Ragazze e ragazzi italiani trascorrono sempre più tempo connessi e sempre più spesso senza strumenti per orientarsi: oltre metà resta online più di tre ore al giorno e quasi uno su quattro ha incontrato dal vivo qualcuno conosciuto sul web. In mezzo, l’uso dell’intelligenza artificiale per studiare cresce senza adeguata formazione sui rischi.
Connessioni prolungate, dispositivi sempre in mano
La fotografia scattata dall’indagine realizzata da Moige con Istituto Piepoli tra gli 11 e i 18 anni, su un campione di 1.546 studenti, racconta di un’abitudine che è diventata struttura: il 55% trascorre almeno tre ore al giorno online fuori dalla scuola e il 14% supera le cinque ore. Lo smartphone è il centro dell’esperienza digitale per il 93%, lontanissimi gli altri device. Segnali d’allarme emergono anche sul piano familiare: il 43% riceve richiami per l’uso eccessivo, solo il 22% riesce a staccare senza ansia. Dati e tendenze arrivano da una rilevazione diffusa da Adnkronos, che inquadra l’iperconnessione come nuova normalità.
Nella stessa istantanea, i social appaiono la piazza principale: li usa regolarmente il 94% del campione, con WhatsApp in testa (87%), seguita da TikTok (58%), Instagram (57%) e YouTube (55%). Poco più di sei su dieci dichiarano di essere molto o abbastanza attivi e il 63% impiega la propria identità reale. Attività produttiva minoritaria: solo il 17% gestisce un canale per pubblicare video. Colpisce però un dato di equilibrio: il 91% afferma di avere più amici “offline” che online, segnale che il rapporto con il digitale convive ancora con relazioni concrete.
Relazioni con sconosciuti e dati personali: dove la vulnerabilità prende forma
Il terreno scivoloso resta quello degli sconosciuti: il 30% accetta richieste di contatto da persone mai incontrate e il 23% ha visto di persona qualcuno conosciuto soltanto in rete, con un picco del 31% fra i 15-17enni. La condivisione abituale di informazioni sensibili riguarda una minoranza (5%), ma basta a segnalare un comportamento che, anche se non prevalente, comporta rischi sostanziali. Qui l’alfabetizzazione digitale gioca la partita decisiva: solo il 35% considera affidabile ciò che legge online, e benché il 52% dichiari di verificare sempre le notizie, il 48% è incappato almeno una volta in fake news.
La gestione dell’identità e dei contenuti rimane un nodo esposto. Fenomeni come sexting e revenge porn risultano marginali nel campione, ma la loro pericolosità non si misura nel numero: basta un episodio per lasciare segni profondi, specie quando l’età rende più fragile la capacità di difesa. La ricerca evidenzia inoltre che solo il 47% discute con regolarità le impostazioni di privacy con gli adulti di riferimento e, sempre il 47%, ha attivato filtri per limitare i contenuti inappropriati. Quasi la metà giudica insufficienti le tutele delle piattaforme per i minori, mentre la fiducia piena si ferma al 10%.
Cyberbullismo: coinvolti, direttamente o da testimoni, quasi uno su quattro
Nel capitolo più doloroso, il cyberbullismo tocca il 7% come vittime e il 16% come testimoni: insieme, una quota che sfiora un quarto degli adolescenti. Le condotte più frequenti parlano un linguaggio quotidiano e insidioso: esclusioni da gruppi, pettegolezzi, insulti e hate speech. Il 29% dichiara di aver subito o visto simili episodi, un ulteriore 36% li segnala occasionalmente. La reazione? Solo il 12% interviene in difesa della vittima e appena il 5% avvisa un adulto, mentre il 7% resta fermo.
Il quadro trova riscontro nelle attività della Polizia Postale: nel Report 2024 si registra un incremento dei casi trattati, oltre 300, con una vulnerabilità più marcata tra i 14-17enni. Al contempo, cresce l’impegno investigativo su adescamento online e diffusione non consensuale di immagini intime, fenomeno quest’ultimo in aumento rispetto all’anno precedente. Sono dati che richiamano famiglie e scuole a un presidio quotidiano, accanto agli strumenti di legge e agli sforzi delle forze dell’ordine.
Regole, garanzie e nuove tutele: cosa sta cambiando per i minori
La cornice normativa evolve. Con il Digital Services Act, in vigore dal 17 febbraio 2024, la protezione dei minori ha guadagnato nuovi paletti europei; il 14 luglio 2025 la Commissione europea ha pubblicato linee guida dedicate per garantire un’esperienza sicura e proporzionata all’età. In Italia, l’Agcom ha approvato ad aprile 2025 le regole per la verifica della maggiore età, in attuazione del cosiddetto Decreto Caivano, introducendo sistemi terzi indipendenti e un meccanismo di “doppio anonimato” a tutela della privacy.
La stessa Autorità è stata selezionata da Bruxelles per sperimentare una app di verifica dell’età su piattaforme con contenuti per adulti, tassello che anticipa il portafoglio di identità digitale europeo atteso a fine 2026. Si tratta di passaggi tecnici che hanno un impatto molto concreto nelle case: l’accesso a spazi online potenzialmente dannosi non potrà più poggiare su meri “sì, ho più di 18 anni”, ma dovrà dimostrare la reale età dell’utente rispettando la minimizzazione dei dati personali.
