Le parole di Kevin Lima arrivano come un richiamo gentile e determinato: l’animazione 2D non è un cimelio, ma un linguaggio ancora vivo, capace di coinvolgere chi guarda. Nel suo sguardo c’è l’idea che l’imperfezione del segno a mano restituisca respiro, spazio, partecipazione. E che il pubblico meriti fiducia, non spiegazioni pronte.
Il respiro del disegno a mano
Nel dialogo intorno all’animazione, Lima insiste su un punto che conosce per esperienza: l’imperfezione non è un difetto, è un valore. Ogni linea, ogni vibrazione del tratto porta con sé l’intenzione di chi disegna, e quell’intenzione, agli occhi dello spettatore, diventa emozione. Lo ha detto con chiarezza parlando del 2D come di un “altro modo di fare cinema”, rammaricandosi che la sequenza di successi in CGI abbia spinto a mettere da parte la tradizione. L’osservazione non è una nostalgia cieca, ma l’invito a non confondere la novità tecnologica con l’obbligo di azzerare ciò che c’era prima, come ha raccontato in un colloquio ripreso da Movieplayer il 20 ottobre 2025.
La sua riflessione si appoggia a un fatto che da solo racconta un’epoca: l’ultimo lungometraggio Disney realizzato interamente con animazione tradizionale è Winnie the Pooh del 2011. Da allora, al cinema, quel tratto ha ceduto il passo al digitale pur restando, per molti artisti, uno strumento insostituibile per dare forma a storie intime e universali. Il punto, suggerisce Lima, non è opporre il passato al presente, ma smettere di leggere il progresso come una sinusoide che impone ogni volta di cancellare il capitolo precedente. È l’equilibrio tra strumenti diversi a restituire profondità all’immagine, non l’uniformità della resa. Lo ricorda la cronologia della stessa Disney, che individua nel titolo del 2011 l’ultima sortita teatrale in 2D.
Quando lo spettatore torna protagonista: dalla scoperta personale ai racconti che ti dicono tutto
Tra le righe più forti del pensiero di Lima c’è la difesa di chi guarda. Nei “vecchi film”, racconta, lo spettatore era chiamato a scoprire temi e significati, non a riceverli confezionati. Oggi, osserva con amarezza, “molti film vogliono solo dirmi cosa pensare”, togliendo al pubblico il piacere di entrare nel racconto e camminarci dentro. Sono parole che non accusano una tecnica in sé, ma mettono in discussione una tendenza: la tentazione di guidare la percezione con mano pesante, di ridurre l’ambiguità e l’interpretazione a favore di messaggi univoci. È un invito a rimettere al centro la curiosità, riportato nell’intervista rilanciata da Movieplayer.
Questa critica tocca un sentimento diffuso tra gli appassionati: i racconti che restano non sono quelli che spiegano tutto, ma quelli che lasciano margini di partecipazione attiva. Lo spazio tra un’inquadratura e l’altra, tra un disegno e il successivo, è il luogo in cui il pubblico riconosce la propria esperienza e la rielabora. Non si tratta di opporre “semplicità” e “complessità”, né di rimpiangere un’età dell’oro: è la difesa di una grammatica della narrazione che affida al lettore di immagini la responsabilità – e la gioia – di completare il senso. Anche quando la tecnologia offre risposte perfette, quella piccola, preziosa incertezza del segno apre mondi che nessun algoritmo può anticipare.
Il ritorno possibile, oltre i confini della tecnica
C’è un indizio concreto che il 2D, più che scomparso, si sia spostato altrove in attesa di nuove occasioni. Nel 2023 Once Upon a Studio, il corto celebrativo per i 100 anni degli Studios, ha rimesso al lavoro una squadra di veterani e giovani apprendisti: circa l’80% dei personaggi è stato animato a mano, con la supervisione di Eric Goldberg. Non è un lungometraggio, certo, ma è un segnale di vitalità: la bottega esiste, i gesti antichi sono in allenamento, la staffetta generazionale è iniziata. Lo ha raccontato la stessa Walt Disney Company presentando gli apprendisti entrati in studio.
