Ken Follett torna alle origini del nostro immaginario con un romanzo che interroga il cuore di Stonehenge, trasformando un enigma millenario in un racconto di identità, memoria e, in filigrana, di desiderio d’immortalità. ‘Il cerchio dei giorni’ arriva in libreria per Mondadori, riportando al centro la costruzione come atto umano ed emotivo.
L’epica di un’identità scolpita nella pietra
Non è soltanto un insieme di megaliti: Stonehenge diventa, attraverso la voce narrativa di Ken Follett, il teatro di una lotta collettiva per affermare chi siamo. Lo scrittore descrive l’impulso a edificare come un gesto capace di sfidare il tempo e di far emergere una comunità davanti allo sguardo dei posteri. In questo senso, la costruzione di un monumento è anche un processo spirituale, un cammino che conosce inciampi, arretramenti e slanci. Incontri con i lettori in Italia, raccontati da Adnkronos e successivi rilanci di testate nazionali, hanno messo in luce questa idea: presentare un’opera significa, in fondo, presentare se stessi.
La nuova uscita editoriale, ‘Il cerchio dei giorni’, inscrive questa visione in una trama corale che attraversa il Neolitico britannico. Costruire diventa missione narrativa: è la scelta di un autore che ha già reso indimenticabile la cattedrale dei suoi esordi di grande successo e qui sposta lo sguardo su un cerchio di pietre. Nella prospettiva proposta durante gli incontri con la stampa, la grande opera assume il valore di un gesto identitario e, insieme, di un patto tra individui che accettano il rischio del fallimento pur di lasciare un segno che resista ai secoli.
Un romanzo nato da un enigma che divide gli studiosi
Attorno a Stonehenge la ricerca archeologica continua a rinnovarsi. Ipotesi autorevoli sostengono che prima dell’anello di sarsen e bluestone potesse esistere una struttura in legno; i lavori del Stonehenge Riverside Project su Durrington Walls hanno illustrato una “complementarità” tra cerchi lignei e cerchio di pietra, con percorsi che scendono verso l’Avon e allineamenti stagionali speculari. L’idea di un paesaggio cerimoniale integrato, in cui vita e morte si rispecchiano, offre al romanzo una cornice di plausibilità e suggestione, senza pretendere risposte definitive. Il mistero resta, ma parla.
Nello stesso tempo, le evidenze su sepolture e riti sono più complesse di quanto spesso si creda. Gli studi di English Heritage indicano che nell’area furono deposte decine di cremazioni – forse fino a 150 individui – configurando uno dei più estesi cimiteri del Tardo Neolitico nelle Isole Britanniche. Altre ricerche hanno tracciato l’origine dei bluestones fino a cave nel Galles occidentale, a circa 180 miglia, suggerendo un’impresa collettiva di trasporto e cooperazione che amplifica la portata simbolica del sito. È un mosaico di dati che non contraddice l’aura spirituale: semmai la arricchisce di umanità.
Tra fede, missione e costruzione narrativa
La poetica di Ken Follett poggia da decenni su un principio: mettere al centro persone comuni impegnate in compiti straordinari. In questa storia, ambientata intorno al 2500 a.C., la costruzione del cerchio diventa la prova che trasforma destini individuali in destino collettivo. L’autore, come ha sottolineato nelle presentazioni italiane, non cerca di “insegnare” con la narrativa; piuttosto, crea un mondo immaginario in cui il lettore cammina accanto ai protagonisti e ne condivide paure, esitazioni e ardimenti, fino a percepire la concretezza della pietra e il respiro del vento sulla piana.
Nomi e volti emergono con nettezza: Seft, giovane cavatore di selce; Neen, l’amore che promette un futuro diverso; Joia, la sacerdotessa che dà forma a una visione. L’avvio durante il Rito di Mezza Estate, il commercio delle selci, le tensioni tra pastori, agricoltori e genti dei boschi: tasselli che collocano la finzione dentro una scena storica coerente con quanto anticipato dall’autore alla stampa internazionale e alla critica culturale. È la via di un’epica popolare che, anche qui, si misura con una grande opera collettiva per esplorarne il significato umano.
