Un’immagine ritrovata restituisce voce a una comunità: nella parrocchia di San Marco Evangelista, al Quartiere Giuliano-Dalmata di Roma, è tornata visibile la Pala della Madonna dell’Esilio, al termine di un restauro atteso e condiviso dalla gente del quartiere e dalle istituzioni cittadine.
Un ritorno alla luce nel cuore del Quartiere
Ieri, lunedì 13 ottobre 2025, la Pala d’altare dedicata alla Madonna dell’Esilio è stata svelata nella chiesa di San Marco Evangelista in Agro Laurentino, in Piazza Giuliani e Dalmati. La ricollocazione conclude un progetto di recupero curato dal Comitato provinciale di ANVGD Roma e sostenuto dalla legge 72/2001, che ha riportato l’opera al suo dialogo originario con i fedeli e con lo spazio liturgico del quartiere. Alla celebrazione, presieduta dal cardinale vicario di Roma Baldo Réina, la partecipazione è stata viva e partecipe, specchio d’una memoria che la città custodisce e rinnova ogni volta che un’opera torna a parlare al presente. L’annuncio e i dettagli dell’iniziativa sono stati condivisi dal Comitato romano dell’associazione degli esuli, che ha indicato finalità, tempi e modalità dell’intervento conservativo.
L’opera, un olio del pittore zaratino Andrea Fossombrone, appartiene alla storia collettiva di chi ha attraversato l’esodo e ha ritrovato a Roma una casa e un altare dove riconoscersi. Il restauro restituisce cromie, profondità e leggibilità iconografica, permettendo alla pala di tornare a essere segno di identità condivisa. Sulla figura dell’autore, noto per la produzione sacra fra Dalmazia, Umbria e Milano, si dispone una bibliografia che ne colloca la formazione e l’attività tra fine Ottocento e primo Novecento, con una predilezione per cicli di affreschi e tavole d’altare. La ricostruzione biografica, consolidata da repertori d’arte, aiuta a orientare lo sguardo sulla sua pittura e sul contesto in cui nacque la Madonna dell’Esilio.
Una cerimonia che parla alla città
La santa Messa presieduta dal cardinale vicario Baldo Réina ha raccolto autorità locali, rappresentanze istituzionali, esponenti del mondo civile e militare, insieme alla presidente Donatella Schürzel con l’Esecutivo di ANVGD Roma e alle associazioni storiche dell’Esodo. Per la famiglia donatrice erano presenti Gemma Bracco, vicepresidente di Fondazione Bracco, e la figlia Eva Pedrazzini. In chiesa, il clima è stato quello delle occasioni che uniscono: un’opera che torna al suo posto, un quartiere che ritrova una parte di sé, una città che riconosce la trama, spesso silenziosa, delle proprie memorie. La cronaca della giornata e le voci dei protagonisti hanno dato sostanza a questo abbraccio collettivo.
Il restauro, oltre a un risultato tecnico, racconta un gesto di mecenatismo che percorre più generazioni. Il riferimento va al fondatore del Gruppo Bracco, committente e benefattore legato alla propria terra d’origine e agli esuli giuliano-dalmati; una linea di attenzione culturale e civile che ha trovato, negli anni, ulteriori approdi. Nel 2020, ad esempio, a Milano è stata inaugurata in Piazza della Repubblica la stele in memoria dei martiri delle foibe e dell’esodo, progettata dallo scultore istriano Piero Tarticchio e realizzata con il contributo della Fondazione Bracco, come attestato dalle ricostruzioni del Comune e dalle cronache cittadine.
Una storia di esilio e di memoria
La pala fu donata nel 1950 alla comunità Giuliano-Dalmata dai coniugi Elio Bracco e Nina Salata, legami che intrecciano vicende personali e storia nazionale. La biografia di Elio, nato a Neresine nel 1884, segna tappe dure: l’arresto nel 1914 con l’accusa di alto tradimento, i due anni di detenzione nelle carceri di Graz, l’internamento della famiglia a Mittergrabern, quindi l’invio a Feldbach. Prosciolto, riprenderà un cammino che porterà i Bracco verso Milano, dove nel 1927 nascerà il futuro gruppo industriale. Questi dati, conservati nell’archivio storico del gruppo, restituiscono la densità di una vicenda umana che oggi riappare anche in un’immagine sacra.
