Nick Kyrgios frena ogni voce di addio e indica la rotta: a gennaio vuole esserci a Melbourne. Non per rincorrere i riflettori, ma per salutare gli Australian Open “almeno un’ultima volta”, come ha spiegato in un passaggio netto e, insieme, profondamente umano.
Una promessa che profuma di casa
Nel suo intervento al podcast Unscripted, l’australiano ha riordinato le priorità: niente ritiro adesso, solo lavoro quotidiano e un obiettivo che batte forte nella testa, tornare davanti al pubblico di Melbourne Park. Ha chiarito che la stagione in corso, segnata da lunghi stop, non lo vedrà rientrare subito in campo, ma l’orizzonte resta nitido: essere presente agli Australian Open “in un modo o nell’altro”. Non è una dichiarazione di sfida: è il bisogno di chiudere un cerchio con il proprio torneo, quello che l’ha visto crescere e incendiarsi di emozioni, tra promesse mantenute e occasioni svanite.
Il contesto aiuta a capire la misura delle parole. Negli ultimi mesi, tra strappi e ricadute, il ranking di Kyrgios è scivolato oltre la seicentesima posizione, come hanno raccontato le cronache di Reuters a fine agosto 2025, dopo l’ennesima rinuncia allo US Open. Già a gennaio, The Guardian aveva registrato l’allarme per una nuova contrattura addominale alla vigilia del Major di casa. È un mosaico complesso: dolore, allenamenti a singhiozzo e poi di nuovo fisioterapia. Eppure, nella sua voce c’è una calma diversa: il bisogno di esserci almeno ancora una volta, per guardare negli occhi il centrale e dirgli “ci siamo visti crescere”.
Il gelo con Andy Murray, dal legame al silenzio
Il passaggio più spiazzante dell’intervista non riguarda Jannik Sinner, bersaglio frequente delle sue provocazioni: stavolta l’attenzione è scivolata su Andy Murray. Nel dialogo a Unscripted, Kyrgios ha ammesso di non sapere più se considerarlo un amico; lo definisce “più un collega” e racconta l’episodio che ha incrinato la loro intesa: l’invito a partecipare al suo podcast, respinto con freddezza. Il giudizio, affilato ma personale, è stato ripreso da testate specializzate come Tennis365 e Tennisworld USA, che hanno riportato anche la frase, densa di risentimento, rivolta allo scozzese: “fratello, trova un po’ di tempo”. Una crepa che sorprende, visto il sostegno ricevuto in passato.
Per inquadrare quel risentimento bisogna ricordare l’inedita parentesi da allenatore vissuta da Murray: tra la fine del 2024 e la primavera del 2025 ha lavorato accanto a Novak Djokovic, un esperimento affascinante e breve, confermato da ESPN e da Al Jazeera, e poi archiviato a maggio con ringraziamenti reciproci. In quella transizione si legge anche la distanza che oggi separa i due ex compagni di confidenze: vite che corrono in direzioni opposte, una sedotta dal ruolo di mentore, l’altra che arranca nel corpo e rivendica ascolto. L’attacco di Kyrgios resta un fatto, ma si inserisce in una linea del tempo che racconta priorità nuove e agende complicate.
Tra palestra e rassegnazione, il corpo che detta la legge
Il percorso recente è stato un altalena crudele. Dalla chirurgia al polso alla serie di stop che hanno frantumato il ritmo, passando per dolori al ginocchio e all’addome, la mappa degli infortuni di Kyrgios si è allungata di mese in mese. A inizio anno, The Guardian ha parlato di una nuova lesione muscolare che metteva in dubbio la sua presenza agli Australian Open. A metà estate, il segnale più sconfortante è arrivato dal suo profilo social con la frase “knee cooked”, ripresa da testate australiane come news.com.au. L’impressione, suffragata dai numeri ricordati da Reuters, è che il suo corpo oggi ragioni per risparmi e compromessi.
Eppure, nell’intervista, è emersa una sincerità che disarma. Kyrgios non finge: ammette che la fine della carriera si avvicina, anche se non sa “quando” e “come”. È la consapevolezza che arriva piano, quando si capisce che un talento naturale può non bastare contro i tempi di recupero, i gradi delle lesioni, le mattine in cui il dolore scavalca la voglia. Nessun melodramma: solo il rispetto per una professione che chiede conto fino all’ultimo, e la scelta di allenarsi in silenzio, lontano dai tabelloni, per provare a tornare dove tutto ha avuto senso.
