Bobby Solo torna in tv con una confessione limpida, toccante, che profuma di verità e di palco. Oggi pomeriggio, a Ciao Maschio, l’artista ripercorre scelte, cadute e rinascite, raccontando come la musica resti il suo respiro quotidiano. Un autoritratto che mette a nudo la persona prima del personaggio, tra ricordi familiari, eccessi, lacrime trattenute e un talento più forte dei limiti.
Un ritratto senza difese
Nel salotto di Nunzia De Girolamo, Bobby Solo apre le porte della propria storia con una sincerità rara, componendo un mosaico di esperienze che spiegano la robustezza del suo presente. La puntata va in onda nel pomeriggio di Rai 1, fascia oraria in cui il talk ha trovato nuova linfa nelle ultime settimane. È in questo spazio, pensato per l’ascolto e per il ritmo della conversazione, che il cantante mette ordine nei capitoli più delicati della sua vita, parlando senza filtri e senza scorciatoie retoriche. La ricostruzione dei passaggi più intimi è stata anticipata dalla stampa italiana, che ha raccolto le sue parole e il contesto dell’appuntamento televisivo odierno.
Tra i momenti più intensi emerge il peso delle aspettative familiari: il padre che sognava per lui professioni solide e “perbene”, la madre che, per proteggerlo, lo avrebbe voluto al riparo dalle tempeste sentimentali. Un doppio sguardo sul destino, severo e affettuoso, che lui rilegge oggi con gratitudine ironica: per tutto ciò che ha combinato, ammette, il solo fatto di essere qui a raccontarlo sembra un piccolo prodigio. Una chiave di lettura che colloca la sua parabola personale dentro una resilienza quasi testarda, costruita giorno dopo giorno e canzone dopo canzone.
Gli eccessi attraversati e il prezzo pagato
La stagione degli anni Sessanta e Settanta viene evocata con lucidità: le sperimentazioni condivise con l’amico Ricky Shane, le sostanze provate in un’epoca in cui la curiosità correva più veloce della prudenza, poi l’alcol che s’insinua nelle abitudini e diventa compagnia ingombrante. Nelle sue parole, perfino la mondanità di una villa all’Eur fa da sfondo a cocktail esagerati e a una lunga consuetudine con il fumo. Il racconto non cerca indulgenze: è il bilancio di un tempo in cui si conosceva poco dei danni e molto dell’incoscienza, e in cui l’artista ha dovuto, più tardi, rimettere insieme corpo e spirito.
Quando l’atmosfera si fa più grave, ecco la lama gentile dell’ironia: “Se sono ancora in piedi, dev’esserci un motivo”, sembra suggerire, attribuendo a un disegno superiore la sua capacità di rialzarsi. Ma dietro il sorriso affiora la sostanza del messaggio: è la musica a tenerlo in rotta, bussola che impedisce la deriva e casa che accoglie dopo ogni tempesta. Un’affermazione semplice solo in apparenza, perché dice della disciplina, della dedizione, dell’ostinazione necessarie per trasformare un mestiere in sostegno vitale, soprattutto quando il passato ha presentato un conto pesante.
Le lacrime che insegnano ad ascoltare
Sollevata la cortina sul dolore, lo scatto emotivo arriva con il ricordo dei genitori. La perdita del padre e della madre, confessa, lo aveva reso di pietra: niente lacrime, solo un silenzio duro. Poi, all’improvviso, l’incontro con una chitarra e un nome che attraversa la storia del rock, James Burton, in una versione di Mystery Train capace di sciogliere il nodo. Da lì il pianto, quello vero, quello che toglie il fiato e restituisce respiro. A volte è una nota a offrire il varco che le parole non trovano; a volte è l’eco di Elvis Presley a far vibrare una memoria che non conosce più difese.
In quell’istante la confessione si fa universale: la musica come unica leva capace di smuovere ciò che sembrava immobile. È un’immagine potente che illumina tutto il resto del racconto: gli slanci, le cadute, la volontà di ricominciare. Per chi guarda, resta l’idea che il suono possa davvero farsi cura, che una canzone ascoltata al momento giusto riesca a rimettere in ordine ciò che il dolore aveva sparpagliato. È il cuore dell’intervista: non lo spettacolo del dolore, ma la sua trasformazione in energia creativa.
