Giuliano Noci scuote il dibattito a ComoLake 2025: l’intelligenza artificiale come “commissario straordinario” per sbloccare inerzie e rendere la macchina pubblica realmente al servizio delle persone. Un’immagine forte, che apre uno squarcio su cosa significhi governare i dati, integrare sistemi e costruire fiducia, senza rinunciare alla tutela della privacy e allo stato di diritto.
Un’immagine potente per spiegare un’urgenza
Nel corso della diretta speciale realizzata da Adnkronos sulle rive del Lago di Como, il prorettore del Politecnico di Milano ha sintetizzato il senso della trasformazione in atto: l’AI come “aria” che entra ovunque e che, se manca, genera asfissia digitale. Parole nette pronunciate il 16 ottobre 2025 durante il Digital Innovation Forum di Cernobbio, con cui Noci richiama l’Italia all’azione e all’assunzione di responsabilità pubblica, oltre gli annunci, per una modernizzazione che tocchi i processi e non solo le interfacce.
Il cuore del messaggio è pragmatico: usare l’AI per rimuovere attriti, creare economie di scala e far dialogare piattaforme oggi frammentate, a patto di sciogliere i nodi del controllo sui dati. La provocazione del “commissario straordinario” non invoca scorciatoie, ma una regia capace di coordinare migliaia di attori, dal centro ai territori, secondo logiche di interoperabilità, trasparenza e accountability. Un progetto che chiede una governance chiara e la disponibilità a condividere informazioni in modo sicuro, verificabile e tracciabile.
La mappa della pubblica amministrazione: tanti campanili, poca scala
L’architettura amministrativa italiana resta una costellazione di piccoli Comuni: dal 22 gennaio 2024 i municipi sono 7.896, e circa il 70% ha meno di 5.000 abitanti. Una micro-frammentazione che rende onerosa l’innovazione, specialmente dove mancano competenze e budget stabili. Questo dato, ribadito da ricerche e cronache nazionali, spiega perché la leva dei dati condivisi e di piattaforme comuni pesi più dei singoli progetti locali. Qui l’AI può davvero moltiplicare l’effetto della spesa pubblica, se alimentata da basi informative complete e interoperabili.
L’immagine è chiara: tanti uffici, ciascuno con archivi e procedure, raramente integrati. Senza un disegno tecnico-organizzativo coerente, perfino servizi di base restano a macchia di leopardo. La sfida è passare da un mosaico di silos a un ecosistema che scambia informazioni in tempo reale, con standard comuni e API sicure. L’AI non sostituisce le amministrazioni, ma le aiuta a orchestrare processi, prevenire errori, personalizzare le risposte ai bisogni. Il punto di svolta è culturale: mettere il dato “giusto” al posto “giusto”, nel momento “giusto”.
Dati, interoperabilità, fiducia: la condizione abilitante
La strada è già tracciata da norme e strumenti italiani: le Linee Guida AgID sull’interoperabilità tecnica, aggiornate con i Pattern di interazione, definiscono come i sistemi pubblici devono parlarsi e scambiarsi informazioni in modo sicuro. In parallelo, il Modello di Interoperabilità e il Sistema Pubblico di Connettività fissano standard e ruoli. Non è teoria: sono specifiche operative che chiedono alle amministrazioni di progettare servizi nativamente integrati, aprendo la strada ad agenti AI capaci di agire su basi dati coerenti.
Nel perimetro del PNRR si innesta la Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND), che abilita lo scambio automatizzato di informazioni tra enti, applicando il principio once only: il cittadino non deve ripresentare ciò che lo Stato già possiede. Il percorso è concreto: avvisi, voucher, adesioni e continue evoluzioni tecniche delle API. È su questo corridoio che l’AI può correre, trasformando dati eterogenei in decisioni tempestive e servizi personalizzati.
Lo stato dell’arte: piattaforme che crescono, vincoli che si sciolgono
Negli ultimi mesi, la PDND ha proseguito con rilasci incrementali delle interfacce e del back office, accompagnati da nuove regole di sicurezza per i voucher e da numeri in crescita sull’interscambio. Analisi indipendenti hanno fotografato migliaia di enti attivi, decine di migliaia di eService e centinaia di milioni di interoperazioni, a conferma che lo scheletro digitale del Paese prende forma. È l’infrastruttura invisibile che consente agli algoritmi di apprendere dal reale, senza replica di adempimenti.
Lo stesso ecosistema pubblico pubblica monitoraggi, dashboard e rendicontazioni sull’avanzamento della trasformazione, dagli SPID/CIE al Fascicolo Sanitario Elettronico, fino all’ANPR. Questi tasselli abilitano sperimentazioni di AI con radici solide nei registri amministrativi. Quando Noci invoca un “commissario straordinario”, il sottotesto è questo: accelerare il coordinamento, evitare duplicazioni, completare i collegamenti tra sistemi perché gli agenti intelligenti possano integrarsi in modo nativo, misurabile e auditabile.