AI tra banco e zaino: entusiasmo, scorciatoie e vuoti formativi
L’intelligenza artificiale è ormai un compagno di studio: la usa regolarmente il 51% degli intervistati, con un picco del 71% alle superiori. Per i compiti, la impiega sempre o spesso il 29% (che sale al 54% tra i 15-17 anni). Qui però emerge lo scarto che preoccupa: solo il 21% ha ricevuto una formazione adeguata su rischi e opportunità e il 33% dichiara di aver ottenuto informazioni errate dagli strumenti. Un divario che, senza percorsi educativi mirati, può tradursi in uso superficiale e dipendenze cognitive.
La ricerca accademica internazionale invita alla prudenza: interventi di AI literacy brevi e nozionistici non bastano a ridurre l’adesione a suggerimenti scorretti dei modelli generativi; in prove controllate con studenti, l’eccesso di fiducia ha portato ad accettare risposte sbagliate in oltre la metà dei casi. Segnali utili per calibrare programmi scolastici più robusti, che insegnino a valutare fonti, limiti e bias degli algoritmi, oltre che a usarli come strumenti e non come stampelle.
Famiglie e scuola: regole che calano con l’età, fiducia nel dialogo più che nei corsi
Nel perimetro domestico, quasi la metà dei genitori impone regole d’uso dei dispositivi, ma la vigilanza tende a diminuire con il crescere dei figli. Eppure, quando si chiede quali siano le difese più efficaci, prevale l’idea del dialogo con adulti di fiducia e di regole condivise (lo indica il 56%), mentre solo il 16% degli studenti giudica utili corsi specifici sulla sicurezza digitale. A scuola, l’approfondimento sui rischi dell’IA tocca appena il 21% degli intervistati: un segnale che invoca un’alleanza educativa più solida.
Il progetto sociale “Educyber Generations”, sostenuto da Enel Cuore e realizzato insieme a Polizia di Stato, Anci, Google e Poste Italiane, nasce proprio per colmare questi vuoti: educare all’uso sicuro del digitale e dell’IA, responsabilizzare i più giovani, coinvolgere gli adulti. Le iniziative in corso, descritte dai promotori, prevedono attività nelle scuole e percorsi di formazione per genitori e docenti, costruendo una cultura condivisa della cittadinanza digitale.
Le voci istituzionali e l’impegno sul territorio
Nel corso dell’evento coordinato dal direttore generale Antonio Affinita, sono intervenuti rappresentanti delle istituzioni e del mondo industriale, tra cui Livio Gigliuto (Istituto Piepoli), Maurizio Gasparri, Nunzia Ciardi (ACN), Ivano Gabrielli (Polizia Postale), Elena Bonetti, Lavinia Mennuni, Sandra Cioffi (CNU-Agcom), Veronica Nicotra (Anci), Fabrizio Iaccarino (Enel), Diego Ciulli (Google), Andreana Esposito (Poste Italiane) e la content creator Angelica Massera. Lo spazio pubblico chiede una “responsabilità condivisa” e strumenti concreti, dall’age assurance alla formazione personalizzata.
Accanto al confronto, il riconoscimento dell’impegno: premiati 45 giovani ambasciatori distintisi nell’ultimo anno scolastico, provenienti dall’IC Plinio il Vecchio di Cisterna di Latina, dall’Istituto Pirelli di Roma e dall’IC Via N. M. Nicolai di Roma. Dietro i numeri, la trama delle buone pratiche che si propagano nelle classi e nelle famiglie, costruendo anticorpi culturali contro violenze digitali e disinformazione.
Domande in un minuto
Quanto tempo passano online gli adolescenti italiani? Più della metà resta connessa oltre tre ore al giorno fuori dall’orario scolastico; il 14% supera le cinque ore quotidiane, con lo smartphone come dispositivo dominante.
Il cyberbullismo quanto è diffuso? Ha colpito direttamente il 7% degli studenti, mentre il 16% ha assistito a episodi: insieme fa quasi un quarto dei giovani coinvolti, tra vittime e testimoni.
Che cosa prevede la nuova verifica dell’età online? Regole Agcom basate su soggetti terzi certificati e “doppio anonimato”, con sei mesi per adeguarsi e un progetto europeo di app in fase di test.
L’IA a scuola è un aiuto o un problema? È uno strumento usato da molti, ma senza formazione adeguata si rischiano scorciatoie e informazioni errate; gli studi mostrano che brevi interventi di alfabetizzazione non bastano a evitare l’eccesso di fiducia.
Uno sguardo che non si accontenta dei numeri
Questa inchiesta ci restituisce l’immagine di una generazione che corre veloce, spesso da sola, in ambienti digitali dove confini e identità si sfumano. La risposta non può essere un cartello di divieti: servono adulti presenti, regole chiare, piattaforme più responsabili e ragazzi messi nelle condizioni di capire prima di cliccare. Nei dati del Moige, nelle azioni di Agcom e nei report della Polizia Postale vediamo una rotta possibile: educazione, tutela e coraggio di fare squadra, ogni giorno.
