La voce di Tiziano Treu riapre una discussione cruciale: la trasformazione del lavoro corre più veloce della nostra capacità di governarla. Il giurista mette a fuoco le opportunità dell’intelligenza artificiale e, insieme, le incertezze che essa trascina, durante un confronto pubblico a Treviso in occasione di StatisticAll 2025.
Un festival che mette al centro persone, numeri e competenze
Nel cuore di Treviso, l’undicesima edizione di StatisticAll ha scelto un tema eloquente: Il Fattore Umano. Lavoro, società, intelligenze artificiali: la rivoluzione dei dati. Non è un semplice titolo, ma una bussola: tra il 16 e il 19 ottobre 2025, il programma intreccia incontri divulgativi, laboratori e testimonianze che interrogano la qualità del lavoro nell’era delle macchine intelligenti. La rassegna, promossa da Istat, Sis e Società Statistica Corrado Gini, ribadisce una scelta editoriale: parlare di futuro con i piedi ben piantati nei dati ufficiali.
Il cartellone di quest’anno racconta una città che dialoga con la scienza e con l’impresa, spaziando dagli Speech agli Show fino ai format per le scuole. L’impianto culturale è chiaro: ridurre la distanza tra numeri e cittadini, mostrando come l’IA sia già dentro processi produttivi, filiere dei servizi, sanità, cultura. È il contesto perfetto per le riflessioni di Treu su diritti, welfare e nuove generazioni: una trama in cui la velocità del cambiamento diventa esperienza concreta, non più una formula astratta.
Il tempo lungo di Treu: dall’ottimismo lineare agli interrogativi di oggi
Lo sguardo di Tiziano Treu, professore emerito di diritto del lavoro ed ex ministro, attraversa sessant’anni di trasformazioni: dall’epoca del boom in cui il progresso sembrava una retta infinita all’odierna stagione, densa e sfuggente. La sua tesi è netta: il cambiamento non è una novità, ma la sua accelerazione sì; e a rendere la fase attuale diversa è la natura di questa tecnologia, capace di risultati vertiginosi e, a tratti, poco trasparenti. In questo scarto tra potenza ed esperienza si apre lo iato che preoccupa imprese, lavoratori, istituzioni.
Quando si parla di previsioni sull’occupazione, l’incertezza cresce: dieci o cinque anni erano orizzonti praticabili; oggi, definire con affidabilità quantità e composizione delle professioni è quasi impossibile. L’osservazione di Treu converge con il quadro internazionale: la letteratura dell’Ilo e dell’Ocse evidenzia effetti eterogenei dell’IA, più spesso di complemento alle capacità umane che di sostituzione massiva, ma con impatti marcati su specifiche mansioni e gruppi demografici. Gli esiti dipendono da come le tecnologie vengono integrate nell’organizzazione del lavoro.
Tra entusiasmi e timori: cosa dicono i dati più recenti
Nel dibattito pubblico si fronteggiano due visioni: chi teme un declino dell’occupazione e chi vede nuove nicchie professionali. I segnali misurati raccontano un quadro più sfumato. Nelle analisi della Federal Reserve di New York, l’adozione dell’IA è cresciuta, ma senza effetti occupazionali dirompenti nel breve: più riqualificazione che tagli, pur con attese di cambiamenti più profondi a medio termine. Al tempo stesso, osservatori finanziari internazionali avvertono del rischio di una crescita del Pil non accompagnata da pari dinamica dell’occupazione, soprattutto nei comparti più esposti all’automazione cognitiva.
L’Ocse documenta un impatto sull’organizzazione del lavoro: l’IA può alleggerire attività ripetitive e migliorare le decisioni, ma se utilizzata per la gestione algoritmica tende ad aumentare i ritmi e a incidere sul benessere, amplificando questioni di privacy e trasparenza. È un equilibrio delicato: la stessa tecnologia che rende più sicuri gli impianti può, se mal governata, ridurre l’autonomia dei lavoratori. Qui si concentra la richiesta di tutele e responsabilità, sempre più pressante nelle ricerche e nei rapporti di settore.
Non solo quantità: la qualità del lavoro come terreno decisivo
La discussione sul “quanto lavoro” rischia di oscurare il nodo centrale: come cambierà il lavoro. Treu invita a spostare lo sguardo: la qualità delle mansioni, le competenze richieste, il rapporto tra umani e sistemi intelligenti sono già in movimento. Sul campo, grandi aziende dichiarano di utilizzare strumenti digitali e soluzioni di IA da anni, senza intravedere un deserto occupazionale, ma segnalando metamorfosi profonde dei ruoli. Anche per l’Italia, i dossier più solidi sottolineano che gli effetti netti dipenderanno dalla capacità di formazione continua e dall’adozione responsabile nelle filiere.
Questo spostamento dall’ansia dei numeri alla qualità dell’esperienza lavorativa ha conseguenze politiche e industriali: acquisire competenze ibride, governare i processi, chiedere rendicontazione agli algoritmi. L’Ilo indica che l’IA tende a potenziare le abilità umane più che a rimpiazzarle in blocco; ma segnala disparità di impatto tra settori e categorie, con alcune occupazioni esposte a trasformazioni marcate. Il futuro non è scritto: lo orienteranno scelte d’investimento, standard tecnici e contrattazione.