Quella prova non nasce nel vuoto. Già nel 2022, Walt Disney Animation Studios aveva lanciato un programma di trainee dedicato al disegno a mano, con mentori come Goldberg e Mark Henn. È un investimento nella memoria del mestiere e, allo stesso tempo, un ponte verso ciò che potrà essere. Non è la promessa di un imminente film 2D in sala, ma la scelta di non disperdere competenze e saperi. È lì che l’argomento di Lima trova terreno: non contrapposizione di formati, bensì convivenza e dialogo tra scuole, perché la ricchezza del linguaggio non si esaurisce in una pipeline. Lo documentano gli annunci professionali raccolti da Animation World Network.
Pasadena come croce
Non è un caso che questa riflessione riaffiori mentre la comunità internazionale dell’arte visiva si ritrova a Pasadena per il LightBox Expo. Il programma ufficiale prevede, domenica 26 ottobre 2025, un panel speciale per i trent’anni di A Goofy Movie: Lima guiderà un viaggio dal copione agli storyboard insieme allo sceneggiatore Jymn Magon e ad alcuni degli artisti che hanno lavorato al film. È il tipo di incontro che riannoda fili, mostra materiali inediti e restituisce il sapore del lavoro collettivo dietro una pellicola. Lo segnala l’agenda dell’evento e le comunicazioni istituzionali della città.
Questo anniversario cade in un anno in cui la memoria del film è tornata a farsi presente anche sullo schermo domestico: il documentario Not Just a Goof è arrivato su Disney+ il 7 aprile 2025, esattamente trent’anni dopo l’uscita del lungometraggio, ripercorrendo la nascita di un’opera diventata cult nel tempo. Non è solo celebrazione: è la mappa di come un titolo nato in un’epoca analogica continui a dialogare con nuove generazioni di spettatori e professionisti, ricordando che dietro ogni immagine c’è una storia di scelte, tentativi, revisioni, discussioni. Una comunità viva, insomma, radunata attorno a un lessico condiviso.
Il peso dell’innovazione: dalla rivoluzione Spider-Verse allo stile “pittorico” di Puss in Boots
La stagione recente dell’animazione ha dimostrato che innovazione non vuol dire solo perfezione fotorealistica. Spider-Man: Into the Spider-Verse ha aperto una strada diversa, mescolando 3D, elementi grafici e scelte di ritmo che rimandano al segno disegnato; molte produzioni hanno seguito quell’impulso, cercando un’estetica capace di restituire la mano dell’artista anche nel digitale. È un movimento che ha avvicinato i film al concept art, riallineando l’immagine finale alle sue origini più istintive e “disegnate”, come raccontano analisi tecniche e ricostruzioni di produzione.
Allo stesso modo, Puss in Boots: The Last Wish ha scelto un look storybook, con fondali e personaggi trattati come pittura in movimento, riducendo la spinta al realismo e abbracciando una stilizzazione dichiarata. In questi percorsi si intravede ciò che Lima rivendica: la forza di una scelta stilistica che non cerca l’omologazione, ma la voce. L’animazione computerizzata, quando rinuncia alla levigatezza come unico orizzonte, può piegarsi a una grammatica più materica e vibrante, restituendo al pubblico l’emozione di un gesto. Lo confermano i dietro le quinte e le interviste tecniche sulla lavorazione del film.
Arte e mestiere nell’epoca dell’AI: tutele, responsabilità, futuro del lavoro creativo
Nel quadro disegnato da Lima, l’altro grande tema è il posto dell’intelligenza artificiale nei processi. Le organizzazioni del settore hanno acceso un confronto serrato sulla necessità di regole che proteggano la creatività e la dignità dei professionisti. Nel 2024, ad esempio, il sindacato degli attori ha aperto vertenze nel comparto videogiochi proprio sul perimetro d’uso dell’AI, segno che la partita non riguarda solo il cinema, ma l’intero ecosistema dell’intrattenimento. Le discussioni internazionali hanno ribadito il principio della consenso informato e di guardrail chiari: un dibattito che, piaccia o no, sta definendo il lavoro di domani.
