Hamas fa sapere che non tornerà a governare Gaza e, mentre la tregua regge, i leader mondiali convergono su Sharm el-Sheikh per blindare l’intesa. Domani è attesa la liberazione dei primi ostaggi e la firma del piano in una cerimonia presieduta da Donald Trump e Abdel Fattah al-Sisi, con l’assenza dei protagonisti del conflitto.
Il calendario della liberazione e lo scambio dei prigionieri
Secondo il cronoprogramma concordato, la consegna dei 48 ostaggi detenuti nella Striscia inizierà domani mattina, con almeno 20 persone considerate in vita dalle autorità israeliane. La dinamica operativa sarà coordinata dal Comitato Internazionale della Croce Rossa, che fungerà da mediatore neutrale per i trasferimenti verso Israele e i valichi della Striscia, come confermato da funzionari del movimento e da comunicazioni ICRC su precedenti operazioni simili.
Il rilascio rientra nella prima fase dell’accordo: in parallelo, Israele avvierà la scarcerazione di circa 2.000 detenuti palestinesi. Tra questi figurano donne, minori, prigionieri a lungo termine e persone arrestate durante la guerra, secondo le stime rese note da fonti governative israeliane e riprese dalla stampa economica internazionale; numeri e categorie che ricalcano le intese di massima condivise dai mediatori nelle ultime ore. L’obiettivo è creare fiducia reciproca e stabilizzare la tregua.
Il vertice sul Mar Rosso: obiettivi, presenze e assenze che pesano
Nel pomeriggio di lunedì, a Sharm el-Sheikh, un summit co-presieduto dal presidente statunitense Donald Trump e dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi punterà a fissare per iscritto la cornice politica della tregua e i passi successivi per la stabilità regionale. La presidenza egiziana ha ufficializzato la presenza di oltre venti capi di Stato e di governo, con il segretario generale ONU António Guterres in prima fila, dettaglio confermato anche da agenzie e corrispondenze internazionali.
Gli inviti abbracciano sia paesi europei sia attori chiave del mondo arabo. Da Parigi a Londra, da Roma a Madrid, fino a Riad, Doha e Ankara, la platea riflette l’ambizione di una cabina di regia plurale. Nel contempo, Hamas ha fatto sapere che non parteciperà alla cerimonia, mentre la presenza israeliana resta oggetto di valutazioni fino all’ultimo, secondo fonti diplomatiche e un’intervista dell’organizzazione confermata alle agenzie. Una scelta che segnala quanto fragile sia ancora l’equilibrio della pace.
Hamas, la rinuncia al controllo e la transizione che cambia volto
Una fonte vicina al comitato negoziale del movimento ha chiarito che per Hamas la questione del governo della Striscia di Gaza “è chiusa”: il gruppo non prenderà parte alla fase di transizione, riconoscendo di fatto di aver lasciato il controllo amministrativo del territorio. L’indicazione, resa a AFP e ripresa da testate di area mediorientale, aggiunge che Hamas continuerà a essere un elemento della società palestinese, ma fuori dagli ingranaggi dell’amministrazione ad interim.
Resta però un nodo cruciale: la questione delle armi. Da ambienti interni al movimento trapela il no a qualsiasi ipotesi di disarmo unilaterale, una posizione ribadita nelle ultime ore da esponenti di vertice e rilanciata dalla stampa internazionale. Il compromesso, se arriverà, dovrà tenere insieme sicurezza, riconciliazione e dignità. Per questo i mediatori lavorano su una gestione transitoria a guida palestinese, tecnica e indipendente, sotto supervisione internazionale, come emerso nelle ricostruzioni più accreditate.
Gerusalemme, la tappa simbolica e il segno politico
Il passaggio in Israele del presidente Trump è scandito da due momenti ad alto valore politico: l’incontro con i familiari degli ostaggi e un intervento alla Knesset nella mattinata di lunedì, prima del volo verso l’Egitto per la cerimonia. La scaletta è stata confermata da canali istituzionali e media europei, sottolineando il tratto simbolico di una giornata che intende saldare consenso interno e diplomazia internazionale.
L’atmosfera resta carica di attese e di lutto. Nel tragitto verso il Mar Rosso, tre diplomatici del Qatar incaricati dei preparativi sono morti in un incidente stradale non lontano da Sharm el-Sheikh, un episodio che ha scosso le delegazioni e ricordato quanto la mediazione di Doha sia stata centrale nel percorso verso la tregua. La strada della pace, spesso, passa attraverso sacrifici che non fanno notizia.
Le cifre della fase uno: ostaggi, detenuti e aiuti umanitari
La prima finestra dell’intesa include la liberazione scaglionata degli ostaggi con priorità a donne, minori, anziani e feriti, e un corrispettivo rilascio di prigionieri palestinesi in rapporto predefinito. Le istituzioni umanitarie hanno già documentato scambi precedenti in condizioni delicate, invocando discrezione e dignità per i trasferimenti. ICRC sottolinea il proprio ruolo di intermediario neutrale e chiede corridoi sicuri per l’ingresso degli aiuti, elemento che accompagna la tregua fin dal primo giorno.