Norme e sicurezza: l’Europa alza l’asticella del rischio
Su questo crinale si innesta il nuovo quadro regolatorio europeo. L’AI Act è entrato in vigore il 1° agosto 2024, con applicazione progressiva: i divieti per gli usi a rischio inaccettabile e i requisiti di alfabetizzazione operano dal 2 febbraio 2025; le regole per i modelli di IA di uso generale e la governance si applicano dal 2 agosto 2025; il resto dell’impianto diventerà operativo dal 2 agosto 2026, con ulteriori scadenze per sistemi ad alto rischio integrati in prodotti regolati. Una scansione che risponde proprio al bisogno di controllabilità emerso nel confronto di Treviso.
Il capitolo sicurezza non è un tecnicismo, ma una promessa concreta: l’IA può prevenire rischi industriali, scovare anomalie prima che diventino incidenti, offrire diagnostiche in profondità su impianti complessi. Studi recenti mostrano come soluzioni di condition monitoring e manutenzione predittiva, arricchite da modelli multimodali e capacità di spiegazione, riducano falsi allarmi e migliorino le decisioni operative. La traiettoria è chiara: innovare sì, ma con procedure, responsabilità e verifiche robuste.
Investimenti e ricerca: il tallone d’Achille italiano
La riflessione di Treu tocca un punto sensibile: senza ricerca e R&S non c’è guida possibile del cambiamento. I dati più recenti sull’Italia mostrano un quadro in chiaroscuro: nel 2023 la spesa intramurale in R&S ha raggiunto circa 29,4 miliardi, in aumento, ma l’intensità resta attorno all’1,37% del Pil, sostanzialmente stabile e inferiore ai Paesi europei più avanzati. La tendenza conferma la necessità di uno sforzo coerente e continuativo, pubblico e privato, per colmare il divario.
Nel frattempo, l’Unione europea ha incrementato le dotazioni di bilancio per la ricerca nel 2024, mentre scenari industriali stimano, per l’Italia, importanti benefici potenziali dalla diffusione dell’IA generativa, anche in termini di occupazione qualificata. Tradurre questi numeri in cantieri reali richiede politiche per la formazione, incentivi mirati e una rete di trasferimento tecnologico che coinvolga le pmi, oggi spesso più lente nell’adozione.
Dentro le imprese: decisioni, competenze, responsabilità
Dal lato delle aziende, l’Ocse osserva che l’IA aiuta a prendere decisioni migliori e più rapide, aumentando l’autonomia di molti lavoratori; al contempo, quando diventa gestione algoritmica, può intensificare i carichi e comprimere gli spazi di manovra. È qui che si misura la maturità organizzativa: distinguere tra strumenti che abilitano le persone e sistemi che le sorvegliano, fissando confini chiari su dati, spiegabilità e accountability. La linea sottile tra efficienza e eccesso passa dalla progettazione, non dall’entusiasmo.
Le competenze diventano il nuovo baricentro. Le analisi Ocse sui fabbisogni mostrano una domanda crescente di abilità ibride, dalla programmazione ai dati, fino al pensiero critico e al design dei processi. Non tutti i ruoli richiedono specialisti: esistono funzioni che forniscono input ai modelli o ne validano gli esiti, ponti indispensabili tra tecnica e contesto. È lo spazio in cui la formazione continua e i percorsi di riqualificazione possono trasformare l’ansia in opportunità professionale.
Domande chiare, risposte rapide
L’IA distruggerà più posti di quanti ne creerà?
Ad oggi, le evidenze indicano impatti differenziati: più trasformazioni di mansioni che crolli dell’occupazione. Gli effetti netti dipenderanno da come imprese e istituzioni guideranno adozione e competenze, con forti variazioni tra settori e territori.
È possibile fare previsioni affidabili a cinque-dieci anni?
No: la velocità dell’innovazione riduce l’affidabilità di orizzonti lunghi. Meglio scenari dinamici, aggiornati e legati a indicatori osservabili, per adattare rotta e politiche con cadenza ravvicinata.
Cosa cambia con l’AI Act per chi usa l’IA?
Entrano obblighi graduati per rischio, con scadenze già attive su divieti e alfabetizzazione, regole per i modelli generali e governance nel 2025, corpo principale nel 2026. Serve mappare i sistemi, valutare i rischi e documentare i processi.
L’IA può davvero migliorare la sicurezza in fabbrica?
Sì, se integrata con manutenzione predittiva e monitoraggio delle condizioni: riduce falsi allarmi, anticipa guasti e supporta decisioni operative, a patto di garantire spiegabilità e supervisione umana.
Raccogliere l’eredità di Tiziano Treu significa non cedere agli slogan. Il cambiamento non è un destino cieco: è una responsabilità condivisa. Le giornate di Treviso lo hanno reso palpabile: servono ricerca paziente, regole esigenti, formazione che non lasci indietro nessuno, sperimentazione con trasparenza. Solo così l’IA smette di essere promessa o minaccia e diventa lavoro di qualità, sicurezza, produttività, diritti. È la rotta che scegliamo di raccontare, con i dati in mano e lo sguardo sulle persone.
