Dal 2026 la tassazione degli affitti brevi potrebbe cambiare volto: la cedolare secca salirebbe al 26% per tutti, con stop al 21% sull’unico immobile e un ritocco delle ritenute applicate dalle piattaforme. È quanto emerge dalla prima bozza della Legge di Bilancio 2026, ora attesa al vaglio del Parlamento.
Il cuore della novità nella bozza 2026
La proposta inserita nella bozza della manovra punta a un’aliquota unica del 26% per i redditi da locazioni brevi, cancellando l’attuale possibilità di applicare il 21% su un solo appartamento per periodo d’imposta. Il testo, approvato dal Consiglio dei Ministri il 17 ottobre 2025, avvia il consueto percorso parlamentare e potrebbe subire modifiche in Aula. La misura è stata confermata da ricostruzioni convergenti di testate nazionali e internazionali, che sottolineano come la “corsia unica” al 26% sia stata inserita tra gli articoli più discussi della bozza.
Il provvedimento compare in un documento ampio, 137 articoli per circa 18 miliardi di interventi, in cui figurano anche ritocchi all’IRPEF e misure per famiglie e lavoro. Proprio sul fisco, l’esecutivo ha annunciato per il 2026 la riduzione di due punti della seconda aliquota IRPEF (dal 35% al 33%) nella fascia tra 28.000 e 50.000 euro, con sterilizzazione sopra i 200.000 euro: un fattore che peserà nelle valutazioni di convenienza rispetto alla cedolare.
Com’è oggi e cosa cambierebbe: regole, definizioni, scelte
Oggi la disciplina distingue tra il 21% (cedolare su un solo immobile “breve” per periodo d’imposta) e il 26% sugli altri, con definizione di locazione breve come contratto non oltre 30 giorni, stipulato da persone fisiche fuori dall’impresa, anche tramite intermediari. Da maggio 2024 la ritenuta operata dai portali resta al 21% ed è sempre a titolo di acconto, indipendentemente dal regime scelto dal locatore. Resta inoltre il riferimento, per non sconfinare nell’attività d’impresa, al limite di quattro immobili.
La cedolare secca è e resta un’opzione: non si somma all’IRPEF, ma esclude oneri deducibili e detrazioni e, al tempo stesso, incide sui parametri ISEE perché il reddito assoggettato rileva ai fini di soglie e benefici collegati al reddito familiare. In parallelo, l’IRPEF per il 2025 è strutturata su tre aliquote (23%, 35%, 43%), con la prospettiva di un 33% dal 2026 sullo scaglione 28–50 mila euro: elementi che rendono la scelta tra IRPEF e cedolare un vero calcolo, non una formalità.
Ritenute e piattaforme: come si sposterebbe l’asticella
La bozza interviene anche sul prelievo operato da intermediari e portali: la ritenuta salirebbe dal 21% al 26% e tornerebbe a valere, in caso di opzione per la cedolare, a titolo d’imposta, diventando invece acconto se il contribuente sceglie l’IRPEF ordinaria. L’entrata in vigore operativa per gli intermediari è prevista dal 1° febbraio 2026, mentre l’aliquota unica del 26% si applicherebbe ai redditi dal periodo d’imposta 2026. È la riscrittura più tecnica, destinata a incidere sui flussi incassati tramite portali come Airbnb e Booking.
In concreto, per chi affitta tramite piattaforme questo significa vedersi trattenere il 26% già in fase di pagamento, con il successivo conguaglio in dichiarazione in base al regime prescelto. È un passaggio delicato sul piano della liquidità e della tracciabilità, perché centralizza il prelievo e riduce margini di incertezza lungo la filiera dell’intermediazione. Le analisi specialistiche convergono sul fatto che la modifica rafforzi i controlli e uniformi il sistema, ma gli effetti finali dipenderanno dall’iter parlamentare e dai decreti attuativi.
Cedolare o IRPEF? Il confronto numerico con le nuove aliquote
Laddove il prelievo fisso passasse al 26%, la scelta tra cedolare e IRPEF andrebbe soppesata con attenzione. Per chi dichiara entro 28.000 euro, l’aliquota IRPEF resta al 23% e, a differenza della cedolare, consente di utilizzare deduzioni e detrazioni: è qui che talvolta l’ordinario può risultare più leggero. Dal 2026, il taglio della seconda aliquota al 33% potrebbe poi attenuare il vantaggio della cedolare per redditi medio-bassi, pur lasciandola interessante per fasce superiori o in assenza di oneri detraibili.
