Roma s’innamora e si vergogna nello stesso respiro, e in quel respiro Fabrizio Roncone piazza un romanzo che sa di pioggia, gin tonic e verità scomode. “Ogni nostro castigo” affonda nel quotidiano e lo ribalta: il gusto è amaro, l’effetto resta in bocca a lungo, come un vino che non ti molla più.
Roma, la bellezza che punisce
Quando l’inverno esala gli ultimi sospiri e il Carnevale sfila sotto un cielo di piombo, la città si lascia sommergere da un’acqua capace di far tremare il Tevere. È in questo clima sospeso che una giovane americana attraversa la soglia della vineria Mezzolitro, nascosta dietro Campo de’ Fiori, e la normalità s’increspa come una superficie in burrasca, come racconta la scheda editoriale di Marsilio (collana Farfalle, 2025). Le prime pagine grondano di acqua e desiderio, e Roma sembra rivelare, con una sincerità feroce, il suo vizio più antico: confondere il bene col male fin quasi a sovrapporli.
Di questa atmosfera vischiosa, fatta di salotti che promettono carriere e periferie che rosicchiano dignità, Roncone restituisce luci e ombre senza sconti, accompagnandoci fra balli in maschera dentro palazzi severi e corridoi dove le ambizioni si sussurrano a denti stretti. Le sue scene si incastrano come un mosaico: una città che odora di carbonara e di peccato, che galleggia nella risacca di un diluvio quasi biblico, e che chiede ai suoi abitanti di scegliere ogni giorno quale ferita mostrare e quale nascondere. È la Roma che affascina e respinge, che consola e condanna nello stesso gesto.
Un protagonista che inciampa sempre nella verità
Marco Paraldi ha lasciato il taccuino ma non l’istinto: ex cronista dal passo svelto, oggi mesce vino e ironia, e si porta addosso quella “cosa là” che gli ha cambiato la rotta. Odia gli ombrelli, ama le Adidas Tobacco color tortora, e con il gin tonic intrattiene un dialogo più che confidenziale. La sua palestra di resistenza è la vineria; la sua maledizione, lo sguardo che vede oltre. Roncone gli mette in tasca una malinconia elegante e una fame di giustizia che non si spegne neppure quando sarebbe più comodo far finta di niente.
Nel giorno in cui Charlotte – americana, “scucchia” e un nonno pilota da consegnare alla memoria – irrompe al Mezzolitro, l’indagine diventa inevitabile. Si aprono scorie di passato, polveri d’archivio e piste che lambiscono agenzie che contano, con il sussurro di Cia e servizi segreti israeliani a confondere ancor di più confini già sfumati. La città, intanto, è una trappola lucida: lampi, allagamenti, un cuore antico che batte fortissimo dietro Campo de’ Fiori, proprio come si legge nella sinossi ufficiale di Marsilio, che colloca l’avvio della storia sotto un diluvio e nel pieno del Carnevale. Paraldi ci si butta dentro, perché riconosce l’odore della notizia come si riconosce un vecchio amico.
La fauna umana: splendori, ipocrisie e cicatrici
Nel palazzo del Settecento sfilano figure che si incollano alla memoria: un ambasciatore in guerra con la propria bottiglia, un ricco dal passatempo improbabile – cucinare dolci per cani –, una parrucchiera che conosce più verità di quante vorrebbe. Il corridoio successivo nasconde un avvocato predatore e Fatima, la sua preda designata. Ma è con il sublime Mago Gino Puppo – nano, infanzia ferita, commerciante di incantesimi e rassicurazioni – che il racconto tocca uno dei suoi picchi morali: l’umano bisogno di credere in qualcosa, anche quando quel qualcosa si paga caro. Qui il grottesco non copre, ma illumina.
A tenere in equilibrio il passo di Paraldi c’è Chicca, aristocratica, irresistibile e gelosa quanto basta per ricordargli chi è e quanto può ancora perdere. Intorno, un trio di amici ritegono il collante di un passato di rugby e di idealismi: oggi si ritrovano fra vecchie partite della Roma riviste all’infinito e dispute sulla perfezione della mortadella tartufata. È in quella complicità, sbeccata eppure tenace, che il romanzo appoggia una promessa: nessuno si salva da solo, neppure quando la città sembra non voler salvare nessuno.
La mano che scatta, l’anima che abbraccia
Roncone porta in pagina il ritmo muscolare del cronista e la tenerezza spietata del romanziere. La prosa è secca, taglia dove serve, ma lascia sangue vero nei dialoghi, che schizzano scintille durante cene ad alto voltaggio emotivo e feste mondane dove il potere si specchia nel grottesco. L’autore conosce quei corridoi: è inviato speciale del Corriere della Sera, come ricordano note biografiche editoriali, e li racconta con quella mestizia brillante che appartiene a chi ha visto troppo per accontentarsi delle versioni ufficiali. La lingua vibra, ma non strilla; persuade, non supplica.
