Numeri che non arretrano, storie che si ripetono. Nel 2024, la povertà assoluta in Italia resta alta e diffusa, con minori e famiglie straniere più esposte di altre. Un dato che interroga il Paese e chiede risposte concrete, non slogan, perché dietro le percentuali ci sono vite che scricchiolano ogni giorno.
Numeri che non arretrano: la fotografia 2024
Le stime ufficiali parlano chiaro: oltre 2,2 milioni di famiglie vivono in povertà assoluta, pari all’8,4% del totale. Gli individui coinvolti superano i 5,7 milioni, il 9,8% dei residenti. Si tratta di quote sostanzialmente stabili rispetto al 2023, ma la stabilità non è una buona notizia quando il livello resta così elevato. La fotografia scattata dall’Istat il 14 ottobre 2025 indica inoltre una povertà relativa che interessa il 10,9% delle famiglie e il 14,9% degli individui, anch’essa senza svolte significative rispetto all’anno precedente.
Dentro questo quadro nazionale pesano due elementi: la conferma della fragilità minorile e il profilo delle famiglie con cittadinanza non italiana. I più giovani restano un fronte scoperto, mentre l’incidenza tra i nuclei con almeno uno straniero è molte volte superiore rispetto a quella registrata tra le famiglie composte solo da italiani. La dinamica dei prezzi, rallentata ma non innocua nelle voci essenziali, ha inciso sui bilanci domestici senza invertire le tendenze. I dati consolidati dell’Istat e le sintesi diffuse dalle principali agenzie mostrano una situazione che richiede interventi mirati, non misure generaliste.
Minori e famiglie straniere: dove la fragilità pesa di più
Nel 2024 oltre 1 milione 283mila minori vivono in povertà assoluta, pari al 13,8% dei residenti under 18. L’incidenza oscilla dal 12,1% nel Centro al 16,4% nel Mezzogiorno e sale al 14,9% tra i bambini di 7-13 anni. Le famiglie in povertà assoluta con minori sono quasi 734mila (12,3%): il dato più alto si osserva per le famiglie di altra tipologia (più nuclei che convivono e/o membri aggregati), dove l’incidenza raggiunge il 23,9%. Tra le coppie, il rischio cresce con il numero di figli minori: 7,3% con un figlio, 10,6% con due, 20,7% con tre o più; resta elevato anche tra i monogenitori con minori (14,4%).
La cittadinanza accentua le distanze: l’incidenza della povertà assoluta è pari al 30,4% tra le famiglie con almeno uno straniero, sale al 35,2% tra i nuclei composti solo da stranieri e scende al 6,2% tra quelli formati esclusivamente da italiani. Anche l’intensità del fenomeno racconta una condizione più dura per chi ha figli: nelle famiglie con minori tocca il 21,0%, contro il 18,4% del totale, segno che chi cade sotto la soglia, con bambini in casa, scivola più in basso. Sono differenze che non parlano di emergenze effimere, ma di divari strutturali che sfidano la tenuta sociale.
Divari territoriali e città: una mappa diseguale
Il Mezzogiorno resta l’epicentro della povertà assoluta familiare con 886mila nuclei coinvolti (10,5%), seguito dal Nord-ovest con 595mila famiglie (8,1%) e dal Nord-est con quasi 395mila (7,6%); il Centro registra i valori più bassi con 349mila famiglie (6,5%). Se si guarda alla distribuzione, tra i poveri assoluti il 39,8% vive al Sud, il 44,5% al Nord e il 15,7% al Centro. A livello individuale la situazione è stabile, con l’eccezione delle Isole, dove si nota un aumento al 13,4% dal 11,9% del 2023.
L’intensità della povertà assoluta resta ferma al 18,4% a livello nazionale, con un lieve incremento nel Mezzogiorno (18,5% dal 17,8%) e valori più omogenei altrove. Anche la geografia urbana conta: nei comuni piccoli non periferici delle aree metropolitane l’incidenza arriva all’8,9%, seguiti dai comuni sopra i 50mila abitanti e da quelli in periferia metropolitana (8,0%), fino ai centri metropolitani (7,8%). Ma il disegno cambia per macro-area: al Sud e al Nord i valori più alti si registrano proprio nei centri metropolitani (12,5% e 8,2%), mentre nel Centro il picco è nei comuni più piccoli non periferici (7,9%).