Un limite trasformato in rotta artistica
Colpisce un dettaglio medico che, in un’altra storia, avrebbe potuto segnare un confine invalicabile: l’assenza del nervo uditivo in un orecchio sin dalla nascita. Eppure, sostiene, quel limite non ha impedito oltre sei decenni di attività e una quantità sterminata di concerti. Una sfida alla logica che diventa lezione di tenacia: se la passione trova un varco, il resto la segue. È un’affermazione che non indulge nel trionfalismo, ma rivendica la possibilità di farcela nonostante tutto, quando l’allenamento dell’anima incontra la necessità del lavoro quotidiano.
Queste parole arrivano in un momento in cui la tv generalista ricomincia a dare spazio a racconti in profondità, lontani dalla frenesia del frammento. Il merito, qui, sta nell’aver cucito insieme memoria personale e lessico musicale, senza cedere alla nostalgia facile. La storia di un artista che ha respirato il cambiamento del Paese e lo ha restituito in canzoni e palchi, attraversando stagioni impervie e ripartenze. Un invito implicito a riascoltarlo con orecchie nuove, cercando nel timbro e nelle pause il segno di quella lunga resistenza.
Il quadro televisivo: un talk che cambia ritmo
La conversazione con Nunzia De Girolamo si inserisce nel nuovo corso di Ciao Maschio, spostato al sabato pomeriggio intorno alle 17:10 su Rai 1, una scelta editoriale spiegata dalla conduttrice e dall’area Day Time della Rai nelle presentazioni ufficiali di settembre. Il restyling ha acceso una luce diversa sul format, introducendo lo swing delle Swingeresse e le incursioni itineranti di Edoardo Tavassi, senza alterare l’ossatura delle interviste in profondità. Questo contesto valorizza un racconto come quello di Solo, che ha bisogno di tempi lunghi, di domande che scavano e di un pubblico pronto ad accompagnarlo.
Non è un caso che il talk, già protagonista di buoni risultati in stagione, abbia mostrato spesso muscoli e tenuta, anche in annate recenti. In primavera, complice una collocazione favorevole e una puntata particolarmente attesa, il programma ha sfiorato numeri di rilievo nella sua fascia, confermando la capacità di creare legami con il pubblico quando la narrazione incontra temi riconoscibili e ospiti capaci di mettersi davvero in gioco. È il tessuto ideale per storie che uniscono spettacolo e intimità, come quella proposta oggi.
Domande a bruciapelo
Cosa lo tiene in piedi oggi, più di tutto? La musica, dice, è ancora la sua linfa: l’appiglio che lo orienta quando il resto vacilla e il luogo in cui ritrova se stesso dopo ogni fatica.
Qual è l’immagine che sintetizza la sua fragilità? Il ricordo dei genitori e quel pianto liberatorio nato ascoltando James Burton su Mystery Train: il momento in cui il dolore ha trovato finalmente una via d’uscita.
Che cosa resta degli eccessi di un tempo? La consapevolezza di aver attraversato un pericolo reale e l’ironia di chi si definisce sopravvissuto, attribuendo alla provvidenza e alla disciplina di oggi la possibilità di continuare a cantare.
Un limite trasformato in forza? La mancanza del nervo uditivo in un orecchio, che non ha spento la passione né la continuità di una carriera oltre i sessant’anni di musica.
Alla fine resta una sensazione limpida: questo racconto non chiede sconti né applausi facili. È la storia di un artista che ha imparato a trattare con i propri fantasmi e a trasformarli in canzoni, riconoscendo nella musica il solo luogo in cui la vita torna a respirare. Nelle pieghe dell’intervista affiora la responsabilità di chi fa informazione: mettere la persona al centro, lasciare che sia la sostanza a dettare il ritmo. È così che un pomeriggio televisivo diventa memoria condivisa e, magari, un invito gentile a riascoltare senza pregiudizi.
