Lo abbiamo visto nascere negli anni Novanta come caricatura feroce del capitalismo d’assalto, chiuso in un ufficio lucido e senza scrupoli. Oggi lo ritroviamo in giacca bianca, occhiali scuri e lessico da corsi motivazionali, tra reel, podcast e platee che ridono perché si riconoscono nel bersaglio. Il nostro percorso va dritto al cuore di questa staffetta comica: Paolo Hendel con Carcarlo Pravettoni e Edoardo Ferrario con Maicol Pirozzi. Due epoche, stesso obiettivo: smontare con la risata il mito del “vinci a ogni costo”.
Nelle ultime settimane il ritorno di GialappaShow ha rimesso al centro Pirozzi, figura-satellite perfetta del nostro tempo: promette scorciatoie verso il successo, lancia un “podcast dentro lo show” e parla agli “imprenditori di comprovato successo” con quel tono mezzo seduttivo e mezzo minaccioso che ci fa sghignazzare e rabbrividire insieme. La cornice televisiva è chiara: nuova stagione al lunedì in prima serata su TV8, e dentro la scaletta c’è lui, pronto a dispensare “strategie”.
La staffetta ideale: dall’ufficio blindato alle stories
Pravettoni nasce e prospera su Mai dire Gol (1996‑1999): burocrate della cattiveria, amministratore delegato di una Carter&Carter che nessuno capisce cosa produca, eppure “…e la lira s’impenna!”. È il ritratto del capo‑predatore: battute taglienti, potere verticalissimo, disprezzo programmatico per norme e persone. Una galleria di schegge satiriche che ancora oggi, rivedendole, ci racconta la stagione dell’“uomo solo al comando”.
Con Pirozzi cambia l’aria. Non è più il presidente con scrivania monumentale: è il coach dell’abbondanza, il “formatore” che promette di farvi diventare “biliardari”, l’ospite fisso che irrompe a GialappaShow con il suo format‑podcast. Stessa spinta comica — sgonfiare le pretese — ma con strumenti diversi: slogan, finti casi studio, l’ansia tutta contemporanea di essere “performanti”. E quella frase che ormai conoscete: “La vita è una call che non hai schedulato”.
Dal tycoon novantiano al fuffa‑guru
Il primo rappresenta l’élite d’azienda anni Novanta: industria, finanza, spregiudicatezza. L’ufficio è bunker, l’etica un optional. È la caricatura di un mondo dove contano gerarchia e rendita, e lo spettatore ride per non farsene travolgere. Quella sigla “Mixer‑style”, quei collegamenti finti dall’attico, quelle schede narrate con voce impostata: piccoli capolavori di messa in scena.
Il secondo è figlio della gig‑economy e dei social. Vive di “mindset”, storytelling e promesse di scalata. A GialappaShow ne vediamo ogni settimana la mutazione: una volta lancia un podcast, un’altra prova a convincere stagisti e micro‑clienti con tecniche da piazzista 4.0. Ci scappa da ridere quando usa parole grandi per cose minuscole, ma poi ci domandiamo: non è proprio questo il punto?
Lessico, ritmo, dispositivi comici
Pravettoni parlava per iperboli industriali: dal pandoro “irrobustito” alla lista civica surreale, ogni trovata era un colpo al mito dell’imprenditore infallibile. Il lessico era da consiglio d’amministrazione, l’obiettivo mirato: smascherare l’avidità con un sorriso feroce.
Pirozzi lavora su buzzword e micro‑vittorie. “Biliardario 100%”, “mentalità vincente”, “call non schedulata”: è un vocabolario che tutti abbiamo letto nei feed. A GialappaShow questo linguaggio diventa ritmo scenico: clip brevi, hook immediato, chiusura con massima motivazionale. In più, la nuova stagione incardina il personaggio in un filo narrativo ricorrente — il podcast — che gli dà continuità.
Dove colpisce la satira (e perché la risata scotta)
Ci riguarda da vicino perché Pirozzi e Pravettoni mettono a nudo meccanismi di potere in due ecosistemi diversi. Ieri il capo ti giudicava dal piano alto; oggi ti giudica dall’algoritmo e dalla call di gruppo. In entrambi i casi, la satira strappa consenso perché decifra dinamiche riconoscibili: il culto del risultato, l’auto‑mitologia, l’ansia da prestazione. Non serve esagerare: basta ripetere, con serietà ridicola, promesse che abbiamo sentito mille volte.
E noi spettatori? Ridiamo, sì. Ma intuiamo che dietro lo sketch c’è un antidoto morale: ricordarci che la scorciatoia è una trappola. Se Pravettoni svelava l’arroganza dell’industriale, Pirozzi mette a fuoco l’economia della promessa. Cambia la pelle, non la sostanza.
Televisione e social: un circuito che amplifica
La scelta di collocare Pirozzi nella prima serata del lunedì su TV8 lo porta fuori dalla nicchia digitale: clip e rubriche circolano poi su YouTube e social ufficiali, trasformando lo sketch in serialità breve facilmente condivisibile. È così che la battuta diventa tormentone.
Nell’avvicinamento alla nuova stagione, i canali ufficiali hanno scandito il rientro con anticipazioni puntuali: dai teaser “boss in incognito” alla Biliardario Spa agli annunci del ritorno in palinsesto. Una scaletta di contenuti che ha scaldato il pubblico e preparato il terreno al rientro in onda.
Il confronto diretto: cosa resta e cosa si ribalta
Resta la cattiveria bonaria della battuta ben piazzata. Resta la tradizione di una scuola comica che da Mai dire Gol a GialappaShow ha creato personaggi memorabili. Si ribaltano gli scenari: dal telefono grigio d’antan al telefono‑palco con cui Pirozzi “chiama” il pubblico; dall’ufficio‑prigione al set itinerante fatto di coworking e vetrine social.
Eredità e novità si incastrano: come Pravettoni, Pirozzi è maschera morale prima ancora che macchietta. Ma mentre il primo era l’immagine speculare del potere consolidato, il secondo fotografa l’epoca dei fuffa‑guru che vendono soluzioni veloci. È qui che la satira, ancora una volta, diventa servizio pubblico: ride di noi per salvarci da noi.