Accanto al piano dei diritti, c’è quello dell’occupazione. Analisi economiche diffuse nel 2024 hanno raccolto il timore, tra animatori e artisti digitali, che strumenti generativi possano comprimere reparti, mansioni e tempi di lavorazione. Uno studio citato dalla stampa specializzata ha riportato dati su riduzioni o accorpamenti di ruoli dopo l’introduzione dell’AI in alcune realtà e ha stimato un impatto significativo entro il 2026. Non sono verdetti scolpiti nella pietra, ma scenari che l’industria non può ignorare: per salvaguardare il mestiere serve integrare innovazione e responsabilità, senza scorciatoie.
Domande in un minuto
Disney tornerà davvero al lungometraggio 2D? Oggi non c’è un annuncio ufficiale. I fatti, però, raccontano un interesse concreto a preservare il sapere: l’ultimo film tradizionale in sala resta Winnie the Pooh (2011), ma nel 2022 gli Studios hanno riattivato un programma di formazione sul disegno a mano e, nel 2023, Once Upon a Studio ha coinvolto decine di artisti 2D sotto la guida di Eric Goldberg. Sono semi, non promesse: indicano che la porta è socchiusa, non sprangata.
Cosa porterà Kevin Lima al LightBox Expo di Pasadena? Un incontro pensato come viaggio dietro le quinte. Il panel “A Goofy Movie: From Script to Storyreels”, fissato per domenica 26 ottobre 2025, lo vedrà dialogare con Jymn Magon e altri artisti, ripercorrendo il percorso dal copione ai storyreel. Sarà l’occasione per riascoltare voci, rivedere materiali e comprendere come un film prende forma tra intuizioni, prove e riscritture: la dimensione del laboratorio, dal vivo.
Perché tanti film oggi sembrano “dirci cosa pensare”? È il nodo su cui Lima insiste: una parte del cinema contemporaneo preferisce guidare l’interpretazione, limitando le zone d’ombra dove lo spettatore può cercare il proprio senso. Non è un atto d’accusa contro la CGI, ma contro il desiderio di controllo che appiattisce l’esperienza. Il suo invito è semplice e forte: restituire al pubblico la gioia della scoperta, che è il cuore stesso del racconto.
Quali titoli recenti mostrano strade nuove per l’animazione mainstream? Spider-Man: Into the Spider-Verse ha rimescolato le carte con un’estetica che porta il fumetto nel 3D, influenzando molte produzioni successive. Puss in Boots: The Last Wish ha scelto un registro “pittorico” e stilizzato, dimostrando che la ricerca formale può convivere con il grande pubblico. In entrambi i casi la tecnologia serve la scelta artistica, non il contrario, e il risultato parla a occhi e cuore.
Un tratto che ci riguarda: il coraggio di lasciare spazio allo sguardo
Riascoltando Lima, l’impressione è che l’animazione sia davanti a un bivio quotidiano, non a un referendum tra passato e futuro. I film che durano sono quelli che ci fanno entrare nella scena e ci chiedono di completarla con la nostra sensibilità. Il disegno a mano non è migliore “per definizione”, ma porta con sé una vulnerabilità che ci rassomiglia. Quando una storia rinuncia a dirci tutto, ci chiede di fare un passo: è lì che la relazione tra immagine e pubblico si fa davvero intensa.
Il nostro mestiere, ogni giorno, è provare a raccontare così: tenendo insieme memoria e invenzione, tecnica e ascolto. Non per nostalgia, ma per rispetto di chi guarda. Se il 2D tornerà in sala, o continuerà a vivere in forme diverse, lo diranno i film e la loro onestà. Intanto, la lezione è nitida: qualsiasi strumento scegliamo, non dimentichiamo di lasciare spazio allo sguardo. È lì che il cinema – disegnato o digitale – ritrova il suo passo più umano.
