Prezzi in crescita e scontrini sempre più pesanti per chi deve mangiare senza glutine. Di fronte a rincari costanti, AIC – Associazione Italiana Celiachia chiede una misura netta: azzerare l’IVA sui prodotti specifici. È una richiesta che parla di equità e di accesso alla terapia quotidiana per centinaia di migliaia di persone.
Un appello concreto per alleggerire il carico
AIC – Associazione Italiana Celiachia, impegnata dal 1979 nella tutela delle persone con celiachia, ha presentato alle istituzioni italiane una proposta chiara: portare allo 0% l’IVA sui prodotti senza glutine specificamente formulati. In Italia, gli alimenti considerati di prima necessità – come pane, pasta, latticini e ortofrutta – scontano un’IVA al 4%, mentre per molti prodotti destinati ai celiaci l’imposta arriva al 10%. L’iniziativa si ispira a esperienze già adottate in Spagna e Portogallo, dove la riduzione o l’azzeramento dell’IVA ha reso più sostenibile la dieta priva di glutine. Il costo elevato della terapia dietetica è infatti un tema che riguarda l’intera Europa e non dipende dall’assistenza integrativa italiana.
Secondo i calcoli dell’associazione, se tutti i prodotti sostitutivi fossero tassati a zero, il risparmio medio per ciascun celiaco sarebbe di circa 2 euro a settimana, pari a quasi 100 euro l’anno. Per gli oltre 260 mila celiaci diagnosticati, l’effetto sul potere d’acquisto sarebbe tangibile. La dieta priva di glutine è l’unico trattamento disponibile e va seguita con rigore lungo tutta la vita; quando i prezzi aumentano e i buoni rimangono invariati, le difficoltà crescono, avverte la presidente Rossella Valmarana, sottolineando come garantire una copertura adeguata significhi anche prevenire costi sociali e sanitari legati a una celiachia non gestita correttamente.
Prezzi in crescita e mercato di nicchia: i numeri che pesano
I dati raccontano una tendenza inesorabile dal 2016: nella Grande Distribuzione Organizzata il costo del pane senza glutine è salito dell’11%, mentre in farmacia la pasta ha segnato un +32%. E non si tratta solo di rincari: il prezzo di pane e pasta senza glutine resta circa tre volte superiore agli analoghi con glutine, e il mix di farine specifico può costare quasi cinque volte la farina tradizionale, secondo Nielsen. A incidere sono approvvigionamenti più complessi, ingredienti dedicati garantiti “gluten free”, processi produttivi separati e controlli stringenti per prevenire contaminazioni.
Il fattore più determinante è però la dimensione del mercato: in Italia i prodotti senza glutine interessano soltanto l’1-2% della popolazione. Una nicchia che, pur crescendo, non consente economie di scala e mantiene alti i prezzi finali. Se il caro vita colpisce tutti, per chi convive con la celiachia il peso è doppio, perché parte da un livello di spesa già superiore alla media e in continuo aumento. Dietro ogni confezione acquistata c’è un’esigenza terapeutica non rinviabile, e la percezione di un divario economico che si allarga mette in difficoltà famiglie e singoli consumatori.
Buoni SSN e tetti di spesa: quando il potere d’acquisto scivola
In Italia, le persone con celiachia hanno diritto all’erogazione gratuita degli alimenti sostitutivi tramite buoni acquisto emessi dal SSN. I tetti di spesa sono fissati dal Ministero della Salute sulla base dei “Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia”, differenziati per età e sesso. Il calcolo parte dal prezzo medio di alcuni prodotti cardine – pane, pasta e mix di farine – e dal fabbisogno calorico giornaliero, considerando che in media questi alimenti coprono il 35% dell’alimentazione. Il valore mensile è poi maggiorato del 30% per tenere conto di esigenze nutrizionali specifiche.
Dal 2016, anno di riferimento dell’ultimo aggiornamento, i tetti massimi sono rimasti invariati mentre i prezzi hanno continuato a salire. Il risultato è una compressione del potere d’acquisto dei buoni e una copertura più fragile dei bisogni reali. Quando l’unica terapia è la dieta, la certezza di poterla sostenere economicamente non è un dettaglio: è parte della cura. Stabilizzare l’accesso ai prodotti specifici significa sostenere l’aderenza alla terapia quotidiana e ridurre i costi indiretti dovuti a una gestione inadeguata della malattia nel medio e lungo periodo.
Vent’anni di tutele: cosa prevede la Legge 123/2005
Ricorre quest’anno il ventennale della Legge n. 123/2005, voluta con forza da AIC e fondamentale nel riconoscere la celiachia come “malattia sociale”. La norma ha introdotto tutele essenziali: il diritto al pasto senza glutine nelle mense delle scuole e degli ospedali, oltre che nelle strutture pubbliche; l’erogazione gratuita dei prodotti oggi definiti dalla normativa europea “specificamente formulati per celiaci – senza glutine”, con limiti di spesa stabiliti dal Ministro della Salute; la formazione e l’aggiornamento non solo della classe medica, ma anche di ristoratori e albergatori, cruciale per garantire sicurezza alimentare.
Da queste basi è nato il cosiddetto Sistema Celiachia Italia, un modello che molti Paesi europei e non solo guardano con interesse. La legge ha inoltre istituito la “Relazione al Parlamento”, pubblicata ogni anno dal Ministero della Salute, divenuta il riferimento sullo stato della celiachia in Italia. Consolidare questo impianto con misure fiscali mirate significherebbe tradurre in pratica il principio di pari accesso alla terapia, rendendo meno gravoso l’acquisto degli alimenti indispensabili e dando continuità alle tutele raggiunte in questi vent’anni.
Un’Europa che osserva il modello italiano
Il modello di assistenza italiano suscita l’attenzione del Parlamento Europeo. In qualità di membro di AOECS, AIC sostiene la petizione promossa da SMAP (Associazione Celiachia Catalana) per una Direttiva Quadro sulla celiachia che si ispiri all’esperienza italiana. È un segnale di come il tema del costo ancora elevato della dieta senza glutine attraversi i confini nazionali e richieda risposte coordinate. Le iniziative adottate in Spagna e Portogallo dimostrano che l’intervento sull’IVA può essere uno strumento immediato ed efficace.
Ridurre l’imposta non è un favore: è un atto di responsabilità verso chi vive una condizione cronica e ha nella dieta l’unico presidio terapeutico. Con prezzi in crescita dal 2016, pane e pasta specifici che costano fino a tre volte gli analoghi con glutine e mix di farine quasi cinque volte la farina tradizionale, l’azzeramento dell’IVA sarebbe un segnale concreto. Migliorerebbe il potere d’acquisto degli oltre 260 mila celiaci diagnosticati e renderebbe più sostenibile, giorno dopo giorno, la loro terapia indispensabile.
