Una sentenza attesa e dolorosa: due minorenni sono stati condannati a 24 anni per l’uccisione di Mattia Ahmet Minguzzi a Istanbul, mentre altri due giovani sono stati assolti. È l’esito del processo che ha segnato un passaggio cruciale in Turchia sul tema della violenza tra adolescenti.
Il verdetto e la sua portata
Nel pomeriggio del 21 ottobre 2025, la 2ª Alta Corte Penale Minorile di Anadolu ha riconosciuto colpevoli due imputati indicati come B.B. e U.B. del reato di “omicidio volontario di minore”, fissando 24 anni di reclusione ciascuno e confermando la prosecuzione della custodia cautelare. Altri due coimputati, identificati come M.A.D. e A.Ö., sono stati assolti e liberati. Secondo quanto reso noto dalla Procura e riportato dalle testate locali e internazionali, è la pena massima applicabile a chi non ha compiuto i 18 anni in base al codice penale turco. Una decisione che chiude il primo grado ma non spegne il bisogno di risposte.
Durante l’udienza, svoltasi nel distretto di Kartal, la presenza di cittadini e attivisti ha trasformato i corridoi del tribunale in un coro di “Giustizia per Mattia Ahmet”. I genitori, Andrea Minguzzi e Yasemin Akincilar, erano in aula; fuori, striscioni e cartelli hanno accompagnato l’attesa del dispositivo. Le misure di sicurezza sono state rafforzate dentro e fuori l’edificio, segno di una sensibilità civile che in questi mesi non si è mai attenuata. Il padre ha annunciato l’intenzione di impugnare le assoluzioni, mentre dalla Procura è arrivata la conferma di un ricorso sulle posizioni dei due giovani prosciolti.
Kadıköy, l’inizio di tutto
Il 24 gennaio 2025, Mattia Ahmet esce di casa a Beyoğlu con due amici e raggiunge il mercato di Kadıköy, sul lato asiatico della città, per cercare componenti da skateboard. Lì, secondo le ricostruzioni basate su testimonianze e immagini di videosorveglianza, nasce un alterco per futili motivi con due adolescenti. La lite degenera: uno dei ragazzi sferra più coltellate, un altro colpisce con un calcio quando Mattia cade a terra. Gli autori vengono individuati tramite le telecamere e fermati. In pochi minuti, la spensieratezza di un acquisto diventa una ferita collettiva.
Trasportato d’urgenza al Göztepe City Hospital, il quattordicenne resta in terapia intensiva per circa due settimane. Il 9 febbraio sopraggiunge la morte, dopo un annuncio di condizioni irreversibili diffuso il giorno precedente. L’intera vicenda, scandita da bollettini e veglie, ha attraversato i notiziari turchi e italiani, segnando profondamente il dibattito pubblico. La cronaca ospedaliera, fatta di silenzi e attese, diventa memoria di una città sospesa.
Una famiglia tra cucina e musica
Il padre, Andrea Minguzzi, è un cuoco italiano di lungo corso a Istanbul, a lungo legato alla ristorazione d’eccellenza della città e in servizio come executive chef in un importante spazio gastronomico; la madre, la violoncellista Yasemin Akincilar, ha studiato al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Una famiglia italo-turca radicata nel quartiere di Beyoğlu, che ha scelto di crescere il figlio tra due culture e due lingue, facendo del quotidiano un ponte tra mondi.
Nei mesi successivi all’aggressione, la vicinanza pubblica è stata intensa: dalle autorità alla comunità locale, fino a un incontro con il presidente Recep Tayyip Erdoğan, raccontato dalla stampa. Ma non sono mancati episodi ostili: la tomba del ragazzo, nel cimitero di Bahçelievler, è stata danneggiata e sono state segnalate minacce ricevute online, fatti sui quali sono scattate indagini. Accanto alla solidarietà, la famiglia ha dovuto fronteggiare anche ferite che non si vedono.
