La Terza Corte d’Assise di Roma ha inflitto l’ergastolo a Jorge Néstor Troccoli per gli omicidi di Raffaella Giuliana Filippazzi, Augustin Potenza ed Elena Quinteros, sequestrati e uccisi tra il 1976 e il 1977 nell’ambito del Piano Condor. Il verdetto accoglie la richiesta della procura; l’ex ufficiale, 78 anni, era già detenuto per una precedente condanna definitiva.
Un verdetto che riafferma responsabilità storiche
Il dispositivo emesso oggi dalla sezione presieduta dalla III Corte d’Assise riconosce la colpevolezza di Troccoli per tre omicidi legati alla rete repressiva sudamericana. In aula, i giudici hanno disposto anche l’isolamento diurno per un anno, misura che sottolinea la gravità dei fatti. A riportarlo, tra gli altri, le cronache di Sky TG24, che hanno ricostruito passaggi chiave del processo e gli effetti immediati della decisione. La sentenza dà corpo alla richiesta formulata dalla procura nella capitale, confermando l’impianto accusatorio presentato nei mesi scorsi.
Al centro del procedimento i nomi di Filippazzi, Potenza e Quinteros, tre vite spezzate nel biennio 1976-1977. L’ex comandante uruguaiano, all’epoca in servizio nei reparti della Marina, è stato giudicato responsabile per il sequestro, la detenzione clandestina e l’eliminazione delle vittime. La decisione arriva mentre Troccoli si trova già in carcere, dopo la definizione in Cassazione del maxi processo sul Plan Condor che, nel 2021, ha reso definitive varie condanne all’ergastolo a carico di esponenti delle dittature sudamericane, fra cui lo stesso imputato residente in Italia.
Tre nomi, tre destini interrotti
Secondo le ricostruzioni emerse in dibattimento e riportate dalla stampa, Raffaella Giuliana Filippazzi e Augustin (noto anche come José Agustín) Potenza vennero prelevati a Montevideo nel maggio 1977, mentre alloggiavano all’Hotel Hermitage. La coppia fu poi trasferita in Paraguay, dove fu eliminata: i resti affiorarono molti anni dopo, nel 2013, ad Asunción. Lo ha documentato la cronaca di la Repubblica e approfondito L’Espresso, delineando itinerari, responsabilità e la catena di consegne tra apparati repressivi. In dibattimento è stato ricordato come la rete logistica del Piano Condor consentisse passaggi di frontiera in totale clandestinità.
La storia di Elena Quinteros, maestra e militante del Partido por la Victoria del Pueblo, resta un simbolo di resistenza e di verità negate. Venne sequestrata nel 1976 e, nel tentativo di cercare protezione internazionale nei pressi dell’ambasciata del Venezuela a Montevideo, fu nuovamente catturata e fatta sparire; il suo corpo non è mai stato ritrovato. L’Espresso ha ricostruito quei giorni, collegando gli archivi del FUSNA al suo passaggio in centri di detenzione clandestini. Il processo romano ha rimesso in fila tasselli dispersi da decenni, portando in aula testimonianze e atti raccolti in più Paesi.
Dal maxi-processo alle nuove imputazioni
Questa condanna si innesta su un percorso giudiziario lungo e complesso. Nel luglio 2021, la Corte di Cassazione ha confermato un nucleo di ergastoli nel maxi-processo italiano sul Piano Condor, riconoscendo la responsabilità di ex militari e funzionari sudamericani per il sequestro e l’omicidio di cittadini di origine italiana; tra questi, anche Troccoli, unico imputato stabilmente residente in Italia, poi arrestato e tradotto in carcere. Quel passaggio ha reso stabile l’esecuzione pena e ha aperto la strada a ulteriori filoni istruttori.
Nel procedimento che si è concluso oggi, presieduto dalla giudice Antonella Capri alla guida della III sezione, si sono succedute udienze con escussioni e acquisizioni documentali, come registrato da Radio Radicale. Il 27 maggio 2025, nell’aula bunker di Rebibbia, il pm Erminio Amelio ha chiesto l’ergastolo per Troccoli, sottolineando la distanza morale e giuridica fra l’imputato e le famiglie che da allora attendono giustizia; quella richiesta è stata poi accolta dalla Corte. Lo hanno raccontato la Repubblica e Adnkronos nelle rispettive cronache.
Il contesto del Piano Condor, oltre le aule
Per comprendere il senso di questo verdetto bisogna tornare al 1975, quando i vertici militari del Cono Sud diedero forma a un coordinamento segreto che avrebbe agito per anni contro oppositori veri o presunti. Secondo le ricostruzioni dell’ANSA in lingua inglese, l’Operazione Condor fu operativa fino ai primi anni Ottanta, intrecciando intelligence, arresti illegali, torture e omicidi mirati su scala transnazionale. In Uruguay, gli apparati della Marina e le unità del FUSNA ebbero un ruolo nevralgico, come ricorda l’inchiesta d’archivio pubblicata da L’Espresso.
