Le parole sono arrivate chiare, senza giri: serve più consapevolezza, più partecipazione, più cura reciproca. Partendo da un gesto semplice, la donazione di plasma, e da una responsabilità comune: garantire continuità di terapie salvavita a chi ne ha bisogno, oggi e domani.
Una sfida che riguarda tutti
Nel digital talk promosso da Adnkronos, la voce di Tonino Aceti, presidente di Salutequità, ha puntato dritta al cuore del problema: la prima mossa è costruire una vera cultura della donazione. Non basta confidare nella sola generosità individuale; servono iniziative istituzionali capaci di spiegare, con rigore e vicinanza, quanto la donazione sia preziosa per il Servizio sanitario nazionale e per i pazienti. Dal plasma donato su base volontaria nascono farmaci indispensabili, come le immunoglobuline, che per molte patologie rappresentano l’unica strada possibile. Questo passaggio, raccontato nel confronto dedicato alla disponibilità di plasma in Italia, fissa l’orizzonte e chiama alle responsabilità chiunque abbia il potere di informare, formare, organizzare.
C’è poi un punto che tocca la macchina della sanità: la misurazione. Aceti ha messo a fuoco un vuoto negli indicatori dei Lea, dove oggi non trova spazio una verifica strutturata su quanto le Regioni facciano per promuovere la cultura della donazione, in particolare tra i giovani. Inserire parametri chiari, trasparenti e comparabili significa trasformare l’impegno in responsabilità verificabile, aprendo la strada a una valutazione reale delle performance regionali. È un cambio di passo che aiuta a distinguere gli annunci dai risultati, e che può diventare un volano per politiche più coraggiose e continuative.
Perché la donazione di plasma è un patrimonio pubblico e come trasformarlo in cultura condivisa
I numeri raccontano una spinta importante: nel 2024 il Centro Nazionale Sangue ha registrato 906.938 chili di plasma destinati al frazionamento, un aumento del 3% rispetto al 2023, pari a 15,4 chili ogni mille abitanti, con l’obiettivo da centrare di 18 chili per mille. Ogni sacca raccolta può tradursi in terapie che non ammettono sostituti sintetici, dalle immunoglobuline all’albumina, utilizzate in percorsi clinici complessi e in situazioni critiche. A dare concretezza a questi traguardi servono campagne capillari, percorsi educativi e messaggi costruiti con linguaggi diversi per pubblici diversi: scuole, università, luoghi di lavoro, comunità locali. Perché la donazione, quando diventa abitudine sociale, smette di essere eccezione e diventa infrastruttura di salute.
Resta, tuttavia, un margine da colmare. Nel talk è stato ricordato che l’Italia copre direttamente circa il 70% del fabbisogno, ricorrendo per il resto al mercato internazionale; lo scenario europeo, inoltre, continua a fare i conti con difficoltà di approvvigionamento. L’EMA ha segnalato carenze per le immunoglobuline umane normali con prospettiva di criticità fino a giugno 2026, a fronte di una domanda in crescita, mentre dati di settore ricordano come l’Europa dipenda ancora in misura significativa da plasma proveniente dagli Stati Uniti. È un contesto che impone programmazione attenta e continuità di azioni, senza pause.
Numeri e divari
La fotografia nazionale nasconde disomogeneità nette: l’80% del plasma inviato all’industria proviene da metà delle Regioni, soprattutto del Centro-Nord. L’indice di conferimento oscilla da 6-10 chili per mille abitanti in diversi territori del Sud fino a 24-25 chili in quelli del Nord, mentre il target minimo fissato dai programmi nazionali è 18 chili per mille. Queste differenze non sono un destino, ma il risultato di organizzazione, informazione, fidelizzazione dei donatori e capacità di pianificare. Portare in alto chi è indietro significa rafforzare l’intero sistema, riducendo la dipendenza dall’estero.
Accanto ai divari, ci sono segnali che parlano di futuro. Nel 2024, oltre alla conferma dell’autosufficienza per le trasfusioni di globuli rossi, il coinvolgimento dei giovani è cresciuto: più di 75 mila nuovi donatori tra i 18 e i 25 anni, e 127 mila nuove donatrici. In totale, 2,3 milioni di trasfusioni di globuli rossi hanno garantito cure a circa 640 mila pazienti. Il traino del plasma, con un nuovo record di raccolta, si aggiunge a questa spinta generazionale, indicando che la continuità dei risultati è possibile quando messaggi e servizi incontrano esigenze e sensibilità delle persone.
Dal record di raccolta agli obiettivi: cosa dicono i dati ufficiali e dove intervenire
Il monitoraggio mensile del Centro Nazionale Sangue aiuta a leggere la rotta, mese dopo mese, e i primi riscontri del 2025 hanno confermato il trend positivo della raccolta di plasma. Ma un risultato consolidato non vive di inerzia: chiede organizzazione, personale adeguato, nuove sedi e orari flessibili per conciliare tempi di vita e disponibilità alla donazione. Ogni cittadino deve trovare un sistema pronto ad accoglierlo, con semplicità e rispetto dei suoi tempi. È così che una scelta individuale diventa bene collettivo e investimento sulla resilienza sanitaria del Paese.
La programmazione istituzionale è il binario su cui far correre i numeri. Il Programma di autosufficienza nazionale del sangue e dei suoi prodotti per il 2025 è approdato in Conferenza Stato-Regioni il 2 ottobre, ma l’esame è stato rinviato, mentre alcune amministrazioni locali hanno approvato i propri piani pluriennali. In Sardegna, ad esempio, il piano regionale sangue, emocomponenti e plasmaderivati 2025-2028 punta a qualità, sicurezza e omogeneità del servizio, con standardizzazione dei processi e adeguamento dei sistemi informatici: scelte concrete che rendono la rete trasfusionale più robusta e prevedibile.
