Domani, mercoledì 15 ottobre alle 10, il Palazzo di Vetro ospiterà la presentazione di “Le mafie nell’era digitale. Focus TikTok”, un’indagine che scava nel lessico dei video brevi per decifrare la comunicazione dei clan e il suo impatto sui più giovani. Una tappa che parla al mondo, e che chiama in causa istituzioni, ricerca e società civile.
Un appuntamento cruciale a New York
L’incontro, intitolato “Organized crime in the social media age”, si terrà nella sede delle Nazioni Unite e sarà aperto dai saluti dell’ambasciatore Gianluca Greco, vice rappresentante permanente d’Italia. La presenza diplomatica non è un dettaglio cerimoniale: conferma l’attenzione del sistema-Paese verso un fenomeno che, nell’era degli algoritmi, attraversa confini, linguaggi e piattaforme, ridisegnando platee e target. La Rappresentanza italiana a New York indica proprio Greco come vice capo missione, a fianco del rappresentante permanente Maurizio Massari, in un quadro di presidio istituzionale su questi dossier globali.
Il parterre riflette l’urgenza del tema: Nino Foti, presidente della Fondazione Magna Grecia; Marcello Ravveduto, docente di Digital Public History e curatore della ricerca; il procuratore di Napoli Nicola Gratteri; lo studioso Antonio Nicaso della Queen’s University canadese; Ronald J. Clark, già Deputy Under Secretary al Department of Homeland Security e oggi CEO di Spartan Strategy & Risk Management; la presidente della Commissione parlamentare antimafia Chiara Colosimo; il presidente della Corte dei conti Umbria Antonello Colosimo; e il presidente della Commissione parlamentare per la semplificazione Francesco Saverio Romano. Le rispettive funzioni sono documentate da atti parlamentari, siti istituzionali e archivi governativi statunitensi, a conferma della caratura del tavolo di confronto.
Quando i clan si fanno immagine: il brand mafioso nell’ecosistema dei video brevi
Nel merito, la ricerca della Fondazione passa al setaccio oltre 6.000 contenuti fra video, profili, commenti, emoji, musiche e hashtag. Il quadro che emerge è netto: la criminalità organizzata assume i tratti di un “brand” che seduce e normalizza l’immaginario mafioso, soprattutto tra i più giovani, colonizzando trend e grammatiche visive tipiche dei video brevi. Il potere di fascinazione nasce dall’estetica: status symbol, colonna sonora, gesti, simboli e codici che si replicano e si rafforzano nello scorrere infinito dello schermo. È in questa ripetizione che affonda le radici un linguaggio di devianza globale capace di parlare a pubblici lontani.
La continuità del lavoro è comprovata da tappe precedenti: già nel 2023 la Fondazione aveva analizzato volumi imponenti di dati social; nell’aprile 2024, al Palazzo di Vetro, ha presentato a un pubblico internazionale un rapporto sul cybercrime, segnalando l’accelerazione tra dark web e imprese criminali. In Sicilia, a fine 2024, veniva annunciato un nuovo focus proprio su TikTok, con l’attenzione rivolta all’autorappresentazione dei gruppi e alle ricadute educative. Queste tappe disegnano una traiettoria di ricerca che arriva all’appuntamento di New York con basi metodologiche solide.
Perché TikTok conta
La scelta di concentrarsi su TikTok non è casuale: la piattaforma ha aggiornato le Linee Guida, con nuove regole in vigore dal 13 settembre 2025, rafforzando i divieti su comportamenti violenti e criminali, organizzazioni violente e contenuti a rischio per i minori. La società rivendica investimenti in moderazione, automazione e trasparenza; ma proprio la chiarezza delle regole, unita alla coerenza degli interventi, è la cartina di tornasole che istituzioni e studiosi guardano con più attenzione quando si parla di contenuti che estetizzano il crimine.
La letteratura scientifica recente invita alla prudenza: studi sperimentali sull’esposizione dei minori a contenuti dannosi mostrano che le differenze tra account “adulti” e “teen” possono essere meno marcate del previsto, segnalando l’esigenza di rafforzare meccanismi, trasparenza e auditing indipendente. Se l’algoritmo apprende dai segnali d’uso, anche piccoli indizi comportamentali possono orientare il flusso dei video. È in questa dinamica che si inserisce il lavoro di analisi avviato dalla Fondazione, per leggere come i messaggi criminali si insinuino nelle pieghe della raccomandazione.
Dal dark web alle piazze digitali: segnali d’allarme che attraversano i confini
Gli allarmi non arrivano solo dall’Italia. Le Nazioni Unite hanno denunciato l’uso dei social per reclutare minori in aree di conflitto e criminalità diffusa: in Colombia, l’Office of the High Commissioner for Human Rights ha segnalato un incremento dei casi e chiesto a piattaforme come TikTok e Meta un salto di qualità nella rimozione dei contenuti che ammantano di glamour il reclutamento, tra video di feste, vestiti firmati e armi in bella vista. Il fenomeno tocca comunità vulnerabili e alimenta un circuito di violenza che le stesse autorità faticano a interrompere.
Nel cuore dell’Europa, Europol ha messo in guardia sull’impatto dell’intelligenza artificiale nel potenziare il crimine organizzato, dalla frode ai traffici, mentre in Francia magistratura e polizia hanno ricostruito casi di “uberizzazione del crimine”, con incarichi violenti veicolati via app e messaggistica. La convergenza fra estetica social, anonimato e strumenti di automazione compone una scena in cui prevenzione ed enforcement devono muoversi velocemente, senza sacrificare diritti e garanzie. È il contesto globale in cui si inserisce il dibattito di New York.