Quelle catene operative spiegano perché i tre casi affrontati a Roma abbiano coinvolto più giurisdizioni e più archivi, dal Paraguay all’Uruguay, fino all’Italia, che ha potuto processare i crimini per la presenza di vittime di origine italiana e imputati presenti sul territorio nazionale. Le motivazioni dei precedenti verdetti italiani, rese note nel 2021, hanno delineato con nettezza la consapevolezza dei quadri intermedi del disegno di eliminazione degli oppositori.
Le difese e il confine tra memoria e responsabilità
Nel corso di udienze precedenti, Troccoli ha negato ogni responsabilità, rivendicando un ruolo esclusivamente analitico-amministrativo e dichiarando di non aver mai ucciso nessuno; sono posizioni riportate dalla stampa uruguaiana e dalle cronache di aprile 2025 dall’aula di Roma. Al momento della decisione odierna, secondo le testate di Montevideo, l’imputato non era in aula. Le sentenze parlano però il linguaggio degli atti: incastri documentali, testimonianze, riscontri d’archivio hanno guidato i giudici, mentre la difesa potrà esercitare i rimedi previsti dall’ordinamento.
Questo percorso giudiziario non riscrive la storia, ma ricuce – per quanto possibile – uno strappo nella vita delle famiglie. L’aula bunker, i faldoni e le voci dei testimoni hanno restituito al presente episodi che per decenni sono stati sussurrati soltanto nelle stanze della memoria domestica. L’effetto, oggi, è quello di una giustizia che interpella ognuno di noi: cosa significa ricordare quando chi ha subito non può più raccontare? La risposta è nel rigore delle prove e nell’equilibrio del giudizio.
Risposte rapide per orientarsi
Cosa ha deciso la Corte oggi? La III sezione della Corte d’Assise di Roma ha condannato Jorge Néstor Troccoli all’ergastolo per gli omicidi di Raffaella Giuliana Filippazzi, Augustin/José Agustín Potenza ed Elena Quinteros, maturati nel contesto del Piano Condor. È stato disposto anche un anno di isolamento diurno. Il verdetto recepisce la richiesta della procura formulata a maggio. Diverse testate, da Sky TG24 a La Stampa, hanno dettagliato tempi e contenuti della decisione.
Perché l’Italia giudica crimini commessi in Sudamerica? Perché tra le vittime figurano cittadini di origine italiana e perché l’imputato risiede sul territorio nazionale, elementi che hanno aperto la strada alle indagini romane e al maxi-processo sul Condor. Nel 2021 la Cassazione ha reso definitive numerose condanne, chiarendo il ruolo consapevole di esecutori e quadri intermedi: un precedente che ha rafforzato i filoni successivi e la legittimazione della giurisdizione italiana.
Chi erano le tre vittime al centro del processo? Filippazzi e Potenza furono catturati a Montevideo nel 1977 e trasferiti in Paraguay, dove persero la vita; i loro resti furono ritrovati ad Asunción molti anni dopo. Quinteros, maestra e attivista, venne sequestrata nel 1976 e scomparve dopo un drammatico tentativo di cercare protezione internazionale presso l’ambasciata del Venezuela. Questi passaggi sono stati ricostruiti da la Repubblica e L’Espresso attraverso atti e archivi.
Cosa accade ora sul piano legale? La condanna di oggi è una decisione di primo grado. La difesa può proporre appello davanti alla Corte d’Assise d’Appello e, in seguito, ricorrere in Cassazione sui profili di legittimità. Nel frattempo resta l’esecuzione della pena già in atto per la precedente condanna definitiva a carico dell’imputato, che continua a scontare la reclusione in Italia.
La misura del tempo, la misura della giustizia
Ci sono verdetti che non cancellano il dolore, ma gli danno un nome e un luogo. Nelle aule della giustizia italiana, la trama dei desaparecidos sudamericani incontra la tenacia di chi ha scelto di non dimenticare: figli ormai adulti, fratelli, compagni che hanno trasformato l’attesa in una ricerca ostinata. Raccontare significa restituire dignità a quelle storie e pretendere che la memoria non resti confinata in un archivio, ma continui a contare nelle scelte collettive.
Questa giornata a Roma dice che la verità, quando arriva, chiede ascolto e responsabilità. Non lo fa con clamore, ma attraverso atti, riscontri, testimonianze che diventano sentenza. E in quella sentenza c’è il peso di tre nomi, tre biografie interrotte, tre famiglie che oggi trovano una risposta. Non è un punto finale: è il passo necessario perché la storia non scivoli nell’oblio e perché il presente sappia riconoscere, senza esitazioni, la differenza tra vittime e carnefici.
