Al CIAC – Centro Italiano Arte Contemporanea di Foligno apre “Valerio Adami. Mito e spiritualità”, ampia personale che, in occasione dei 90 anni di Valerio Adami, indaga con rigore il suo rapporto con il sacro. In mostra 50 opere, tra dipinti e disegni, dal 12 ottobre 2025 all’11 gennaio 2026.
Un omaggio per i 90 anni
La Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno celebra Valerio Adami, tra i maestri più riconosciuti dell’arte contemporanea, offrendo una lettura inedita e sistematica della sua spiritualità, da sempre presente ma mai tematizzata con questa chiarezza critica. La rassegna, curata da Italo Tomassoni e Vera Agosti, sceglie il CIAC – Centro Italiano Arte Contemporanea come luogo di un confronto serrato tra mito e contemporaneità, portando in primo piano una visione capace di tenere insieme conflitti, memorie e simboli senza rinunciare alla tensione morale che attraversa l’intera opera dell’artista.
A rendere possibile il progetto è il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno e la collaborazione con l’Archivio Valerio Adami e la Fondazione Marconi, con l’organizzazione affidata a Maggioli Cultura e Turismo. Il calendario espositivo va dal 12 ottobre 2025 all’11 gennaio 2026, consentendo un incontro ravvicinato con un corpus di 50 lavori, selezionati con precisione per attraversare stagioni e temi, senza deviazioni superflue, ma con l’attenzione necessaria a restituire ampiezza, profondità e continuità di sguardo.
Un itinerario tra crocifissioni, angeli, India, mito, filosofi, arte e musica
Il percorso si apre con due imponenti Crocifissioni, emblemi ripensati con sguardo contemporaneo, che introducono la trama concettuale dell’intera mostra. L’allestimento alterna opere di grande formato a disegni, che per Adami costituiscono la matrice ideativa: il disegno come nucleo concettuale e poetico da cui il dipinto prende forma, si struttura e si accende di colore. Questo ritmo visivo, tra visioni totali e partiture grafiche, crea una narrazione che respira, capace di coniugare immagini e pensiero in un equilibrio misurato ma emotivamente intenso.
L’itinerario procede per aree tematiche: gli angeli, l’India, il mito, i filosofi, la storia dell’arte e la musica. Ogni sezione è una soglia di senso, un frammento di un discorso più ampio che torna, divaga e ricompone il quadro complessivo. L’artista, con la sua linea nitida e la sua sintassi cromatica, sposta l’attenzione dall’episodio al simbolo, dall’immagine al concetto; e in questo slittamento, misurato e fermo, lascia emergere il respiro lungo della sua spiritualità laica, con echi che attraversano culture, riti e tradizioni lontane.
Il sacro come esperienza laica
Adami racconta la sessualità, le contraddizioni della società, la violenza e la guerra; ma il suo lavoro, attraversato da tensioni e ossimori, torna costantemente a interrogare il sacro. Non un sacro dogmatico, bensì una spiritualità universale e laica, radicata nel mito e nella centralità del rispetto per la vita e per la morte. È in questa soglia, fragile e necessaria, che l’immagine si fa pensiero, e il pensiero assume il peso di un’etica dello sguardo, dove la forma non è ornamento ma responsabilità. L’opera diventa così campo di forze, memoria che si fa gesto, gesto che si fa racconto.
L’artista, in un intervento del 2000, ha riconosciuto all’arte la possibilità di riannodare un ponte con il divino, forse attraverso uno stato di estasi. Nell’idea, diffusa, che il moderno debba liquidare il sacro, Adami ribalta la prospettiva: non c’è felicità nella rimozione, ma nella ricostruzione del mito. Questa posizione, lucida e controcorrente, abita la mostra in ogni dettaglio: non c’è immagine che non alluda a una soglia, a una relazione, a una distanza da colmare tra l’umano e ciò che lo trascende senza ingabbiarlo.
Riferimenti colti: dalla Trasfigurazione al Calvario ispirato a Yeats
Nelle sale emergono rimandi puntuali alla storia dell’arte – dalla Trasfigurazione di Raffaello al San Pietro di Crivelli – che non sono semplici citazioni, ma innesti di senso. Accanto, gli angeli, nati dopo la scomparsa del padre, diventano via via figure universali, compagni di un cammino interiore che attraversa anche sfingi, Caronte e divinità del mondo classico. L’iconografia si apre poi alle tradizioni ebraiche e islamiche, con il muro del pianto, le menorah e le moschee: segni che non dividono, ma dialogano, come se l’immagine potesse farsi luogo d’incontro tra memorie e destini.
Tra i lavori emblematici, il Calvario ispirato a W.B. Yeats e la Figura crocifissa dedicata a Ben Shahn, artista che aveva raccontato la fine degli anarchici Sacco e Vanzetti. La curatela di Italo Tomassoni e Vera Agosti mette in campo un immaginario insieme tragico e ironico, favolistico e realistico, simbolico e memoriale, restituendolo in modo ampio e anche con taglio antologico. È un atlante di immagini e pensieri che non teme le contraddizioni, perché proprio da quelle trae la sua forza, la sua necessità, la sua verità formale.
Disegno e colore
Disegno e colore, in Adami, non si limitano a convivere: si cercano, si inseguono, si definiscono a vicenda. Il disegno è il progetto mentale, il luogo in cui l’idea si concentra e trova la sua cadenza; il colore, l’energia che accende quell’idea e la espone al mondo. Nel loro intreccio si scioglie l’ossimoro tra sacro e profano, e prende corpo una ricerca di verità formale che diventa racconto dell’esistenza. In questo dialogo, la linea è coscienza, il colore è respiro: il quadro non illustra, pensa.
La selezione di 50 opere non cerca l’effetto antologico per accumulo, ma per traiettorie. Le grandi tele impongono il passo e aprono panorami, i disegni riportano all’ascolto interiore e al laboratorio dell’immagine. L’alternanza costruisce un’esperienza che non si esaurisce nella contemplazione, ma chiede allo spettatore di attraversare i segni, riconoscere i rimandi, sostare nelle pause. È lì che la spiritualità laica dell’artista diventa esperienza condivisa, nel silenzio vigile che separa un segno dall’altro e, insieme, li unisce.