Melbourne come orizzonte emotivo, prima che sportivo
L’idea di esserci “in un modo o nell’altro” apre a molte letture, ma il messaggio è chiaro: il prossimo gennaio Melbourne non è un semplice torneo, è un appello sentimentale. Un anno fa, alla fine di una sconfitta d’esordio, aveva lasciato intendere che forse quella fosse stata l’ultima volta in singolare agli Australian Open — un’emozione documentata dalle cronache ufficiali del torneo e ripresa da fonti enciclopediche. Oggi, invece, il tono è diverso: non c’è promessa di trionfi né proclami, solo la volontà di rimettere i piedi sul cemento blu e salutare un pubblico che lo ha amato, rimproverato, coccolato.
Non ha specificato in quale veste scenderà in campo: è la prudenza di chi conosce il proprio corpo e non vuole vendere sogni a rate. Il passato recente, raccontato da Reuters e dalle analisi di inizio stagione, ricorda quanto ogni sforzo vada misurato con attenzione. L’importante, adesso, è esserci: perché un ultimo ballo, in singolare o in doppio, resta un gesto di riconciliazione con se stesso prima che con la classifica. E se il tempo sarà gentile, il resto verrà da sé, punto dopo punto, senza fretta e senza sconti.
Le nostre risposte in 60 secondi
Giocherà davvero gli Australian Open? Ha detto chiaramente che a gennaio vuole essere a Melbourne “in un modo o nell’altro”. Ha escluso un rientro immediato in questa parte di stagione e continua ad allenarsi, con l’idea di salutare il torneo almeno un’ultima volta. La sua determinazione è stata espressa durante il podcast Unscripted, un contesto che restituisce la misura emotiva della scelta e non un semplice slogan da social o un annuncio di circostanza.
Che cosa è accaduto con Andy Murray? Nell’intervista ha spiegato di non considerarlo più un amico, ma un collega, riferendo il rifiuto di partecipare al suo podcast e una risposta percepita come distaccata. Il racconto è stato rilanciato da testate come Tennis365 e Tennisworld USA. In controluce si intravede anche la parentesi da coach vissuta da Murray con Djokovic tra fine 2024 e maggio 2025, confermata da ESPN e Al Jazeera e poi archiviata con toni cordiali.
Qual è lo stato fisico attuale? La stagione è stata logorante: problemi a polso, addome e ginocchio hanno imposto stop ricorrenti. A inizio gennaio The Guardian segnalava una nuova contrattura; ad agosto Reuters ricordava il calo in classifica e il forfait a New York. In mezzo, giorni di palestra e fisioterapia. È lo stesso giocatore a riconoscere che la fine della carriera si avvicina, senza però fissare una data, segno che il dialogo con il corpo resta aperto e onesto.
Ha attaccato anche Jannik Sinner? No. Questa volta il bersaglio non è stato Sinner: nel mirino c’era Murray e l’episodio del podcast. Il riferimento a Sinner, spesso al centro di schermaglie verbali nelle scorse stagioni, resta sullo sfondo. L’attenzione mediatica, stavolta, si è concentrata sulla frattura emotiva con lo scozzese e sulla promessa di esserci a Melbourne, che sposta il racconto dall’agonismo puro a una dimensione più personale.
Un congedo che somiglia a un ritorno
In queste parole c’è la cifra di un atleta che ha saputo incendiare il gioco e dividere le opinioni. Nick Kyrgios non cerca alibi: chiama per nome stanchezza e delusioni, ma non rinuncia a prendersi il diritto di scegliere il palcoscenico del proprio commiato. Gli Australian Open come ultima stretta di mano non sono una sfida all’ordine costituito: sono il luogo in cui riconoscersi, al di là della classifica e dei tabelloni. Il resto, come sempre, lo decideranno il corpo e il tempo.
Dal nostro osservatorio, che incrocia i fatti riportati da Reuters, The Guardian, ESPN, Al Jazeera e la stampa australiana, emerge un messaggio semplice e potente: contano la trasparenza e la misura. Se Kyrgios riuscirà a trasformare il prossimo gennaio in un saluto all’altezza della sua storia, avrà vinto qualcosa che non entra in nessuna statistica: la capacità di chiudere il cerchio con eleganza, rispettando se stesso e chi lo ha seguito, tra entusiasmi e rimproveri, fino a qui.
