Un cortocircuito di simboli e norme ha acceso il dibattito: il “pasticcio dei santi” non è solo un incidente tecnico, ma il sintomo di una politica schiacciata dall’urgenza. Mentre il 4 ottobre diventa festa nazionale per San Francesco, riaffiorano antiche domande su laicità, memoria civile e uso pubblico della devozione.
Un contesto politico in apnea
Negli ultimi anni la nostra vita pubblica sembra trattenere il respiro. La politica corre, insegue, rincorre, come se il calendario della cronaca fosse l’unico orizzonte possibile. L’ansia di non perdere l’attimo spinge verso annunci e provvedimenti rapidi, spesso modellati sull’emozione del momento. È un moto istintivo: essere sempre “sulla palla”, mostrarsi tempestivi, occupare lo spazio mediatico. Ma quel ritmo affannato presenta un conto: norme scritte di corsa, passaggi poco coordinati, simboli chiamati a colmare vuoti strategici. Quando l’urgenza diventa metodo, la qualità dell’atto politico si assottiglia, e il dibattito scivola dalla visione di lungo periodo alla gestione del giorno per giorno.
Questo approccio non nasce nel vuoto. La sensazione di essere “impari” nelle grandi partite – economiche, geopolitiche, sociali – alimenta il bisogno di mostrare intenzioni, di moltiplicare segnali, di sommare cerimonie. È in questo clima che si inserisce la vicenda del 4 ottobre: un provvedimento che vuole parlare a un sentimento popolare sincero e radicato, dedicando una festa nazionale a San Francesco d’Assisi, ma che finisce per sovrapporsi a una storia giuridica e civile già esistente. La generosità simbolica non sempre coincide con la precisione normativa.
L’attimo che divora la prospettiva
La nostra tradizione ha custodito una distinzione preziosa tra sfera civile e religiosa, maturata in decenni di equilibrio istituzionale. Eppure, nell’epoca dei social, i confini appaiono più permeabili: si vedono simboli di fede esibiti nei set televisivi e nelle bacheche dei leader, gesti che parlano a comunità e identità. Non è un fenomeno solo italiano e non è di per sé sconveniente; diventa critico quando la retorica del presente sovrasta la cura delle forme. Il rischio è che il gesto, replicato e amplificato, prenda il posto del progetto.
Il risultato è un linguaggio pubblico sempre più performativo, che si nutre di immagini e ricorrenze. In un simile contesto, la tentazione di “legiferare per occasione” è forte: si cavalca un anniversario, un sentimento condiviso, una biografia capace di mobilitare consenso. È accaduto anche stavolta. E tuttavia, una comunità politica matura misura la qualità delle proprie scelte sulla loro tenuta nel tempo, non solo sull’eco nell’immediato. Una norma funziona quando ordina, non quando aggiunge confusione.
Il 4 ottobre tra norma e simbolo
Il percorso parlamentare è stato rapido. Come hanno ricostruito ANSA e Sky TG24, il 1° ottobre 2025 la Commissione Affari costituzionali del Senato ha dato il via libera definitivo alla legge che riporta il 4 ottobre tra le festività nazionali, dopo l’approvazione alla Camera del 23-24 settembre con 247 voti favorevoli, 8 astenuti e 2 contrari. Le stesse cronache hanno sottolineato il sostegno trasversale e la coincidenza con l’ottavo centenario della morte del Santo nel 2026. Il Corriere della Sera e Vatican News hanno rimarcato il valore simbolico della decisione e la soddisfazione espressa in ambito ecclesiale. Un atto che intercetta un sentire diffuso e profondamente radicato.
Gli effetti pratici sono chiari: dal 2026 il 4 ottobre è festa nazionale, ma cadendo di domenica quell’anno non produrrà impatti su scuole e uffici; il primo riflesso “visibile” arriverà nel 2027, quando la data cadrà di lunedì, come hanno ricordato Corriere.it e altre testate. La norma interviene sulla legge del 1949, reinserendo la ricorrenza nel novero delle festività con orario festivo e relativi effetti giuridici. Il calendario civile si arricchisce così di una giornata che parla di pace, fraternità, cura del creato, temi che la figura di Francesco evoca da secoli.
Il richiamo del Quirinale e la questione “doppia” con Santa Caterina
La fretta, però, ha lasciato un’ombra. Nella lettera inviata ai Presidenti delle Camere e riportata da Il Foglio, RTL 102.5 e testate umbre, il Presidente Sergio Mattarella ha promulgato la legge segnalando “aspetti critici” da correggere: sullo stesso 4 ottobre resta in vigore la solennità civile dedicata alla Santa Caterina da Siena, co-patrona d’Italia, prevista da norme precedenti. Due regimi giuridici diversi – festività nazionale e solennità civile – si stratificano sul medesimo giorno, con effetti pratici contraddittori per scuole e iniziative educative. È la fotografia esatta del “pasticcio”.
Le ricostruzioni di ANSA e del Corriere hanno spiegato il punto: fino a oggi il 4 ottobre teneva insieme, sul piano civile, i riferimenti a entrambi i patroni; ora la festa nazionale onora formalmente solo San Francesco, lasciando a Santa Caterina una diversa cornice giuridica. Il Capo dello Stato ha invitato il Parlamento a coordinare i testi, valutando se estendere la menzione anche a Caterina o se separare le ricorrenze in modo limpido. Chiarezza e coerenza non sono un orpello: sono la sostanza della buona legge.