Dentro “Ogni nostro castigo” pulsa una contesa antica: cinismo contro sentimento. Roma concede sorrisi, poi presenta il conto; la storia infilza vanità e paure, ma sa scovare pieghe di fratellanza, idee ostinate, passioni che resistono al fango. Il lettore ride, si ferma, deglutisce: la bestiale bellezza della città è tutta lì, negli interstizi in cui ci si salva o ci si perde per un gesto di troppo o per una parola non detta. Tra il luccichio delle maschere e la fanghiglia dei cortili, l’umanità rimane il vero campo di battaglia.
Dati di pubblicazione e un invito che profuma di carta
Il romanzo esce per Marsilio, collana Farfalle, 240 pagine, prezzo di copertina 17 euro, con disponibilità in libreria a partire dal 30 settembre 2025. Questi dettagli sono confermati dalle principali librerie online e dalla scheda dell’editore, che colloca il libro nella nuova stagione di uscite dedicate a Paraldi. È un oggetto fisico che chiede tempo e spazio: la carta non ha fretta, e qui la lentezza diventa parte dell’esperienza.
L’appuntamento dal vivo, per chi vuole ascoltare la voce dell’autore e il retroscena del libro, è fissato per lunedì 13 ottobre 2025 alle 18.30 alla libreria Ubik Spazio Sette, in via dei Barbieri 7, nel cuore di Roma. L’indirizzo della storica libreria è noto ai lettori più fedeli, mentre le tappe promozionali annunciate in queste settimane confermano l’attenzione attorno al titolo e la presenza di firme del giornalismo italiano pronte al dialogo con Roncone. È il luogo ideale: scaffali alti, ascolto vero, e il brusio buono delle presentazioni che contano.
Domande lampo, risposte a cuore aperto
Che Roma incontriamo tra le pagine? Quella che balla sull’orlo dell’acqua e non si asciuga mai davvero. L’inverno si chiude, il Carnevale irrompe, e sotto la pioggia tutto appare più nitido e più confuso insieme: salotti dove si decidono carriere, periferie dove si contratta la sopravvivenza, il Transatlantico di Montecitorio come teatro di ambizioni. È il ritratto che l’editore stesso consegna nella sinossi ufficiale, una città che seduce mentre punge, dove la verità costa e il prezzo non è uguale per tutti.
Quanto pesa la dimensione politica e di potere? Moltissimo, ma senza proclami. Il potere qui mangia e brinda, scambia favori alle feste in maschera, si misura nei corridoi dove contano sguardi e silenzi. Il romanzo incastra cronaca e finzione e ci porta fin dentro il vociare del Transatlantico, affidando ai dialoghi il compito di svelare ciò che i comunicati tacciono. È una prospettiva coerente con l’esperienza di Roncone, inviato speciale del Corriere della Sera, capace di registrare tic e verità degli ambienti che frequenta da decenni.
È un noir cupo o lascia spazio alla tenerezza? È un noir che non rinuncia al sorriso: taglia con lama affilata, ma tiene calda la mano del lettore. Tra un gin tonic e una scarpa consumata, tra uno scatto d’orgoglio e una resa, affiora una fraternità imperfetta che salva il salvabile. Si ride amaro, ci si riconosce, e persino il grottesco finisce per raccontare con precisione un sentimento che in città sembra sempre fuori tempo massimo, e invece ritorna quando meno te l’aspetti.
Che incontro nasce tra autore e pubblico in presentazione? Uno scambio a microfoni aperti in cui i personaggi smettono di essere solo nomi e diventano corpi, voci, memorie condivise. La libreria di via dei Barbieri è un crocevia di lettori esigenti e conversazioni lunghe; qui la storia prende aria, si connette a ciò che accade oltre le pagine e si nutre delle domande che restano. Gli appuntamenti annunciati confermano un clima di attesa sincera, con ospiti autorevoli pronti a incalzare l’autore senza indulgenze.
Un addio che somiglia a un brindisi
Si chiude il libro e resta il sapore di una città che non molla la presa. Roncone scrive come chi ha visto l’alba dopo notti troppo lunghe e decide di raccontarla senza filtri, affidandosi al passo corto del cronista e alla lungimiranza del romanziere. Per noi, questo è il noir che Roma meritava: cattivo quanto basta, umano fino a far male, lucido nel dire che alla fine ogni castigo ci somiglia più di quanto vorremmo.
