Parola, suono e immagine si fondono in una serata che invita all’ascolto profondo. Una madre prende voce, e con lei il dolore, la fede, la memoria. A guidare il viaggio è Vittoria Scognamiglio, in un lavoro che intreccia intimo e universale con rigore, coraggio e una visione scenica potentissima.
Il respiro degli strumenti smontati
Nel cuore della scena pulsa il dispositivo Ersilia, ideato da Alvise Sinivia: pianoforti dismessi sono stati smontati fino a lasciare solo la tavola armonica, come un corpo essenziale, nudo e vibrante. Queste tavole-cadaveri, collegate da fili di nylon, non producono suono da sole: è la vibrazione di una corda a innescare quella dell’altra, a metri di distanza. Lo spazio diventa materia viva, un organismo dinamico attraversato da onde sonore, mentre l’interprete si muove tra i fili, li tocca, li pizzica, li sfiora. Il corpo diventa arco, e il gesto, estremizzato fino al suo parossismo, genera musica in un circuito di rimandi che salda movimento e risonanza.
Questa architettura acustica, con i “pianoforti disossati” evocati da Sinivia, richiama strumenti antichi e, insieme, un’idea di modernità inquieta. Le immagini e la musica si propagano nell’intero ambiente, intrecciando una trama sonora che connette una storia ancestrale alla nostra contemporaneità. La scena, definita dalla mano di Franck Jamin con la collaborazione di Anabel Strehaiano, delinea uno spazio sospeso, quasi una soglia: qui il racconto si fa rito e presenza, e ogni vibrazione sembra trattenere un respiro. Il risultato è un paesaggio percettivo in cui la materia del suono e la densità del silenzio si richiamano a vicenda, creando un’esperienza immersiva e tattile.
La voce di Maria tra mito e memoria
Al centro della creazione, liberamente ispirata a Il testamento di Maria di Colm Tóibín, una figura leggendaria prende finalmente parola. Maria, lontana dal mondo, protetta e insieme isolata, prova a smontare il mito costruito dagli antichi compagni del figlio: un racconto che non riconosce e una leggenda sulla crocifissione che rifiuta. Questo testo è il filo d’Arianna che attraversa l’opera e la guida oltre i confini della religione, sfiorando temi che bruciano anche oggi: immigrazione, arrivo di “idoli” artificiali, fratture generazionali, percezione di un ordine che si incrina. È una memoria che combatte, un dolore che non accetta semplificazioni.
La tessitura scenica abbraccia linguaggi diversi: Una madre è installazione, concerto, danza, teatro. Le arti si affiancano, rivendicano la propria forza, poi si allontanano per mettere in risalto l’una l’altra. Il divario tra la recitazione neorealista di Vittoria Scognamiglio e l’universo contemporaneo portato da Alvise Sinivia e Éloïse Vereecken si fa passaggio, opposizione, talvolta malinteso: la distanza tra una generazione che ricorda e una che inventa nuovi linguaggi. Dentro questo scarto si accende la verità emotiva, mentre la musica e le immagini risuonano come un’eco che scava nel tempo e nelle coscienze.
I protagonisti e la forma scenica
Il progetto nasce da un nucleo forte: un’introduzione firmata da Vittoria Scognamiglio, che porta in scena anche una traccia della propria vita, intrecciata alla materia letteraria. La regia e la drammaturgia sono di Amahì Saraceni, che costruisce un dispositivo teatrale capace di far dialogare la parola con il suono creato e diretto da Alvise Sinivia. In scena, insieme a Scognamiglio, sono Sinivia e Éloïse Vereecken, interpreti di una partitura poetica e sonora che compone un ritratto intimo e, allo stesso tempo, universale della figura materna. È un racconto che pulsa di carne e di memoria, dove ogni elemento si specchia nell’altro.
La scenografia porta la firma di Franck Jamin, in collaborazione con Anabel Strehaiano. Lo spazio scenico, attraversato dal dispositivo Ersilia di Sinivia, si apre come un luogo sospeso, in cui la narrazione si trasforma in presenza tangibile. Qui parola, suono e immagine non sono accessori, ma colonne portanti di un unico organismo narrativo. L’insieme dà vita a un quadro teatrale che rifiuta l’illustrazione didascalica e preferisce evocare, lasciando che il pubblico abiti le vibrazioni, i silenzi, gli scarti, i chiaroscuri di una memoria che non smette di interrogare il presente.
Quando e dove
Una madre va in scena mercoledì 15 ottobre 2025, alle ore 21:00, al TeatroBasilica, all’interno del Festival Artinvita. È un appuntamento che coniuga parola, musica e immagine per esplorare il dolore, la fede, la memoria con uno sguardo radicale e visionario. Per orientarsi nella programmazione: al TeatroBasilica gli spettacoli in settimana, dal lunedì al sabato, iniziano alle 21.00, mentre la domenica sono alle 16.30. Una collocazione serale che invita a un ascolto concentrato, a porte chiuse con se stessi, nella cornice intensa e raccolta della sala.
La direzione del TeatroBasilica è affidata all’attrice Daniela Giovanetti e al regista Alessandro Di Murro; l’organizzazione è curata dal collettivo Gruppo della Creta insieme a un team di artisti e tecnici, con supervisione artistica di Antonio Calenda. Il teatro si trova in Piazza di Porta San Giovanni 10, Roma. Per informazioni è possibile scrivere a info@teatrobasilica.com o contattare il numero +39 392 9768519. Tutti i dettagli utili convergono in un invito chiaro: essere presenti, ascoltare, lasciarsi attraversare.
