Alla Blue Gallery di Venezia arriva “Venezia è una pausa tra un antro e l’altro”, personale di Paolo Liberati: un itinerario di acquerelli e disegni che intreccia pittura e teatro, memoria e luce. Un invito ad attraversare uno spazio sospeso, dal 18 ottobre al 18 novembre 2025.
Quando e dove
La Blue Gallery, galleria indipendente di Venezia, apre le porte a “Venezia è una pausa tra un antro e l’altro”, personale di Paolo Liberati, proposta come un itinerario in cui il pubblico è invitato a misurare il proprio sguardo. Le opere sono visitabili dal 18 ottobre al 18 novembre 2025, all’interno degli spazi della galleria. L’appuntamento, nel cuore della città lagunare, nasce con l’intento di condividere un lavoro maturato con costanza e attenzione, in cui la pittura dialoga costantemente con il teatro, offrendo un incontro ravvicinato con una ricerca che si misura con memoria, ritmo e intensità luminosa, dentro un tempo dilatato e consapevole.
In mostra una selezione di acquerelli e disegni, costruiti con una pazienza quasi rituale, restituisce la trama di gesti e di tempo in cui maturano le immagini. Le carte, attraversate da stratificazioni leggere e da segni controllati, mettono in relazione la materia minima del pigmento con una memoria scenica che torna sulla superficie come un’eco. Il percorso, volutamente intimo e visionario, invita a entrare in uno spazio interiore: lo studio dell’artista diventa una scena mentale, mentre Venezia si configura come luogo ideale per aprire una nuova relazione con lo sguardo del pubblico, generando prossimità e ascolto.
L’antro come laboratorio interiore e scena mentale
Per Paolo Liberati, l’“antro” coincide con la caverna dello studio: un laboratorio appartato, quasi la stanza di un alchimista, in cui ogni passaggio si compie lontano dal frastuono. È un teatro silenzioso, dove ciò che è materia viene condotto verso l’immagine. In quel riparo operativo, lo sguardo si affina e la visione prende corpo. Da quel centro operativo si avvia la sua pratica, che indaga ciò che resta nell’ombra e ciò che emerge alla luce, ridisegnando il confine tra interiorità e manifestazione, tra attesa e apparizione, tra gesto intenzionale e abbandono.
La personale “Venezia è una pausa tra un antro e l’altro” porta questa meditazione in laguna, trasformando l’“antro” in un passaggio verso l’altro: verso la città e verso chi osserva. Il progetto si concentra sul rapporto tra pittura e teatro, sulla risonanza tra luce e interiorità, sulla dialettica tra nascondimento e apparizione. Il risultato è un viaggio concentrato e profondo, che mette in ascolto lo spettatore di fronte a immagini capaci di costruire, nella loro apparente semplicità, un vero spazio di relazione, in cui la contemplazione diventa forma di presenza e di condivisione.
Acquerelli e disegni: un tempo lento
Gli acquerelli e i disegni in mostra nascono da una pratica misurata, quasi ascetica, che privilegia il tempo lento e la precisione del gesto. Queste opere diventano autentici palcoscenici interiori e, insieme, luoghi dello sguardo: spazi scenici mentali in cui la linea guida l’attenzione e la trasparenza del colore suggerisce una profondità non dichiarata. L’insieme convoca memoria e sensazione, unendo la delicatezza dell’acqua alla fermezza del segno, per dare forma a un’energia poetica che resta sospesa tra la visione e la realtà del foglio, in un equilibrio sempre in divenire.
Secondo Lorenzo Mango, quelle immagini delineano scenari di teatri impraticabili: frutto di una visione assoluta, nutrita di motivazioni sceniche, e tuttavia non traducibile in una scena concreta. Sono vere e proprie drammaturgie della pittura, dove la mano ragiona mentre traccia, e la visione si edifica con pazienza, scivolando dall’oscurità più densa fino alla pienezza del bianco, la porzione di carta che resta e che, infine, si accende come luce. Il foglio, così, non è più solo supporto: diventa presenza, una superficie che trattiene e rilascia respiro.
Una scrittura visiva che unisce pittura, teatro e video
Per l’artista, la pittura è elemento portante di una “scrittura d’arte” capace di tenere insieme più linguaggi. Teatro, pittura e video sono intesi come una sola scrittura visiva, e in questa pluralità la pittura resta il fondamento, come sottolinea Lorenzo Mango. La sua ricerca affonda nella lezione di Toti Scialoja e nella stagione del Nuovo Teatro Italiano, di cui Paolo Liberati fu protagonista con i Tradimenti Incidentali, un gruppo orientato a costruire una moderna scrittura teatrale d’arte, basata su un’intensa qualità dell’immagine e su una spiccata vocazione all’ibridazione.
In “Venezia è una pausa tra un antro e l’altro” questa impostazione trova nuova linfa. Il teatro continua a ispirare la pittura, ma ora è la pittura a restituire al teatro una dimensione mentale e poetica, come se il palcoscenico tornasse a essere un luogo dell’immaginazione condivisa. Liberati guarda al proprio passato e lascia che tragedia e commedia suggeriscano tempi, temi e condizioni di lavoro. Ne scaturiscono lavori che non si limitano a rappresentare: aprono varchi, generano luoghi interiori in cui lo spettatore è chiamato a un ascolto attivo, quasi a una partecipazione.
Manifesto per un’Arte Mutante e la città come ponte
In questa direzione si innesta il suo “Manifesto per un’Arte Mutante”, dove ogni elemento si trasforma: il punto è pensato come un poro, la linea come una fibra, la superficie come una gravità. La pittura è intesa come forma che forma, un’immagine che immagina e prende corpo. Per l’artista, l’arte deve conservare un’inutilità carica di mistero; è proprio in quell’inutile che si sfiora il tutto, che si tocca l’unità profonda tra pensiero e materia, tra gesto e visione, nella consapevolezza che l’opera vive mentre si compie.
Così, “Venezia è una pausa tra un antro e l’altro” si propone come un attraversamento. L’antro — lo spazio interiore e fertile dello studio — si apre all’alterità, alla luce e alla città, e Venezia si afferma come ponte: luogo d’incontro tra ciò che rimane nell’ombra e ciò che si offre alla visione. In questa sospensione, la pittura di Paolo Liberati diventa un teatro dell’anima, dove forma, materia e memoria coincidono, invitando chi guarda a ritrovare, nello spazio minimo del foglio, una possibilità di esperienza condivisa e intensa.