Le regole della giustizia minorile
Il dispositivo emesso a Istanbul si inserisce nel quadro normativo che, per i minori, prevede riduzioni obbligatorie di pena e non consente l’ergastolo. La condanna a 24 anni è stata definita la soglia più alta applicabile, in relazione all’imputazione di “omicidio volontario di minore” e ai richiami del codice penale turco, inclusi gli articoli citati pubblicamente nelle ore del verdetto. È l’incontro tra la gravità del fatto e i limiti imposti dall’età degli imputati.
Resta poi il tema dell’esecuzione della pena: come spiegato da esperti di diritto penale minorile interpellati dalla stampa turca, l’effettivo periodo in carcere può essere inferiore alla pena formale, tra meccanismi di calcolo, quote di espiazione e fasi in istituti a custodia attenuata. Una stima diffusa in Turchia indica un orizzonte attorno ai quindici-sedici anni complessivi, con una parte in struttura chiusa e una parte in regime più leggero. È un terreno tecnico, complesso, che pesa su ogni parola detta in aula.
Le parole in aula e i passi successivi
Nelle dichiarazioni finali prima della sentenza, i due condannati hanno espresso rammarico. Frasi scarne, pronunciate a distanza in collegamento video, che non cancellano quanto accaduto e che pure restano annotate a verbale. La scena processuale, filtrata dai resoconti giudiziari, racconta di un dispiacere dichiarato, di famiglie in ascolto e di una comunità che attendeva un segnale dalla giustizia. In quell’istante, ogni sillaba pesa come una pietra.
Il procedimento non finisce qui: mentre la difesa può impugnare la durata delle pene, la Procura ha annunciato un ricorso sulle assoluzioni e la famiglia ha comunicato l’intenzione di fare altrettanto. Il percorso d’appello sarà dunque la nuova scena in cui verranno valutate prove, perizie e responsabilità. Non è la chiusura di una storia, ma l’inizio di un altro capitolo giudiziario.
Domande chiare, risposte senza giri di parole
Perché la pena è di 24 anni e non più alta? Perché parliamo di imputati minorenni. La normativa turca prevede riduzioni obbligatorie per chi non ha ancora compiuto 18 anni e fissa, in casi come l’omicidio di un minore, una soglia massima di 24 anni. È quanto ribadito dalle cronache giudiziarie nel giorno del verdetto e confermato dalle letture del codice penale citate nelle ricostruzioni dei media internazionali.
Cosa accade ora per i due giovani assolti? La Procura ha reso noto di voler impugnare le assoluzioni, aprendo così al vaglio della Corte d’appello. Sullo stesso punto, la famiglia di Mattia ha annunciato che chiederà una revisione della decisione. In appello verranno riesaminati atti e valutazioni probatorie, con la possibilità di confermare o riformare l’esito del primo grado, secondo i binari previsti dall’ordinamento.
In quale tribunale si è tenuto il processo e come si è svolta l’udienza decisiva? Il caso è stato trattato dalla 2ª Alta Corte Penale Minorile di Anadolu, con i quattro imputati collegati in videoconferenza nell’ultima udienza e i genitori di Mattia presenti in aula. Le cronache parlano di misure di sicurezza rafforzate e di una partecipazione pubblica che ha accompagnato tutte le fasi del dibattimento.
Che cosa mostrano i filmati acquisiti dagli inquirenti? Secondo le ricostruzioni giornalistiche basate sui video del mercato di Kadıköy, si vedono le fasi dell’aggressione e l’impatto dei colpi sferrati contro il ragazzo. Le immagini hanno avuto un ruolo centrale nell’individuazione dei responsabili e nella sequenza dei fatti, come riportato dai media italiani e turchi nelle prime ore successive al ferimento.
Un pensiero che non si chiude mai
Non c’è giustizia che riporti indietro il tempo. Eppure, ogni passaggio processuale restituisce alla comunità un pezzo di verità condivisa. Mattia Ahmet resta il volto di una domanda che riguarda tutti: come proteggere i più giovani da una violenza che sembra sempre più impaziente, sempre più vicina. Raccontare questa storia significa stare accanto a una famiglia e a una città che hanno scelto di non arrendersi, cercando nella legge e nella memoria un argine possibile.