Voci dal presente: politica, conflitti e limiti della fiction
Durante gli incontri in Italia, allo scrittore sono state rivolte domande sull’attualità geopolitica. La sua risposta è stata netta: un romanzo, per sua natura, richiede una conclusione; per questo, i conflitti in corso – come la crisi in Medio Oriente – non possono diventare materia narrativa finché restano aperti. A proposito di prospettive di pace e mediazioni politiche, con un accenno al ruolo di Tony Blair, Follett ha espresso scetticismo e un timore più ampio verso l’accumularsi di odio e frustrazione nelle nuove generazioni. Il punto, sottolinea, è non confondere il desiderio con la realtà.
Alla curiosità sul Nobel per la Letteratura, l’autore ha risposto con ironia e lucidità: non è il suo orizzonte. Ciò che conta è la capacità di trattenere il lettore sulla pagina, di alimentare il piacere del racconto senza convertirlo in manifesto. La sua è una poetica che rifugge programmi nascosti e cerca la chiarezza di una storia ben congegnata, popolare nella migliore accezione del termine. Un posizionamento ribadito in più interviste italiane, che conferma un’identità autoriale coerente e consapevole del proprio pubblico.
Date, luoghi e un’uscita attesa
Il romanzo è arrivato nelle librerie il 23 settembre, in contemporanea internazionale, con l’edizione italiana pubblicata da Mondadori. Le anteprime della stampa culturale hanno descritto un’opera ampia, collocata nella lunga tradizione dell’autore di raccontare grandi costruzioni come specchio delle ambizioni umane. L’uscita, annunciata da testate internazionali e confermata dalle principali agenzie italiane, ha fissato l’attenzione del pubblico sul nodo più affascinante: perché un cerchio di pietre riesce, dopo millenni, a chiamarci per nome.
Il tour promozionale ha previsto anche un appuntamento milanese: domenica 12 ottobre 2025, alle 18.30, al Teatro Carcano, nell’ambito del percorso “Aspettando BookCity Milano”. Un incontro attesissimo che conferma come il dialogo tra autore e lettori sia parte integrante della vita di un libro: non un accessorio, ma un’estensione naturale dell’opera stessa, soprattutto quando la storia intreccia mito, scienza e memoria collettiva. La data e il luogo sono stati comunicati dal programma ufficiale e dai canali di prenotazione.
Domande lampo per orientarsi
È un romanzo storico o un’epopea spirituale? Entrambe le cose: la cornice storica del Neolitico offre precisione di contesto, mentre il cuore del racconto interroga la necessità umana di lasciare un segno. La costruzione diventa un atto civile e insieme simbolico, dove i personaggi – persone comuni con ambizioni comuni – cercano senso oltre la sopravvivenza quotidiana, misurandosi con fatica, bellezza e contraddizioni che parlano con naturalezza al lettore contemporaneo.
Cosa sappiamo davvero di Stonehenge? Molto e ancora troppo poco: ricerche su Durrington Walls indicano cerchi lignei coevi e un paesaggio rituale integrato; analisi su resti umani parlano di numerose cremazioni; studi petrografici collegano i bluestones al Galles. Il resto è ipotesi informata, dove si incrociano astronomia, antropologia e immaginario: il romanzo abita proprio questa soglia, mantenendo rispetto per l’incertezza e per le prove disponibili.
Perché l’autore evita di scrivere sulla cronaca in corso? Perché una storia di finzione, per essere onesta, ha bisogno di una conclusione. Nei conflitti aperti la fine non c’è, o non ancora; imporla sarebbe artificiale. La narrativa qui sceglie la responsabilità: osserva, comprende, sublima nel tempo lungo, senza trasformare il dolore in espediente narrativo. È una regola etica oltre che tecnica, maturata in decenni di mestiere.
Il Nobel gli interessa davvero così poco? Sì, e non per posa. L’obiettivo dichiarato è tenere il lettore dentro la storia fino all’ultima pagina, senza ambizioni accademiche. Esiste una letteratura altissima che cerca riconoscimenti diversi; questa, invece, si offre come grande artigianato del racconto, dove il premio è l’attenzione del pubblico e la fedeltà di chi, libro dopo libro, torna per ritrovare emozione e ritmo.
Un congedo che chiama per nome la nostra sete di futuro
Alla fine, ciò che resta è la forza di un’immagine: un cerchio che, stagione dopo stagione, chiama a raccolta una comunità e le chiede di riconoscersi. Non è nostalgia; è l’urgenza di capire come un’opera collettiva possa ancora dare forma a un noi. In questa tensione tra storia e invenzione, tra dato e ipotesi, sta l’autentico magnetismo del libro: il racconto della fragilità che diventa pietra, e della pietra che restituisce alla fragilità una voce che non passa.
