Una prospettiva concreta si apre per chi affronta il carcinoma della vescica muscolo-invasivo e non può ricevere cisplatino: la combinazione di pembrolizumab ed enfortumab vedotin, somministrata prima e dopo l’intervento, mantiene liberi da malattia oltre due pazienti su tre a due anni, con un impatto netto sulla sopravvivenza.
Un cambio di passo annunciato a Berlino
Nel cuore di Berlino, durante il Congresso 2025 della European Society for Medical Oncology, è stato presentato lo studio di fase 3 KEYNOTE-905/EV-303, selezionato per la conferenza stampa ufficiale e discusso in Presidential Symposium. La terapia perioperatoria con pembrolizumab più enfortumab vedotin ha ridotto del 60% il rischio di recidiva, progressione o morte rispetto alla sola chirurgia, con un dimezzamento del rischio di decesso. A due anni, il 74,7% dei pazienti trattati è senza eventi, contro il 39,4% del braccio chirurgia, come reso noto dagli organizzatori e dalle aziende coinvolte durante il congresso di Messe Berlin e nei comunicati diffusi in concomitanza con le presentazioni.
Questi risultati non arrivano nel vuoto. La combinazione è già protagonista nelle forme avanzate e metastatiche, e il suo approdo in fase perioperatoria cambia il baricentro terapeutico per una popolazione tradizionalmente fragile. Per la prima volta, un regime sistemico pre e post-cistectomia supera nettamente la chirurgia da sola in pazienti non candidabili al cisplatino. Le società titolari hanno precisato che l’indicazione perioperatoria non è ancora autorizzata e che i dati saranno condivisi con le autorità regolatorie per gli iter di registrazione, come riportato dalle comunicazioni ufficiali e dalle cronache internazionali.
La combinazione per chi non può fare cisplatino: ciò che cambia
Lo studio ha arruolato pazienti con carcinoma della vescica muscolo-invasivo (MIBC) non idonei o non disposti a ricevere chemioterapia a base di cisplatino, condizione che riguarda una quota rilevante di malati, spesso per fragilità cliniche o insufficienza renale. In questo scenario, la pratica consolidata è la cistectomia radicale, ma il rischio di recidiva resta alto. Con la nuova strategia, l’indicatore primario—la sopravvivenza libera da eventi—mostra un hazard ratio di 0,40: mediana non raggiunta nel braccio combinazione, contro 15,7 mesi con la sola chirurgia, segno di un beneficio profondo e robusto.
La forza della “doppietta” sta anche nella complementarità dei meccanismi: pembrolizumab riattiva la risposta immunitaria contro le cellule tumorali, mentre enfortumab vedotin—un anticorpo farmaco-coniugato diretto contro Nectin‑4—porta la chemioterapia direttamente sulle cellule bersaglio. È una logica di precisione che aiuta a spiegare perché, a due anni, quasi tre pazienti su quattro siano ancora liberi da eventi dopo trattamento pre e post intervento, come sottolineato dai resoconti scientifici e giornalistici diffusi durante il congresso berlinese.
Voci dai reparti italiani: la svolta vista da vicino
Dagli specialisti italiani emerge un messaggio netto: per i malati non eleggibili al cisplatino le scelte sono state a lungo limitate e centrate sull’operazione. Oggi, una terapia sistemica perioperatoria che riduce le recidive e prolunga la sopravvivenza offre un tracciato diverso. Oncologi dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano hanno evidenziato come l’evidenza di KEYNOTE-905/EV-303 apra alla concreta possibilità di rivedere gli standard per questa platea, un passaggio che nei corridoi del congresso è stato raccontato con prudenza ma con un palpabile senso di avanzamento.
Nel racconto clinico, il dato che colpisce è la quota—oltre il 70%—di persone libere da malattia a due anni. Non è una formula magica, ma l’idea che una parte significativa dei pazienti possa intravedere un orizzonte di controllo duraturo sposta lo sguardo di famiglie e team curanti. Le considerazioni condivise da professionisti italiani intervenuti sui media specializzati consolidano la percezione di un risultato senza precedenti in una popolazione finora povera di opzioni efficaci.
Quanti pazienti in Italia: perché questi numeri contano
Nel 2024 in Italia sono state stimate 31.016 nuove diagnosi di tumore della vescica: una delle neoplasie più frequenti nel nostro Paese, secondo il rapporto annuale sulle neoplasie curato da AIOM, AIRTUM e altri enti nazionali. Sapere che il MIBC vale circa il 30% dei casi di vescica e che una quota consistente di pazienti non può accedere al cisplatino aiuta a comprendere la portata potenziale di un trattamento perioperatorio efficace su recidiva e sopravvivenza.
Dietro i numeri ci sono persone e decisioni difficili: quando la funzione renale non consente la chemioterapia standard, la chirurgia resta cardine ma non sempre basta a tenere la malattia lontana nel tempo. Qui la combinazione immunoterapia‑ADC somministrata prima e dopo l’intervento aggiunge quel pezzo mancante del percorso, con un follow-up mediano di 25,6 mesi e un beneficio consistente sugli esiti duri. La fotografia nazionale, incrociata con i dati europei e internazionali, suggerisce un impatto potenzialmente rilevante nella pratica quotidiana.