Voci e responsabilità istituzionali
Il panel di domani intreccia piani diversi: la visione di Foti, che insiste sul valore della conoscenza come strumento per ricostruire libertà, legalità e fiducia; l’analisi di Ravveduto, che legge i codici digitali della narrazione criminale; il punto d’osservazione operativo di Gratteri, maturato sul campo con indagini su riciclaggio e reti transnazionali; il contributo comparativo di Nicaso, tra Italia e Nord America, su come simboli e rituali criminali migrino online. L’ambizione è una: trasformare i dati in strumenti, le evidenze in prassi, le prassi in politiche.
Lo spessore degli interlocutori è corroborato da incarichi e curricula: Greco guida la delegazione italiana come vice rappresentante permanente; Gratteri è alla testa della Procura di Napoli; Nicaso è docente alla Queen’s University; Clark ha ricoperto incarichi apicali al DHS; Colosimo presiede la Commissione Antimafia; Antonello Colosimo dirige la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti Umbria; Romano presiede la Commissione per la semplificazione. Sono riferimenti istituzionali e accademici che danno concretezza a un confronto destinato a ricadute operative.
Regole globali in cantiere, tra opportunità e cautele
Il quadro normativo internazionale si muove: la Convenzione ONU sul cybercrime, approvata a fine 2024 e verso la firma nell’ottobre 2025, mira a facilitare cooperazione e investigazioni oltre frontiera. Le organizzazioni per i diritti umani hanno sollevato criticità sui rischi di sorveglianza e definizioni troppo ampie, ma il segnale politico è evidente: serve una grammatica comune per un ecosistema criminale che non conosce barriere. È in questa cornice che il rapporto della Fondazione offre tassonomie, casi e indicatori.
Il tema, intanto, incrocia anche la prevenzione: l’OSCE ha messo al centro l’uso strategico dei social per rafforzare la resilienza giovanile contro corruzione, droga e reti criminali, lavorando con forze dell’ordine e operatori sociali. Educazione digitale e contrasto all’attrattività del crimine diventano così i due cardini di una stessa politica pubblica, che richiede coordinamento internazionale e alleanze con le piattaforme.
Domande-lampo per orientarsi
Cosa viene presentato esattamente domani al Palazzo di Vetro? Una nuova tranche della ricerca “Le mafie nell’era digitale. Focus TikTok”, costruita sull’analisi di oltre 6.000 unità fra video, profili, commenti, emoji, musiche e hashtag. Lo studio intercetta come i clan modellano la propria presenza in rete, trasformando segni, suoni e immagini in un “brand” capace di sedurre e normalizzare l’immaginario criminale, soprattutto tra i più giovani, e mettendo in relazione dinamiche italiane e narco-culture messicane in un unico linguaggio della devianza.
Perché concentrare il focus su TikTok e non su altre piattaforme? Perché il formato dei video brevi amplifica velocità, replicabilità e memetica, elementi che le mafie usano per costruire status e consenso. TikTok ha rafforzato di recente le sue regole contro comportamenti violenti e criminali, ma la letteratura indica che la protezione dei minori necessita di ulteriori garanzie e audit indipendenti. La scelta di studiare TikTok mira dunque a comprendere come certe estetiche criminali si insinuano proprio laddove la viralità è massima.
Qual è il valore aggiunto rispetto ai lavori precedenti della Fondazione? La ricerca mette a confronto, per la prima volta in modo sistematico, il racconto mafioso italiano con le narrazioni delle narco-culture messicane, evidenziando l’emergere di un linguaggio globale della devianza. Si innesta sul tracciato di studi avviati nel 2023 e già portati alle Nazioni Unite nell’aprile 2024, consolidando un osservatorio che unisce analisi empirica, comparazione internazionale e impatto istituzionale, con un chiaro obiettivo: trasformare dati e insight in strumenti operativi.
Quali segnali arrivano dal contesto internazionale sul rapporto tra social e crimine? Le Nazioni Unite hanno denunciato il reclutamento di minori in Colombia anche via piattaforme social; Europol avverte che l’intelligenza artificiale sta potenziando le filiere criminali; in Francia, inchieste recenti raccontano incarichi violenti affidati via app. Sono tasselli di un mosaico che conferma come la dimensione digitale non sia un corollario, ma una leva strutturale del crimine contemporaneo su cui servono risposte coordinate.
Come seguirne gli sviluppi dopo l’evento? La Fondazione ha annunciato la diretta sul proprio sito e proseguirà con pubblicazioni e incontri di restituzione. Dal lato delle policy, il calendario internazionale guarda alla firma della Convenzione ONU sul cybercrime e al dialogo con le piattaforme sul rispetto delle Linee Guida e sulla trasparenza degli algoritmi. Il nostro monitoraggio continuerà, incrociando fonti istituzionali, accademiche e dati aperti per offrire un racconto verificato e utile alle comunità.
Guardare l’algoritmo negli occhi
Dietro ogni video che scorre c’è un’idea di mondo. Nel teatro digitale, segni e musiche raccontano più di quanto promettono: normalizzano, seducono, impastano realtà e finzione. Il lavoro presentato all’Onu punta a forzare quella soglia, a restituire contesto a ogni immagine, a smascherarne gli effetti. È una sfida che ci riguarda: lettori, famiglie, scuole, istituzioni. Il nostro sguardo resterà vigile, con la consapevolezza che nominare le cose – con rigore e senza sconti – è il primo passo per cambiarle.