Laicità, memoria e l’uso pubblico dei simboli
La vicenda ripropone un tratto identitario del nostro Paese: una laicità “discreta”, frutto di compromessi alti, capace di valorizzare la tradizione religiosa senza confondere piani e ruoli. Per decenni, anche quando i governi erano guidati da leader formati nella cultura cristiana, la distinzione tra sfera civile e culto è rimasta presidio condiviso. Oggi quel confine si è fatto più sottile: i leader mostrano simboli, le piazze digitali premiano i gesti, e il linguaggio pubblico si nutre di un continuo rimando al patrimonio spirituale. L’equilibrio richiede misura e consapevolezza.
Non si tratta di mettere in discussione la forza dei simboli, ma di chiedersi come essi entrino nella legge. Un crocevia così sensibile esige accuratezza, per evitare che la cronaca fagociti la storia. Lo si vede anche nel dibattito sorto intorno a Santa Caterina: realtà come Siena e la sua comunità civile e religiosa chiedono riconoscimento e coordinamento, come riportato dalla stampa locale. Le feste nazionali uniscono quando nascono da testi chiari e da una grammatica istituzionale che non lasci zone d’ombra.
Il potere nella nebbia: una lezione sulla fretta
In un’immagine ricordata da Giuliano Da Empoli, il potere è “un drago nella nebbia”: quando intravede uno spiraglio, scatta. Così accade alla politica che vive di occasioni: non appena si apre un varco di visibilità, si accelera. La legge su San Francesco ha certamente motivazioni alte e un consenso diffuso, ma l’iter ha mostrato come l’occasione rischi di prendere il posto dell’intenzione. Le norme migliori non rincorrono l’onda: la attraversano con equilibrio, mettendo in fila principi, effetti e coordinamenti.
Il paradosso è tutto qui: volendo restituire a Francesco un posto centrale nel calendario civile, si è finito per sottrargli, per un momento, quella chiarezza che rende una festa davvero condivisa. Imprigionare una figura così grande nel tempo corto della notizia significa ridurne la portata, mentre la sua eredità chiede tempi lunghi e testo limpido. Persino chi, come Jorge Luis Borges, ricordava che nel cielo il tempo non esiste, presupponeva che sulla terra la scansione dei giorni avesse bisogno di rigore e di giuste distinzioni.
Libri, biografie e una nuova attenzione su Francesco
Il rinnovato interesse per San Francesco non nasce dal nulla. Nel settembre 2025 sono usciti due volumi che hanno alimentato la conversazione pubblica: Aldo Cazzullo con “Francesco. Il primo italiano” (HarperCollins) – presentato tra l’altro al Festival Francescano e ad Assisi – e Alessandro Barbero con “San Francesco” (Laterza), accompagnato da incontri in teatri come il Petruzzelli di Bari. Lo hanno raccontato ANSA, il Corriere e testate locali. Segno che la figura del Poverello parla al presente con una potenza rara.
Questi lavori, diversi per stile e approccio, hanno ricordato che Francesco non è solo icona, ma storia viva: dal Cantico delle creature alle scelte radicali di povertà, fino alle tante biografie medievali che, come ricorda Barbero, offrono ritratti plurali e talvolta contraddittori. È anche da questa “fioritura editoriale” che il Parlamento ha percepito un clima culturale favorevole, come molte ricostruzioni hanno rilevato. Quando la cultura si fa domanda sociale, la politica ha l’obbligo di rispondere con testi solidi.
Chiarimenti utili, senza giri di parole
Quando il 4 ottobre diventerà realmente un giorno non lavorativo? Dal 2026 la ricorrenza è festa nazionale; tuttavia quell’anno cade di domenica. L’effetto “concreto” su scuole e uffici si vedrà dal 2027, come hanno spiegato ANSA e il Corriere.
Perché si parla di “pasticcio” normativo? Perché alla nuova festività nazionale per San Francesco resta sovrapposta la solennità civile dedicata a Santa Caterina sullo stesso giorno. Il Quirinale ha chiesto testi coordinati per evitare ambiguità, come riportato da Il Foglio e RTL 102.5.
La legge è definitiva? Sì. La Commissione Affari costituzionali del Senato ha approvato in sede deliberante il 1° ottobre 2025, dopo il via libera della Camera di fine settembre. Sky TG24 e ANSA hanno ricostruito voti e passaggi.
Che cosa cambia per le scuole? Dal 2026 il 4 ottobre entra tra le festività nazionali; nel 2027, cadendo di lunedì, comporterà la chiusura. Resta da chiarire, per effetto della sovrapposizione normativa, come coordinare le iniziative educative legate a Santa Caterina, tema sollevato dal Quirinale e ripreso dalla stampa.
I libri recenti hanno inciso sul clima pubblico? Hanno certamente contribuito a rimettere al centro la figura di San Francesco: ANSA e il Corriere hanno dato conto dell’uscita dei volumi di Aldo Cazzullo e Alessandro Barbero e delle presentazioni molto partecipate.
Il punto che non possiamo eludere
L’episodio del 4 ottobre ci mette davanti a un esame di maturità civile. La devozione per San Francesco e la stima per Santa Caterina appartengono alla coscienza collettiva del Paese. Se davvero vogliamo onorarle, dobbiamo restituire alle leggi quella perfezione artigianale che evita sovrapposizioni e impasse. Non è un tecnicismo: è rispetto per i cittadini e per la storia che diciamo di voler celebrare.
Il nostro sguardo rimane esigente e partecipe: le ricorrenze uniscono quando sono pensate bene, quando sanno tenere insieme sentimento e chiarezza, memoria e futuro. Correggere il “pasticcio” è possibile e doveroso. Farlo con calma e precisione sarebbe il modo migliore per trasformare un inciampo in un passo avanti: un invito a ritrovare il tempo lungo della politica, quello che fa ordine e lascia una traccia solida.