Regole, programmazione, risorse
Tra le priorità indicate da Aceti c’è l’esigenza di accelerare l’approvazione del piano nazionale per l’autosufficienza, rafforzare i controlli regionali e, soprattutto, misurare ciò che conta: informazione, formazione, coinvolgimento continuativo, in particolare dei più giovani. Tradurre questi passaggi in atti e budget significa offrire ai professionisti una traiettoria chiara e ai donatori un sistema vicino, affidabile e capace di ringraziare con i fatti. È un’agenda operativa che anticipa i problemi e non li rincorre.
Capitolo payback. Il meccanismo di ripiano applicato ai farmaci esiste ed è regolato dall’Agenzia Italiana del Farmaco; su questo terreno, voci dell’industria dei plasmaderivati chiedono una riflessione specifica per non indebolire approvvigionamenti che già risentono delle oscillazioni internazionali. Lo hanno ribadito, tra gli altri, esponenti di aziende del settore e rappresentanti del gruppo emoderivati di Farmindustria, indicando l’opportunità di rivedere il perimetro del payback rispetto a questi medicinali. Valutare con dati alla mano l’impatto economico e la tenuta della catena di fornitura è il modo più serio per prevenire vuoti difficili da colmare.
Tra payback e autosufficienza: il banco di prova della prossima manovra
Nell’incontro, l’idea di un’alleanza tra tutti gli attori – istituzioni, clinici, associazioni, industria – è emersa come strada concreta per dare certezze ai pazienti e continuità al sistema. La legge di Bilancio può diventare il primo banco di prova per scelte coerenti con il quadro europeo, dove la proposta di Critical Medicines Act punta a rafforzare disponibilità e produzione di medicinali critici, con leve su procurement e capacità industriale. È un orizzonte che chiede pragmatismo: investimenti mirati, regole chiare, tempi certi, obiettivi misurabili.
Nel dibattito comunitario rientrano a pieno titolo i farmaci strategici per cui non esistono alternative adeguate; la lista europea delle medicine critiche e gli indirizzi sul tema guardano proprio a filiere da rendere più resilienti, mentre la discussione pubblica non smette di sottolineare l’urgenza di passare dalle analisi alle soluzioni operative. In questo contesto, l’Italia ha una carta importante: mettere a sistema i risultati della raccolta e trasformarli in autosufficienza stabile, riducendo la dipendenza dall’estero e alleggerendo la pressione sulle importazioni quando il mercato globale si fa incerto.
Domande lampo
Perché servono più donazioni di plasma? Perché dal plasma nascono farmaci come le immunoglobuline, essenziali per malattie rare e condizioni complesse; non esistono equivalenti sintetici, e una parte del fabbisogno nazionale dipende ancora dall’estero. Aumentare la raccolta significa proteggere la continuità delle cure e avvicinare l’autosufficienza, riducendo la vulnerabilità alle turbolenze internazionali.
Qual è oggi la copertura del fabbisogno? Secondo i dati richiamati nel talk e le analisi tecniche, l’Italia copre direttamente tra il 60% e il 70% del fabbisogno, con differenze territoriali marcate nel conferimento di plasma. Il resto viene reperito sul mercato internazionale, in un contesto europeo che lavora per rafforzare le proprie catene di fornitura.
Quali sono i progressi più concreti degli ultimi mesi? La raccolta 2024 ha superato le 900 tonnellate, +3% sull’anno precedente, con 15,4 chili per mille abitanti; l’obiettivo da raggiungere resta 18 chili. È un traguardo vicino, ma serve continuità: più informazione, più fidelizzazione, più organizzazione per chi dona e per chi accoglie.
Come si interviene sulle differenze tra territori? Con piani regionali chiari, standard condivisi, formazione e campagne mirate là dove i numeri sono più bassi. Alcune Regioni hanno già approvato programmi pluriennali su sangue e plasmaderivati, mentre il Programma nazionale 2025 attende il via definitivo in Conferenza Stato-Regioni.
Il payback può incidere sulla disponibilità? È un tema delicato. Esiste un meccanismo di ripiano per i farmaci, e più voci del comparto dei plasmaderivati chiedono una valutazione specifica per evitare effetti disincentivanti su forniture già esposte a variabili esterne. La chiave è una verifica puntuale dei dati e dell’impatto reale sulla catena di approvvigionamento.
Una promessa da mantenere, ogni giorno
Dietro ogni fiala di plasmaderivati c’è una storia di responsabilità condivisa. C’è chi tende il braccio e chi, in reparto, attende una terapia che regala respiro alle giornate. Non è retorica: è la trama concreta di una comunità che si riconosce fragile e per questo più forte. La nostra voce, da cronisti, vuole restare accanto a questa trama: raccontare i passi avanti, pretendere programmazione, dare spazio alle persone che rendono possibile ciò che spesso diamo per scontato.
Il racconto di oggi non finisce qui. Ogni scelta pubblica, ogni campagna, ogni seduta istituzionale può spostare l’ago della bilancia verso l’autosufficienza e la continuità delle cure. Sta a noi, come comunità, tenere vivo questo patto: informarsi, donare, chiedere qualità e trasparenza a chi governa la salute. È così che un gesto diventa sistema, e un sistema diventa futuro.