Regole europee e tutela dei diritti: il binario dell’affidabilità
L’AI Act europeo è entrato nel vivo con scadenze a tappe: le prime obbligazioni per i modelli general purpose sono fissate nell’estate 2025, con ulteriori tranche nel 2026. Nonostante le pressioni delle big tech per rinviare, la Commissione UE ha confermato il cronoprogramma e varato un codice di condotta per aiutare le imprese alla conformità. Per la PA significa progettare l’uso dell’AI su basi legali, trasparenti e verificabili fin dall’inizio.
In Italia, il Garante per la protezione dei dati personali ha già dettato coordinate esigenti su modelli generativi, sanzionando condotte non conformi e richiamando i principi di privacy by design, minimizzazione e controllo effettivo dell’utente. In parallelo, l’Autorità ha esaminato gli schemi aggiornati relativi all’infrastruttura di interoperabilità PDND, a garanzia che gli scambi tra enti rispettino il GDPR. È la prova che innovazione e diritti possono coesistere se governance e architetture sono pensate per reggere nel tempo.
Dal principio alla pratica: cosa significa “cittadino al centro”
Rendere il cittadino protagonista non è uno slogan, ma la conseguenza di basi dati realmente aperte e interoperabili. Se le informazioni tributarie, sanitarie e patrimoniali dialogano in modo conforme, gli agenti AI possono anticipare bisogni, ridurre gli adempimenti, personalizzare l’erogazione dei servizi e, soprattutto, azzerare ridondanze e tempi morti. La qualità del servizio nasce dalla conoscenza, e la conoscenza poggia sui dati: il passaggio cruciale è liberarli dai recinti organizzativi, senza intaccare le garanzie di legge.
Su questo terreno, l’equilibrio fra riservatezza e utilità collettiva non è un compromesso al ribasso, ma un patto di responsabilità. Con AI Act, linee guida nazionali e vigilanza del Garante, la condivisione può essere finalizzata al solo scopo pubblico, tracciata, proporzionata e reversibile. È così che si costruisce la fiducia: spiegando come, perché e per quanto tempo un dato viene usato; e garantendo che l’algoritmo sia misurabile, auditabile e correggibile. Solo allora l’AI diventa abilitatrice e non orpello.
Le parole e la realtà: perché l’AI “commissario” è una chiamata alla responsabilità
La metafora scelta da Noci colpisce perché sposta l’attenzione dall’hype tecnologico alla capacità di governo. In un Paese con migliaia di enti e competenze distribuite in modo diseguale, l’AI può coordinare, standardizzare, ridurre gli attriti tra sistemi, ma non sostituisce il dovere di decisione. Servono regole chiare per i dati, architetture interoperabili, audit continui sugli algoritmi, formazione del personale e una comunicazione che renda il cittadino parte attiva e consapevole del cambiamento.
Non si può avere tutto senza dare nulla: pretendere servizi impeccabili senza condividere le informazioni necessarie è illusorio. Il punto non è cedere la propria riservatezza, ma stabilire scopi leciti, basi giuridiche appropriate, limiti temporali e controlli indipendenti. L’AI come “commissario” funziona solo se la PA accetta di misurarsi su risultati tangibili: tempi più rapidi, errori in calo, soddisfazione degli utenti, trasparenza sugli impatti. È una trasformazione che chiede coraggio e metodo, non slogan.
Tre domande che ci vengono poste più spesso
L’AI nella PA rischia di sostituire i dipendenti pubblici?
No: gli algoritmi automatizzano compiti ripetitivi e supportano le decisioni, ma responsabilità e controllo restano umani. Il valore cresce quando competenze e tecnologia si integrano in processi ripensati, non quando si tenta un rimpiazzo meccanico.
È possibile conciliare personalizzazione dei servizi e tutela della privacy?
Sì, se i dati sono minimizzati, tracciati e usati con basi giuridiche chiare, su piattaforme interoperabili e sicure. La conformità non è un ostacolo: è la condizione per generare fiducia e continuità dei servizi.
Quando vedremo benefici concreti per i cittadini?
Man mano che PDND, identità digitali e registri centrali si consolidano: i primi risultati sono già visibili dove gli scambi dati sono attivi e gli sportelli lavorano su pratiche integrate, riducendo richieste ripetitive e tempi di attesa.
La proposta di Giuliano Noci è, in fondo, una cartina di tornasole: ci chiede se siamo pronti a trattare l’AI come infrastruttura democratica, con regole, responsabilità e benefici misurabili. Dalle cronache di ComoLake 2025 alle roadmap di AgID e PDND, passando per le scadenze dell’AI Act e i richiami del Garante, il disegno è sul tavolo. Ora serve la parte più difficile: tradurre le parole in risultati e far sentire al cittadino che il cambiamento esiste, ogni volta che chiede un servizio e lo ottiene bene e in tempo.
