Più di trenta coltellate. È l’esito che emerge dagli accertamenti medico-legali sul corpo di Pamela Genini, 29 anni, uccisa a Milano nell’appartamento di via Iglesias. La convalida del fermo per Gianluca Soncin, 52 anni, ha riconosciuto un quadro di aggravanti gravissimo, a partire dalla premeditazione fino alla crudeltà e ai futili motivi.
Una verità medico-legale che pesa come un macigno
Gli esiti dell’autopsia non lasciano spazi a sfumature: i colpi che hanno raggiunto Genini sono risultati essere più di trenta, ben oltre le prime stime – almeno ventiquattro – indicate nelle ore successive al delitto. In quelle fasi iniziali, si parlava di una lama di circa nove centimetri. Oggi, con l’autopsia, il quadro si fa più nitido e più feroce. La progressione dei colpi, la loro distribuzione, la loro continuità raccontano, purtroppo, una violenza che travolge ogni possibile difesa e che restituisce la misura di un’azione determinata a togliere la vita. A riferirlo, in sequenza, sono i lanci di agenzia ripresi da diverse testate e gli aggiornamenti di cronaca milanese.
L’elemento numerico, da solo, non spiega tutto, ma illumina la dinamica: la sproporzione tra vittima e aggressore, l’insistenza, l’assenza di una via d’uscita. È un dato che si salda con la ricostruzione giudiziaria, dove l’uso di un coltello a serramanico con lama di nove centimetri viene considerato centrale. Il primo conteggio – ventiquattro fendenti – ha lasciato presto spazio a un numero ancora più alto, che purtroppo conferma la brutalità. Nelle parole dei magistrati, e nelle carte viste dai cronisti, questo passaggio è dirimente per comprendere il profilo dell’azione e le aggravanti riconosciute.
Le carte del giudice e la spedizione pianificata
Nella convalida del fermo, il giudice fotografa una dinamica senza equivoci: non un litigio esploso all’improvviso, ma una spedizione decisa in anticipo. La ricostruzione indica che Soncin è entrato nell’abitazione con una copia delle chiavi ottenuta in precedenza, portando con sé un coltello a serramanico poi impiegato per colpire. Un secondo coltello era in auto e, nella casa di Cervia, ne sono stati sequestrati altri tredici. La sequenza, i preparativi, gli oggetti recuperati compongono il mosaico della premeditazione. Non c’è improvvisazione, ma una traiettoria precisa che precede l’azione di giorni, se non settimane.
Il quadro delle aggravanti è completo: premeditazione, crudeltà, futili motivi, oltre ai profili legati alla relazione affettiva. Il fermo è stato convalidato giovedì 16 ottobre 2025 e la custodia cautelare è stata disposta senza riserve, mentre l’indagato ha scelto il silenzio davanti al gip Tommaso Perna. Nelle ore che hanno preceduto il delitto, la giovane sarebbe stata al telefono; all’arrivo degli agenti, secondo le ricostruzioni, avrebbe provato a indicare il piano fingendo una consegna, prima che l’ennesima ondata di violenza la travolgesse. Una narrazione tragicamente coerente con ciò che, quel martedì notte, è accaduto in via Iglesias.
Il dolore di una madre che non si spegne
In una voce spezzata che è già memoria collettiva, la madre di Pamela ha affidato alla TgR Lombardia poche frasi, scelte come si sceglie il respiro quando manca l’aria. “Ha fatto soffrire tanto”, ha detto, invocando giustizia. Quelle parole, rilanciate dalle principali testate e dalle agenzie, fotografano l’abisso di chi perde una figlia in modo così feroce. Dietro ogni numero, ogni atto, ogni accertamento, c’è un dolore che non si lascia spiegare, e che tuttavia chiede di essere ascoltato senza retorica.
Nel racconto dei familiari riaffiora l’immagine di una giovane donna descritta come “luce”, capace di portare amore a chi la circondava. È un ritratto che contrasta con la cronaca cruda e la ridisegna in un profilo umano, pieno, irripetibile. È lì che la notizia smette di essere solo notizia: i giorni, i progetti, le abitudini, le amicizie, tutto ciò che compone una vita viene interrotto, e ciò che resta – nelle parole della madre – è una domanda di senso che si infrange contro l’evidenza di un’assenza definitiva.