Dentro i risultati: ciò che emerge dal trial
Nel dettaglio, KEYNOTE-905/EV-303 ha randomizzato pazienti non eleggibili (o non disposti) al cisplatino a ricevere la combinazione enfortumab vedotin + pembrolizumab perioperatoria più chirurgia standard o la sola chirurgia. Oltre al guadagno in sopravvivenza libera da eventi, il trial ha mostrato un vantaggio in sopravvivenza globale con hazard ratio 0,50, e un incremento marcato del tasso di risposta patologica completa—57,1% contro 8,6%—indicatori che, insieme, raccontano un controllo più profondo della malattia.
Le curve a 24 mesi sono eloquenti: 74,7% liberi da eventi nel braccio combinazione contro 39,4% con la sola chirurgia. Interessante, nelle analisi presentate, la nota che solo una parte dei pazienti del braccio sperimentale ha poi iniziato l’adjuvante, senza che questo cancellasse il beneficio osservato: un elemento che solleva domande pratiche su aderenza e percorsi reali, ma conferma la solidità del segnale clinico.
Sicurezza, accesso, sostenibilità: le variabili da tenere insieme
Il profilo di sicurezza della combinazione è apparso in linea con quanto noto per i singoli farmaci, senza nuovi segnali inattesi nelle analisi rese pubbliche. Le tossicità riportate nelle cronache di settore hanno riguardato soprattutto eventi cutanei e sono risultate gestibili nella maggior parte dei casi, con la dovuta esperienza multidisciplinare. In oncologia, l’efficacia apre la porta, ma è la tollerabilità a permettere di varcarla davvero: qui entrambe sembrano muoversi nella direzione giusta, stando ai resoconti clinici diffusi durante l’evento.
Un tassello importante è lo status regolatorio: l’uso perioperatorio in MIBC non è ancora approvato; le aziende hanno annunciato interlocuzioni con le autorità per le sottomissioni. Intanto, nella malattia localmente avanzata o metastatica, la stessa coppia terapeutica ha già dimostrato un prolungamento sostanziale della sopravvivenza globale rispetto alla chemioterapia e ha ottenuto via libera in Europa per la prima linea, delineando una continuità di risultati lungo tutto lo spettro di malattia uroteliale.
Domande in un minuto
Chi può beneficiare di questa strategia? Pazienti con carcinoma vescicale muscolo-invasivo che non possono o non vogliono ricevere cisplatino, una condizione che tocca una quota significativa di malati per età, funzione renale o comorbidità. In questa popolazione, la combinazione pembrolizumab + enfortumab vedotin somministrata prima e dopo la chirurgia ha migliorato in modo netto recidive e sopravvivenza rispetto alla sola cistectomia, secondo quanto presentato all’ESMO 2025 e riportato da fonti cliniche indipendenti.
Come viene somministrata la terapia? Il regime è perioperatorio: una fase neoadiuvante prima dell’intervento e una adjuvante dopo la cistectomia radicale e la dissezione linfonodale pelvica, integrate alla gestione chirurgica standard. Lo schema preciso dipende dai protocolli e dalle condizioni del paziente, ma la logica è chiara: colpire il tumore quando è ancora confinato e consolidare poi il controllo sistemico, come indicato nei materiali presentati in Presidential Symposium.
È già disponibile per tutti? No: l’indicazione perioperatoria non è ancora autorizzata. Le aziende hanno annunciato che avvieranno i dialoghi con le autorità regolatorie sulla base dei risultati del trial. La combinazione è però già impiegata nelle forme avanzate, dove ha mostrato un vantaggio di sopravvivenza significativo rispetto alla chemioterapia, con decisioni regolatorie europee già assunte per quel setting.
Quanto sono solidi i numeri? I dati provengono da uno studio di fase 3 randomizzato, con riduzione del 60% del rischio di evento e del 50% del rischio di morte rispetto alla sola chirurgia. A 24 mesi, 74,7% dei pazienti trattati è senza eventi contro il 39,4% del controllo; la mediana di EFS nel braccio combinazione non è stata raggiunta. Sono risultati presentati ufficialmente e verificati in sedi scientifiche internazionali.
Quanti pazienti riguarda in Italia? Ogni anno si stimano poco più di 31 mila nuove diagnosi di tumore della vescica. Il MIBC rappresenta circa il 30% dei casi; fra questi, una quota importante non è idonea al cisplatino. Per questa platea, un’opzione perioperatoria attiva su recidive e sopravvivenza potrebbe incidere sulla storia clinica di migliaia di persone.
Uno sguardo che nasce dal letto del paziente
Immaginiamo una stanza d’ospedale, una luce tenue nel pomeriggio, la cartella clinica sul comodino. È lì che i numeri incontrano i volti. Sapere che, per chi non può ricevere il cisplatino, esiste un percorso capace di proteggere più a lungo, prima e dopo la sala operatoria, cambia il modo in cui si aspettano gli esiti e si costruiscono i giorni. È un avanzamento maturato tra studi, discussioni e cautele, raccontato a Berlino e riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale.
Lo raccontiamo con il nostro passo: vicino alle persone e fedele ai fatti. La scienza non è una promessa, è un cammino. In questo cammino, la combinazione di pembrolizumab ed enfortumab vedotin ha mostrato di saper spostare l’ago della bilancia per i pazienti con MIBC non eleggibili al cisplatino. Adesso la palla passa ai regolatori e alle reti cliniche: tradurre in pratica quotidiana un risultato così tangibile è la sfida che conta, giorno dopo giorno.
