Tra programmi industriali, documenti interni e analisi indipendenti, Mosca punta a rafforzare la produzione di carri T‑90 entro il 2028, con un messaggio diretto alla Nato. L’orizzonte non è solo il campo di battaglia in Ucraina, ma un equilibrio strategico europeo che cambierà già nei mesi successivi alla fine dei combattimenti attivi.
Un messaggio strategico all’Alleanza
La chiave di lettura più netta arriva dall’Institute for the Study of War, che nelle sue valutazioni più recenti segnala una traiettoria chiara: la Russia lavora per presentarsi come minaccia militare di lungo periodo per l’Alleanza Atlantica, e non necessariamente dovrà attendere la piena ricostituzione delle forze per alzare la pressione sui confini orientali. Questa conclusione, ribadita anche nei monitoraggi dell’11 ottobre, si fonda su trend industriali e tattici convergenti e su documenti industriali esaminati, seppur non verificati in modo indipendente. In controluce, si intravede una strategia che punta più alla continuità che allo strappo.
Il tema della deterrenza è entrato anche nelle audizioni politiche di vertice: il generale Christopher Cavoli, comandante supremo alleato in Europa, ha riferito al Senato statunitense che la capacità produttiva russa, in particolare sulle munizioni d’artiglieria, è cresciuta a ritmi che mettono pressione alle catene occidentali e ha paventato output annuali di mezzi corazzati tali da rimpiazzare rapidamente le perdite. È un passaggio che invita a ripensare priorità, tempistiche e scorte, con uno sguardo lucido sui limiti dell’industria europea.
Numeri, obiettivi e scadenze dell’industria dei corazzati
I tasselli più concreti arrivano da Frontelligence Insight, realtà di intelligence open source che ha analizzato corrispondenze e tabelle di Uralvagonzavod (UVZ), il principale produttore russo di tank. Nella pianificazione emerge un incremento dell’80% della produzione di T‑90 entro il 2028 rispetto ai livelli 2024, l’avvio della variante T‑90M2 e un picco di 1.118 mezzi tra il 2027 e il 2029, con 428 unità nel solo 2028; l’ISW ha visionato questi materiali precisando di non averli potuti verificare autonomamente. È una griglia di marcia che, se confermata, imporrebbe un cambio di passo anche nelle capitali europee.
Per comprendere la scala del fenomeno serve guardare al ritmo recente: stime diffuse da analisti militari e riprese dall’ISW indicano 60‑70 T‑90M nel 2022, 140‑180 nel 2023 e fino a 250‑300 nel 2024, per un totale di 540‑630 carri nuovi o modernizzati dall’inizio dell’invasione. Lo stesso quadro registra perdite confermate visivamente da progetti open source come Oryx, a testimonianza di un ciclo di consumo e rimpiazzo che resta intenso. È su questa curva che Mosca tenta oggi di costruire resilienza.
La tattica sul campo: conservare e colpire quando serve
Sul terreno ucraino, i movimenti raccontano una scelta prudente: negli ultimi mesi l’impiego di tank sul fronte si è ridotto, fino quasi ad azzerarsi in alcuni settori, segno di una volontà di preservare i mezzi e accumularli in vista di fasi future. L’ISW osserva inoltre che gli assalti meccanizzati non sono scomparsi ma vengono “accesi” quando le condizioni meteo ostacolano i droni di Kiev, riducendo la letalità dall’alto e aprendo finestre di manovra per le unità corazzate. È una guerra fatta anche di attese, non solo di sfondamenti.
Nell’immediato, per operazioni a breve raggio, è previsto un impiego prevalente di T‑72 aggiornati, mentre i T‑90 vengono trattenuti, revisionati o instradati verso la nuova linea M2 quando disponibile. La lettura degli analisti è netta: entro pochi mesi dalla cessazione dei combattimenti attivi, la Russia potrebbe disporre di una massa corazzata significativa da riposizionare sul fianco orientale della Nato, facendo pesare il vantaggio di esperienza accumulata in un teatro ad altissima innovazione tattica. Una prospettiva che chiama l’Europa a scelte rapide.
Cosa significano questi segnali per l’Europa
Il quadro si arricchisce con le valutazioni dello IISS: secondo un’analisi riportata a febbraio 2025, pur tra perdite ingenti, la Russia ha saputo sostenere l’erosione delle proprie forze grazie a riserve ereditate e alla riconversione dell’apparato industriale, mentre Ucraina soffre carenze di personale e mezzi. L’istituto avverte però che l’affidamento su stock più datati comporta costi e limiti crescenti a medio termine. In questo equilibrio precario, la credibilità della deterrenza diventa sostanza.
Già nel vertice per i 75 anni della Nato a Washington, l’attenzione si è concentrata sulla velocità del riarmo russo e sulla capacità di aggirare sanzioni ottenendo componenti da partner come Iran e Corea del Nord. Un’analisi pubblicata da un autorevole quotidiano francese ha sottolineato come la centralizzazione decisionale a Mosca abbia accelerato la produzione di tank, missili e droni, pur lasciando aperto il nodo della sostenibilità economica. L’Europa, nel frattempo, deve tradurre promesse in capacità misurabili.
Domande rapide per orientarsi
Quanti T‑90 potrebbero uscire di fabbrica entro il 2028? Le pianificazioni industriali esaminate da Frontelligence Insight indicano un picco di 428 unità nel 2028, dentro un triennio 2027‑2029 da 1.118 mezzi tra nuovi, modernizzati o sottoposti a grande revisione; l’ISW ha potuto visionare documenti coerenti con questa dinamica, specificando di non averli verificati in modo indipendente. Al netto di ambizioni e colli di bottiglia, i numeri descrivono un’accelerazione pianificata.
Quando inizia la produzione della variante T‑90M2? La documentazione industriale colloca l’avvio nel 2026, con una prima tranche di 10 mezzi e una rampa che prevede 31 unità nel 2027, prima del salto di capacità sul finire del decennio. Queste informazioni emergono da corrispondenze UVZ e fornitori, rilanciate da outlet specializzati ucraini. La scansione temporale resta suscettibile di ritardi tipici dei programmi complessi.
La Russia potrebbe premere sulla Nato prima di ricostituire del tutto l’esercito? Gli analisti dell’ISW non vedono segnali che indichino una necessaria attesa fino alla piena ricostruzione: la leva sarebbe la deterrenza, e l’eventuale assenza di un chiaro segnale di dissuasione potrebbe anticipare il rischio di pressioni e provocazioni. È un monito che riguarda non solo la quantità di mezzi, ma l’integrazione tra forze, tempi e logistica.
Perché i tank compaiono meno spesso al fronte ucraino? L’impiego è più selettivo: l’ISW rileva un ricorso ai carri in condizioni meteo che limitano l’efficacia dei droni ucraini, mentre in altri frangenti prevale la conservazione dei mezzi in vista di impieghi successivi o per l’invio in stabilimenti di aggiornamento. In questa fase, la fanteria e l’artiglieria continuano a reggere il peso principale delle operazioni di logoramento.
Un epilogo che impegna la nostra attenzione
In redazione abbiamo incrociato piani industriali, valutazioni strategiche e dati open source per una lettura che non concede sconti: la Russia accelera, l’Europa deve misurarsi con tempi, scorte e investimenti, e la Nato è chiamata a trasformare l’allarme in capacità reali. Non è un esercizio di retorica, ma una responsabilità pubblica: pianificare, coordinare, rendere credibile la deterrenza. Il calendario scorre più veloce delle abitudini; per questo la lucidità, oggi, è già parte della sicurezza di domani.