La logistica del rilascio resta complessa: i trasferimenti potrebbero avvenire da più punti della Striscia in simultanea o dopo un ricongiungimento in un unico luogo, a seconda delle condizioni di sicurezza. Fonti del movimento confermano l’avvio delle operazioni in mattinata, mentre il governo israeliano ha approntato strutture e percorsi sanitari e psicologici per l’accoglienza. Ogni ora guadagnata alla vita, in questa fase, pesa più di qualsiasi proclama.
Tunnel e sicurezza: la prossima, delicatissima, partita
Con la restituzione degli ostaggi, Israele intende procedere alla distruzione sistematica dei tunnel di Hamas ancora attivi nella Striscia. Il ministro della Difesa Israel Katz ha parlato di un’operazione che si svolgerà direttamente a cura dell’IDF e tramite un “meccanismo internazionale” guidato e supervisionato dagli Stati Uniti, nel quadro della demilitarizzazione prevista dal piano in discussione. Le istruzioni operative ai reparti sono già state impartite.
La tempistica e le modalità restano da definire in relazione alla tenuta della tregua e all’accesso degli operatori tecnici. La stampa mediorientale e agenzie internazionali con accredito locale hanno ripreso la linea del ministero, evidenziando la centralità del dossier “sotterraneo” per la sicurezza di confine e la riapertura graduale dei varchi. Smantellare il ventre nascosto della guerra è un atto militare, ma anche politico, perché parla al futuro di Gaza e a chi dovrà garantirne l’incolumità.
Gaza dopo la tregua: governance, ritorni e incognite
La domanda di fondo riguarda chi amministrerà i servizi essenziali e con quale mandato. Analisi indipendenti, citando fonti europee e mediorientali, indicano l’ipotesi di una gestione transitoria affidata a una compagine palestinese tecnica, apolitica e soggetta a supervisione internazionale. È una strada che incontra resistenze, ma che riflette la richiesta – condivisa – di non rivedere Hamas alla guida della Striscia e di evitare un’amministrazione diretta israeliana.
Il ritorno dei civili nelle aree più colpite, l’accesso agli aiuti e la ricostruzione sono i tre architravi della normalizzazione. La pace non è un punto d’arrivo, è un cantiere che pretende responsabilità quotidiane. La riuscita del piano dipenderà dall’adesione leale agli impegni presi, dalla protezione dei corridoi umanitari e dalla capacità dei mediatori – Egitto, Qatar, Turchia e USA – di comporre gli attriti che inevitabilmente emergeranno nella seconda fase.
Chiarimenti rapidi, senza giri di parole
Hamas tornerà a governare Gaza? No. Una fonte del movimento, coinvolta nei colloqui, ha spiegato ad AFP che il capitolo del governo della Striscia è “chiuso” e che il gruppo non parteciperà alla transizione, pur restando parte del tessuto sociale palestinese. È una posizione resa pubblica dopo l’entrata in vigore della tregua e rilanciata da più testate mediorientali, segnale di una ridefinizione degli equilibri interni nella fase post-bellica.
Chi presiede il vertice e quali leader sono attesi? Il summit sarà co-presieduto dal presidente statunitense Donald Trump e dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. Sono attesi il segretario generale ONU António Guterres e leader europei come Giorgia Meloni, Keir Starmer, Emmanuel Macron e Pedro Sánchez. L’appuntamento mira a consolidare la tregua e a definire i pilastri della stabilità regionale, secondo le comunicazioni della presidenza egiziana e dei principali media internazionali.
Israele e Hamas saranno alla cerimonia di firma? Hamas ha già annunciato che non prenderà parte alla cerimonia, preferendo continuare a operare tramite mediatori. Per Israele la partecipazione resta stata oggetto di valutazioni fino all’ultimo, con indicazioni contrastanti nelle ore precedenti al summit. In ogni caso, l’impianto dell’accordo poggia su impegni scritti delle parti e sulla garanzia dei mediatori internazionali, che si faranno carico della formalizzazione.
Che cosa accadrà ai tunnel di Hamas? Il ministro della Difesa Israel Katz ha indicato che, dopo il rientro degli ostaggi, l’IDF procederà alla distruzione dell’infrastruttura sotterranea ancora attiva, anche attraverso un meccanismo internazionale sotto guida e supervisione statunitense. È un tassello centrale della demilitarizzazione prevista nella fase successiva della tregua, che implica coordinamento tecnico, sicurezza dei cantieri e monitoraggio multilaterale.
Una riflessione necessaria, oggi
Questa tregua non cancella il dolore, ma apre uno spiraglio di responsabilità. La rinuncia di Hamas al governo della Striscia, il vertice sul Mar Rosso, la liberazione degli ostaggi e lo scambio dei detenuti sono tasselli di un mosaico ancora da comporre. Dal nostro osservatorio giornalistico, la misura del cambiamento non sarà nella retorica delle cerimonie, ma nella protezione delle vite, nella trasparenza degli impegni e nella capacità di rendere irreversibile il ritorno alla normalità.
