà orientare la lettura delle responsabilità. È un fotogramma serrato, di quelli che le indagini provano a scomporre con pazienza per capire dove si sia rotta la catena della sicurezza.
La ricerca della verità si muove tra testimonianze e immagini. Si cercano i passeggeri saliti poco prima, si esaminano le telecamere e si ricostruiscono le traiettorie. Gli approfondimenti, spiegano le cronache, sono coordinati dalla Polizia Locale con l’obiettivo di fissare millimetri e tempi, perché una frazione di secondo, a bordo di un bus della linea 1, può cambiare tutto. È in questa fase che la città impara di nuovo quanto pesino i dettagli, quando si deve stabilire se la condotta di ciascuno sia rimasta dentro il perimetro della prudenza.
Il quadro giudiziario
La Procura ha messo in moto la macchina degli atti irripetibili: l’autopsia è stata disposta per ricostruire con rigore clinico le lesioni e la loro origine temporale. Il sostituto procuratore Marco Zocco ha delineato il perimetro dell’inchiesta: ipotesi di omicidio stradale, un binario d’indagine che consente di cristallizzare prove e garanzie per tutte le parti. Nel frattempo, gli accertamenti tecnici mirano a intrecciare evidenze mediche e dinamiche su strada, perché solo l’incastro tra i due piani potrà definire cosa sia davvero accaduto in quegli istanti. La scelta, riportata dalla stampa locale, segna l’urgenza di risposte puntuali.
In circostanze analoghe, ricordano diverse cronache giudiziarie, l’iscrizione del conducente nel registro degli indagati è un passaggio di tutela, necessario a garantire il contraddittorio sugli accertamenti come l’esame autoptico e le perizie sulla dinamica. È un “atto di garanzia”, non una conclusione: lo ribadiscono casi recenti in cui la magistratura ha attivato lo stesso percorso procedurale per chiarire fino all’ultimo frame cosa sia davvero successo in strada. È una distinzione sostanziale, utile a evitare letture affrettate.
Un nome, una bottega, un quartiere
Silvio Raimondi non era un volto qualsiasi: artigiano vetraio, laboratorio in via Opisso a Pegli, mani allenate a incorniciare ricordi e proteggere superfici fragili. Viveva a Prà con la compagna, vicino alla madre anziana. È la geografia di un uomo che aveva radici e abitudini, raccontata dai vicini e dai colleghi che ne ricordano la gentilezza ostinata. Ogni dettaglio, oggi, pesa il doppio: dietro una serranda abbassata restano storie di clienti e amici, di consegne e promesse per il giorno dopo. Sono tasselli che spiegano perché la notizia abbia attraversato il quartiere come una ferita condivisa.
Nelle stesse ore, un altro numero si fa strada: questo è il quindicesimo decesso su strada a Genova dall’inizio dell’anno, il diciassettesimo considerando l’area metropolitana, rilevano le cronache locali. I numeri non consolano, ma impongono domande: su come ci si muove, su cosa vedono gli autisti, su cosa pensano i pedoni quando un attimo prima e uno dopo non sono mai uguali. È un’agenda che la città non può più rimandare, soprattutto sulle direttrici di scorrimento dove la convivenza tra velocità e attese resta delicata.
Tre risposte che servono subito
Perché si parla di “atto di garanzia” nell’ipotesi di omicidio stradale? Perché l’iscrizione nel registro degli indagati permette di svolgere accertamenti irripetibili – come l’autopsia o la perizia sulla dinamica – garantendo a tutte le parti il diritto di partecipare con i propri consulenti. Non è una sentenza anticipata, ma uno strumento di tutela del contraddittorio, adottato in casi simili anche fuori Liguria, come ricordano recenti indagini sulle morti in strada. Così si evitano buchi probatori e si fissano, con metodo, tempi e responsabilità.
Quali elementi tecnici possono fare la differenza in questa inchiesta? L’incrocio fra immagini e medicina legale: i video esterni e le telecamere di bordo, le tracce lasciate sull’asfalto e la posizione esatta del corpo nella caduta, insieme all’esame autoptico, sono decisivi per capire se ci sia stato un contatto con il mezzo e in quale momento. Le prime note di polizia parlano proprio di questa possibilità; il resto lo diranno rilievi e consulenze, tassello dopo tassello, fino a comporre un quadro privo di zone d’ombra.
Che cosa sappiamo con certezza delle ultime ore di Raimondi? Che la caduta è avvenuta mentre il bus aveva già ripreso la marcia dopo aver concesso la precedenza e che il sessantaduenne, nel tentativo di salire o farsi notare, ha bussato sul vetro laterale destro, perdendo poi l’equilibrio. È stato portato a Voltri in codice verde, ma il quadro clinico è precipitato e il decesso è arrivato quattro ore più tardi. Sono passaggi ricostruiti dalle cronache cittadine nelle ore successive ai fatti.
Quando una fermata diventa un confine
Non sempre la cronaca concede il tempo di un saluto. Qui, invece, restano i contorni nitidi di una sera normale e di un gesto istintivo, che voleva essere solo un invito ad aspettare. La città, che tante volte si stringe attorno ai suoi mestieri antichi, sa riconoscere il peso di un artigiano che manca. E capisce che una strada non è mai solo asfalto: è lo spazio in cui ci misuriamo a vicenda, nel rispetto dei margini e degli imprevisti. In questi margini si gioca la vita di tutti.
Raccontare significa restare accanto agli accertamenti senza pretendere scorciatoie. Significa ricordare un nome, Silvio, e pretendere risposte precise sulla dinamica, sugli angoli ciechi, sui protocolli di fermata. Significa anche dire che non basta contare le vittime: bisogna imparare, correggere, prevenire. È l’impegno che sentiamo mentre scriviamo, con la schiena dritta davanti a un foglio e alla città che chiede, semplicemente, verità e cura.