Un contesto conosciuto, segnali ignorati, un epilogo annunciato
Le cronache dei giorni successivi hanno ricostruito anche i passaggi che hanno preceduto il delitto: l’irruzione in casa con una copia delle chiavi, la presenza di più coltelli, i mesi di tensioni e minacce riferiti da conoscenti e amici. Secondo quanto riportato dagli aggiornamenti televisivi e di cronaca nazionale, quella sera in via Iglesias la giovane avrebbe tentato di chiedere aiuto mentre al telefono con una persona di fiducia. Al citofono, avrebbe indicato il piano fingendo fosse un corriere. Poi, ancora grida. Quando la porta si è finalmente aperta, per lei non c’era più tempo. Dettagli che, messi accanto, disegnano una scia che porta dritto a ciò che è accaduto.
Il fermo con custodia cautelare è arrivato con tutte le aggravanti confermate. Le stesse ricostruzioni raccontano che l’indagato, originario del Biellese, avrebbe tentato di togliersi la vita subito dopo, venendo poi ricoverato. Nel frattempo gli inquirenti hanno tracciato, attraverso testimonianze e atti, un percorso di controllo e vessazioni protratto nel tempo. È la cornice di un caso che, nel suo dolore, ripropone temi noti: la necessità di riconoscere precocemente i segnali, di intervenire, di garantire protezione a chi denuncia di sentirsi in pericolo.
Numeri che chiamano responsabilità
L’onda lunga della violenza sulle donne in Italia non accenna a spegnersi. I dossier del Viminale e i rapporti periodici citati dall’agenzia Ansa hanno raccontato, nel 2024, un dato ancora drammatico: tra 1 gennaio e 20 ottobre 2024, sono stati registrati 89 femminicidi in calo rispetto all’anno precedente ma ancora insopportabili, con una quota rilevante maturata in ambito familiare o affettivo. È un tracciato che non consola, perché la curva non è mai solo statistica: ogni punto è una vita spezzata, ogni flessione un’illusione se non si trasforma in prevenzione concreta.
Nei mesi più recenti, la tradizionale fotografia di Ferragosto del Ministero dell’Interno ha registrato un aumento oltre il 15% dei casi in cui le donne vengono uccise da partner o ex partner nei primi sette mesi del 2025. Anche qui, i numeri sono un campanello che impone azione: formazione, ascolto, rete tra autorità, giustizia rapida e protezione effettiva per chi chiede aiuto. Non basta commuoversi; serve cambiare procedure, tempi, strumenti. Sono dati ufficiali richiamati dall’Ansa e che meritano riflessione, senza alibi.
Domande in primo piano
Quante coltellate ha rilevato l’autopsia?
Gli accertamenti medico-legali hanno confermato che i colpi sono stati più di trenta, superando le prime stime di almeno ventiquattro fendenti indicate nelle ore immediatamente successive al delitto.
Quali aggravanti sono state riconosciute al presunto autore?
La convalida del fermo ha confermato premeditazione, crudeltà, futili motivi e l’aggravante legata alla relazione affettiva, componendo un quadro accusatorio di eccezionale gravità.
Ci sono elementi che indicano una pianificazione preventiva?
Sì: la copia delle chiavi utilizzata per entrare in casa, il coltello a serramanico impiegato, un secondo coltello in auto e il rinvenimento di altri tredici coltelli nell’abitazione di Cervia sono stati valutati come indizi concreti di preparazione.
Che cosa dicono i dati più recenti sulla violenza contro le donne?
I dossier ufficiali raccontano un 2024 con decine di femminicidi e, nei primi sette mesi del 2025, un aumento oltre il 15% dei casi commessi da partner o ex, secondo i dati diffusi dal Ministero dell’Interno e riportati dall’Ansa.
Non basta registrare i fatti: bisogna abitarli, comprenderli, pretendere che la realtà cambi. Le parole della madre di Pamela, la precisione dell’autopsia, le decisioni del gip e la sequenza degli atti costruiscono una storia che non può scivolare via come una pagina qualunque. In redazione crediamo che raccontare significhi assumersi una responsabilità: usare le parole con misura, mettere in fila i dati con rigore, ascoltare chi resta e trasformare il dolore in un impegno quotidiano, vigile, concreto.