Il quartiere che accoglie l’opera porta sulle sue strade la memoria dell’esodo. Riconosciuto come Museo diffuso in più occasioni istituzionali, il Giuliano-Dalmata ospita realtà come l’Archivio Museo storico di Fiume, presidio documentario e civile che, insieme alle istituzioni culturali e scolastiche, mantiene vivo lo studio delle vicende giuliano-dalmate. Le iniziative promosse dall’Archivio Centrale dello Stato e richiamate dal Ministero della Cultura ne ribadiscono il valore formativo e pubblico, intrecciando testimonianze, ricerca storica e valorizzazione del territorio.
La chiesa e la comunità: un legame di lunga data
La parrocchia di San Marco Evangelista in Agro Laurentino sorge in Piazza Giuliani e Dalmati, nel cuore del quartiere. Edificata tra il 1970 e il 1972 su progetto di Ennio Canino e affidata ai Frati Minori Conventuali, è un punto di riferimento liturgico e sociale, visitato anche da pontefici nel corso dei decenni. In questa architettura sobria e contemporanea, la pala restaurata riacquista la sua funzione: non un semplice oggetto d’arte, ma un compagno di preghiera per chi, qui, ha ritrovato casa.
La ricollocazione nella navata, al termine del restauro, avviene dunque in un luogo che ha già custodito racconti di partenze e approdi. La chiesa s’inserisce nel tessuto di un quartiere nato come villaggio per lavoratori dell’E42 e trasformato, dal 1948, in destinazione per gli esuli dell’Adriatico orientale: una trama che la comunità ha saputo intrecciare con dignità, trasformando il ricordo in progetto e il lutto in impegno quotidiano. Qui l’arte non decora: accompagna, consola, rammenda.
L’opera e il suo autore
Nato a Zara nel 1886 e attivo fino agli anni Sessanta, Andrea Fossombrone si è formato a Trieste e ha scelto la via dell’arte sacra, tra affreschi e pale che punteggiano chiese in Lombardia, Umbria e Dalmazia. La letteratura di riferimento lo registra anche come illustratore e autore di opere d’altare, con una cifra devota e narrativa. Queste tracce biografiche, raccolte da repertori specializzati e da sintesi enciclopediche, aiutano a collocare la Madonna dell’Esilio nel suo alveo naturale, quello di una pittura nata per la comunità e per il rito.
Osservare oggi la pala significa entrare in una storia che attraversa i decenni. C’è un gesto che consola, uno sguardo che custodisce, un titolo che non ha bisogno di spiegazioni: “Esilio”. In quell’immagine si rispecchiano i passi di chi ha lasciato la propria terra portando con sé icone minime — una foto, un rosario, un’immagine — e le ha deposte in un luogo nuovo, chiedendo all’arte la forza discreta di un ricominciamento. È in questa intimità che l’opera torna a parlare.
Domande rapide per orientarsi
Quando si è svolta la svelatura della pala? Lunedì 13 ottobre 2025, durante una celebrazione presieduta dal cardinale vicario Baldo Réina nella chiesa di San Marco Evangelista al Giuliano-Dalmata.
Chi ha curato il progetto di restauro? Il Comitato provinciale di ANVGD Roma, con coordinamento scientifico interno e sostegno della legge 72/2001, portando a compimento recupero, valorizzazione e ricollocazione dell’opera.
Chi è l’autore della Madonna dell’Esilio? Andrea Fossombrone, pittore nato a Zara nel 1886, attivo soprattutto nell’arte sacra tra Dalmazia, Umbria e Milano.
Perché il quartiere è definito “Museo diffuso”? Per la concentrazione di luoghi della memoria e istituzioni, come l’Archivio Museo storico di Fiume, riconosciuti e valorizzati in iniziative promosse da enti pubblici e culturali nazionali.
La memoria che ci riguarda
Raccontare questa restituzione non significa solo celebrare un restauro ben fatto. È un invito a misurarsi con la responsabilità di custodire storie che hanno costruito la città di oggi. La trama che lega la donazione del 1950 dei coniugi Elio Bracco e Nina Salata alla presenza odierna della famiglia in chiesa dice il valore di un impegno che attraversa il tempo, dove il gesto privato diventa bene comune e la memoria si fa civica.
Nel silenzio dolce della navata, la Madonna dell’Esilio non chiede clamori. Chiede ascolto. In quell’ascolto, chi entra trova il racconto di una comunità che non ha smesso di riconoscersi: nei nomi, nei volti, nelle mani che hanno restituito a questa pala il respiro dei colori. È lì che il nostro sguardo, ogni volta, impara a restare: nella continuità tra passato e presente, dove l’arte ricuce e la memoria illumina il cammino di tutti.