Va ricordato che la cedolare incide sull’ISEE e non consente di far valere oneri deducibili o detrazioni; l’IRPEF, invece, conteggia il reddito da locazione nell’imponibile progressivo, ma apre alla leva delle agevolazioni personali. In un simile contesto, non esiste una risposta uguale per tutti: entrate, spese detraibili, carichi familiari e modalità di incasso (diretta o tramite portale) orientano la convenienza. Prima di scegliere, è prudente simulare entrambe le vie su numeri reali.
Politica divisa e voci dal mercato
La misura ha acceso subito il dibattito. Dalla maggioranza sono arrivati segnali di contrarietà, in particolare da Forza Italia, con Raffaele Nevi e Antonio Tajani che hanno chiesto correzioni, mentre Matteo Salvini ha definito necessario il confronto parlamentare. Sul fronte degli operatori, l’associazione AIGAB ha paventato effetti regressivi e possibili spinte all’irregolarità se l’aliquota al 26% fosse generalizzata. Le ricostruzioni giornalistiche concordano sul fatto che il tema sia tra i più sensibili del pacchetto fiscale.
Dal mondo dei proprietari, Confedilizia ha sollevato critiche, suggerendo che eventuali correttivi dovrebbero semmai favorire i contratti a canone concordato, dove l’aliquota della cedolare resta al 10%, piuttosto che penalizzare le locazioni turistiche. È il riflesso di una tensione nota fra esigenze del turismo, disponibilità di alloggi e tenuta dei canoni a lungo termine nelle città a forte domanda. La discussione, destinata a proseguire in Parlamento, ruota attorno all’equilibrio tra gettito, regole e mercato.
Tempistiche, margini di modifica e contesto
La manovra, trasmessa alle Camere dopo il via libera del 17 ottobre 2025, avvia la sessione di bilancio con approdo iniziale al Senato. Il calendario prevede l’esame e gli emendamenti nelle prossime settimane, con approvazione attesa entro dicembre, come di consueto. È in questo corridoio che la norma sugli affitti brevi potrà essere limata o confermata, anche alla luce del confronto politico e delle quantificazioni attese sui possibili effetti di gettito.
Nel frattempo, il 2026 si profilerebbe come l’anno di assestamento del nuovo impianto: aliquota unica al 26% per i redditi da locazioni brevi, ritenuta al 26% per gli intermediari dal 1° febbraio 2026, e taglio al 33% del secondo scaglione IRPEF. Un mosaico che si affianca ad altri interventi fiscali e, in ambito turistico, alla gestione delle imposte di soggiorno, prorogate in via rafforzata dai recenti provvedimenti. La prudenza, in ogni caso, resta d’obbligo finché il testo non sarà definitivo.
Domande rapide
Da quando scatterebbe la nuova aliquota al 26%? Dal periodo d’imposta 2026, con ritenuta al 26% per portali e intermediari dal 1° febbraio 2026, secondo la bozza.
Cos’è esattamente un “affitto breve”? È una locazione abitativa fino a 30 giorni, stipulata da persone fisiche al di fuori dell’impresa, anche tramite intermediari.
Se affitto un solo appartamento, potrò ancora usare il 21%? No: la proposta elimina la riduzione al 21% per l’unica unità, portando tutti al 26%.
La ritenuta delle piattaforme tornerà “a titolo d’imposta”? Sì, se si opta per la cedolare; resterà invece acconto per chi sceglie la tassazione ordinaria.
Esiste il rischio di più affitti in nero? Le associazioni del settore temono una spinta all’irregolarità; il punto sarà centrale nel confronto parlamentare.
Uno sguardo finale: case, viaggi, regole
Ci siamo abituati a pensare agli affitti brevi come a una parentesi comoda e rapida. Ma dietro ogni chiave consegnata c’è un equilibrio fragile tra redditi familiari, prezzi in città, turismo che cambia. La scelta del Governo di proporre un’aliquota unica al 26% vuole razionalizzare il quadro, mentre il Parlamento dovrà misurare la tenuta sociale ed economica di questa rotta. Per noi conta una cosa: raccontare, con precisione e responsabilità, ciò che tocca davvero la vita di chi affitta e di chi cerca casa.