Il lavoro non basta: quando l’occupazione non protegge
Il lavoro è un argine, non sempre un riparo. L’istruzione della persona di riferimento incide: con almeno un diploma l’incidenza scende al 4,2%, mentre sale al 12,8% con la sola licenza media e al 14,4% con al massimo la licenza elementare. Anche la posizione nella professione pesa: tra i dipendenti l’incidenza è all’8,7%, ma tra gli operai e assimilati tocca il 15,6%. Sale al 21,3% se la persona di riferimento è in cerca di lavoro, mentre tra i ritirati si ferma al 5,8%.
Se guardiamo alle famiglie con minori, il quadro si fa ancora più netto: tra gli occupati spicca l’incidenza quando la persona di riferimento è operaio o assimilato (18,7%), seguita da altro indipendente (9,4%). Il rischio raggiunge il 23,2% nelle famiglie con minori in cui la persona di riferimento è non occupata e si attesta al 20,0% quando è in cerca di occupazione. È un mosaico che spiega perché le strategie anti-povertà non possano prescindere da lavoro di qualità, sostegni mirati e servizi di prossimità per l’infanzia.
Reazioni e nodi politici
Dal fronte dei consumatori, il presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, Massimiliano Dona, definisce “storici” questi numeri, sottolineando come si sia toccato il massimo dall’inizio delle serie. Dona rimarca che l’8,44% delle famiglie e il 9,8% degli individui in povertà assoluta equivalgono a 2,224 milioni di nuclei e 5,744 milioni di persone, più dei rispettivi picchi del 2023, e invita a orientare la prossima manovra su chi non arriva a fine mese, evitando misure costose e poco efficaci sui consumi. È un richiamo politico, oltre che statistico.
Un Codacons sempre in trincea mette a confronto il 2024 con il 2019, evidenziando un peggioramento netto: le famiglie assolutamente povere sono salite da 1.674.000 a 2.224.000, gli individui da 4.593.000 a 5.744.000, con un +1,1 milioni in cinque anni, e nel Mezzogiorno l’incidenza è cresciuta dal 10,1% al 12,5%. L’associazione avverte che l’inflazione sulle voci primarie, in particolare gli alimentari, rischia di spingere nuovi nuclei oltre la soglia, mentre sempre più famiglie dichiarano tagli sulla spesa alimentare per far quadrare i conti.
Chiarimenti rapidi, risposte nette
Quante persone vivono oggi in povertà assoluta e cosa significa “stabilità” rispetto al 2023? Si parla di oltre 5,7 milioni di individui, pari al 9,8% dei residenti, e di 2,2 milioni di famiglie, l’8,4% del totale. “Stabilità” vuol dire che le percentuali sono sostanzialmente in linea con l’anno precedente, ma su livelli già molto alti. In altre parole, non c’è stato un miglioramento, e il peso sociale resta intatto, soprattutto per i gruppi più vulnerabili.
Perché minori e famiglie straniere risultano più esposti della media nazionale? Tra i minori l’incidenza raggiunge il 13,8%, con punte più alte nel Mezzogiorno, e tra le famiglie con almeno uno straniero la povertà assoluta arriva al 30,4% (fino al 35,2% nei nuclei composti solo da stranieri), mentre scende al 6,2% tra le famiglie di soli italiani. La combinazione tra carichi familiari, redditi più bassi, lavori instabili e reti di sostegno più fragili amplifica il rischio.
Quali territori e profili lavorativi concentrano i rischi maggiori? La quota più alta di famiglie in povertà assoluta si registra nel Mezzogiorno (10,5%), con differenze anche dentro le aree metropolitane. Sul lavoro, l’incidenza cresce quando la persona di riferimento è operaio o assimilato e schizza tra chi è disoccupato o non occupato, specialmente nelle famiglie con minori, che scontano pure un’intensità più alta della povertà (21,0%) rispetto alla media nazionale.
Uno sguardo che pretende responsabilità
Raccontare questi numeri significa immergersi nel loro retroterra umano. Lo vediamo ogni volta che un bilancio familiare viene spostato di pochi euro e l’equilibrio salta: le rinunce diventano abitudine, i piani di vita si accorciano, la fiducia evapora. La statistica illumina la strada, ma è la quotidianità a misurare la distanza tra i principi scritti e le opportunità reali. Ed è qui che l’intervento pubblico si gioca la credibilità, sul terreno di scuola, lavoro, casa, servizi e tempi di cura.
La stabilità dell’incidenza, a questi livelli, non consola. Chiede politiche che guardino alla famiglia con minori come priorità concreta, che misurino l’efficacia sul campo e non sui proclami, che distinguano tra chi ha bisogno episodico e chi vive una fragilità cronica. È la responsabilità che pretendiamo: leggere i dati, riconoscere i divari, costruire soluzioni. Non per raccontare un’altra volta l’emergenza, ma per evitarla domani.
